“Siamo tutti colpevoli se un bambino disabile muore”

18 ottobre 2013 | 01:00
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“Siamo tutti colpevoli se un bambino disabile muore”

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Barbara Tamanti

Il Faro on line – La cronaca è lo specchio del tempo e i fatti che riempiono le sua pagine nei giornali sono il racconto feroce e spietato che lo caratterizza.La vicenda della morte del bambino autistico,per mano della madre, mette a nudo una verita’ troppo dura da affrontare per una società che si definisce civile, e merita un’attenta analisi se non un esame di coscienza  che tarda ad arrivare, che lo stato non affronta, non metabolizza, non assume, in poche parole non puo’ essere considerato un fatto casuale né a se stante.L’orrore di un gesto tanto surreale trova spazio nelle poche parole di un tg, o nelle poche righe di un quotidiano, e resta sospeso  inaffrontato, eppure intatto, immobile, nel quotidiano di molti cittadini.

Credo che fatti come questi siano la spia di un sistema malato che va a pezzi, la storia di un mancato senso di responsabilità di un intera società  ma non dopo le istituzioni, troppo spesso cieche e sorde di fronte a situazioni limite.Se il femminicidio ha assunto proporzioni inquietanti, questa vicenda ci si colloca  perfettamente nel quadro, della questione femminile nel nostro paese, perché racconta di un isolamento, di un abbandono sociale, di un assenza di sostegno e del disperato grido di aiuto di una donna, ma soprattutto una tragedia annunciata.

Probabilmente chi le viveva accanto ha assistito impotente a una lenta deriva psicologica, difficile da gestire e impossibilitato a trovare soluzioni.Ecco dunque le conseguenze dei feroci tagli al sociale,ai fondi per la non autosufficienza, al diritto e all’inclusione sociale,  che hanno via via spinto le donne all’antico ruolo di cura della casa e della famiglia, ma nei casi di figli con handicap, questo ruolo si trasforma in un incubo, di condanna alla morte sociale, che impedisce qualsiasi forma di vita normale, e troppo  spesso a morti vere e proprie.

L’assistenza sociale dovrebbe rappresentare , un sostegno una condivisione del lavoro di assistenza e cura di soggetti difficili da gestire, perché un figlio disabile è davvero un fardello pesante, ingestibile, inaffrontabile per una famiglia da sola.Per questa donna, trovo solo parole di solidarietà, di pietà, nessuna di condanna o giudizio…le parole che meglio descrivono lo stato d’animo nell’apprendere dell’ennesima uccisione di un figlio disabile, è la triste consapevolezza di una disperazione senza appello.Se lo stato non comprende  che l’isolamento delle famiglie in queste condizioni, in particolare della donna, non puo’ che scaturire in disagio mentale. Se uno stato continua a mettere in difficoltà i suoi cittadini piu’ deboli, anzi a doversi difendere in alcuni casi, come la persecuzione del diritto alle pensioni,  al taglio dei servizi,allora dovremmo abituarci a leggere di questi fatti, e imparare a voltar pagina, e a fingere che nulla sia successo, ma questo non puo’ essere considerato un assassinio come tanti, questo è l’assassinio dello stato, io credo che quel bambino sia vittima di uno stato cinico e distratto e quella madre un grido soffocato…

A questo stato io dico: “mi dissocio, mi vergogno, e spero che sentiate  anche voi in quanto istituzionali, il grande senso di colpa che provo io!”.

Barbara Tamanti
Una donna, una madre italiana