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Ormeggiato a #Fiumicino c’è un rimorchiatore storico, il Pietro Micca

20 febbraio 2017 | 07:15
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Ormeggiato a #Fiumicino c’è un rimorchiatore storico, il Pietro Micca
Ormeggiato a #Fiumicino c’è un rimorchiatore storico, il Pietro Micca
Ormeggiato a #Fiumicino c’è un rimorchiatore storico, il Pietro Micca

Un pezzo di storia dimenticato. Ha vissuto fino a oggi ben 122 anni ed è in piena forma… Ma in pochi lo sanno

Un esempio di cosa “mettere a sistema” per il rilancio turistico della città. Ormeggiato a #Fiumicino c’è un rimorchiatore storico, il Pietro Micca

Il Faro on line – Sonnecchia lungo le rive del fiume, pigramente cullato dalle onde. Silenzioso, in disparte. Eppure ne avrebbe di storie da raccontare. Perché Pietro Micca, il più antico rimorchiatore a vapore ancora in classe, in oltre un secolo di attività, ne ha viste di cose. E nonostante i suoi 122 anni, ha ancora tanto da dare. Ormeggiato sulle sponde di Fiumara Grande, rappresenta un vero e proprio gioiello fra le imbarcazioni del suo genere, un museo galleggiante mantenuto in perfette condizioni e salvato dalla demolizione da chi le barche ce l’ha nel cuore. Sì, perché dopo anni di fedele servizio il Pietro Micca aveva rischiato di essere smantellato, di essere buttato via come un ferro vecchio.

E’ stato Pier Paolo Giua a decidere che questo rimorchiatore doveva restare in vita, continuare a navigare. L’ha acquistato, ne ha diretto il restauro e l’ha ospitato nei cantieri della Tecnomar, dove oggi si vede spiccare, tra i tanti “alberi maestri”, la sua inconfondibile ciminiera a strisce rosse e nere. Una fumaiolo classe 1895, che ha sbuffato lungo due guerre mondiali, prima come nave militare ausiliaria e poi come dragamine, infine come rimorchiatore di pontoni lungo la costa campana.
Il Dilwara, come originariamente era stato varato nei cantieri Rennoldson & Son di Newcastle, dove è stato costruito, fu portato nel Regno d’Italia nel 1903, prima a Genova e poi a Napoli, e qui nel 1905 fu iscritto nel Registro del Compartimento Marittimo con il numero trentatré e ribattezzato con il nome dell’eroe piemontese. E proprio sulle sponde campane il Pietro Micca ha vissuto gran parte della sua centenaria esistenza. Il motivo di tanta longevità? Il vapore. Il Pietro Micca è potuto sopravvivere al passo di rimorchiatori più moderni ed efficienti (il motore Diesel, già nato nel 1892, aveva ben presto soppiantato le vecchie macchine) proprio perché ha fornito alla navi americane di stanza a Napoli il vapore necessario per mantenere i loro servizi in esercizio durante i lunghi periodi di sosta.

Siamo ai tempi della cortina di ferro, quando Berlino era divisa in due e la flotta a stelle e strisce era di casa nella città del Vesuvio. In questi anni la famiglia Spinelli di Monte di Procida, imbarcata su questa nave per ben tre generazioni l’ha mantenuta in perfetta efficienza, equipaggiandola di capitani, marinai, fuochisti e direttori di macchia. Ne ha garantito la regolare attività portuale, alla pari di mezzi più moderni fino al 1993, quando, dopo la caduta del muro di Berlino, le navi statunitensi hanno lasciato l’Italia. Il vapore non serviva più e per il Pietro Micca si prospettava una fine amara.

Ma ancora una volta è stata la tenacia di Benito Spinelli e di suo figlio a trovare la soluzione, aiutata da un pizzico di fortuna: la notizia dello smantellamento del rimorchiatore, infatti, era stata pubblicata, come un ultimo appello, su una rivista nautica. Qui l’ha notata Pier Paolo Giua, che subito si è messo in moto per contribuire a salvare la nave e garantirle un futuro. Il resto è storia recente. L’associazione “Amici delle Navi a Vapore G.L. Spinelli”, presieduta da Giua stesso, l’ha acquistata nel 1996 e l’ha rimessa in esercizio. E negli ultimi vent’anni l’imbarcazione è stata protagonista di attività culturali, didattiche, scientifiche e ambientali. Per diverso tempo, infatti, il Pietro Micca è stato la Goletta Verde di Legambiente, e ha girato le coste di tutta l’Italia, analizzando la qualità dell’acqua in difesa del mare e dell’ambiente. Ha ospitato convegni itineranti, incontri educativi, ha presenziato a regate, è stato set cinematografico.

E oggi quale futuro gli si prospetta? Quali sono le sue potenzialità, cosa ha ancora da offrire? Il Pietro Micca non è certo una nave dagli ottoni lucidi e dai legni pregiati, ma la sua macchina a vapore a triplice espansione, perfettamente funzionante, è un reperto, quasi unico, di archeologia industriale, e le sue lamiere in ferro chiodate, che hanno saputo cavarsela in tutte le vicende di mare e di guerra, hanno mantenuto inalterato il loro fascino nel corso degli anni.

Questo rimorchiatore può dare ancora tanto, negli studi universitari sui materiali e sulla tecnica delle caldaie e del vapore, nei programmi educativi scolastici, nella promozione turistica del territorio, nella creazione di un centro per la cultura marinara. E qui, a Fiumicino, dove il mare è parte integrante della nostra identità, rappresenta un’occasione che non deve essere sprecata. Parlare di “mettere a sistema” il comparto turistico quando non si ha nemmeno la visione generale delle potenzialità esistenti è perlomeno pretestuoso. E non attivare un percorso vendibile ai tour operator, prima ancora che i passeggeri sbarchino all’aeroporto internazionale Leonardo Da Vinci rende inutile qualunque info point. C’è bisogno di riscoprire tutto, di “ripresentare” tutto: dal Museo delle navi all’Oasi di Porto, dalla Necropoli ai villaggi eneolitico di Maccarese, dall’archeologia industriale del Pietro Micca ai laboratori dei maestri d’ascia. Di possibilità ce ne sono davvero, ma per ora siamo ancora in attesa che cultura e turismo riescano finalmente ad accoppiarsi, creando economia.

Ecco chi era il soldato Pietro Micca

Soldato minatore dell’esercito del Ducato di Savoia, Pietro Micca proveniva da una famiglia di origini modeste della provincia di Biella, in Piemonte. Nato nel marzo del 1677, aveva svolto l’attività di muratore fino al 1702, quando all’età di 25 anni si era arruolato nell’esercito sabaudo, all’epoca impegnato nella guerra di successione spagnola. Il suo nome si sarebbe perso tra quello dei tanti soldati che presero parte al conflitto, se non fosse per l’episodio di eroismo – nel quale perse la vita – che consentì alla città di Torino di resistere all’assedio francese del 1706.
La tradizione racconta che nella notte tra il 29 e il 30 agosto le truppe francesi riuscirono a penetrare in una delle gallerie sotterranee della fortezza posta lungo la cinta muraria della città, uccidendo le sentinelle e cercando di sfondare le porte che conducevano all’interno. Pietro Micca era alla guardia di una di queste, insieme a un commilitone. Consapevoli entrambi della gravità della situazione e dell’inferiorità numerica, i soldati decisero di provocare il crollo della galleria in cui si trovavano, facendo esplodere un barilotto di polvere da sparo. Non potendo utilizzare una miccia lunga che avrebbe dato ai nemici il tempo sufficiente per entrare, Pietro Micca decise di usare una miccia corta, consapevole del rischio che avrebbe corso. Fatto allontanare il compagno, Micca diede fuoco alle polveri, e, pur tentando di mettersi in salvo, morì, travolto dall’esplosione.

Tecnomar, custode di passioni

Tanta voglia di fare, tanta passione e qual pizzico di follia necessaria per mettersi in gioco: così nel 1964 è nata la Tecnomar. Lì, sulle sponde del Tevere, quando lungo Fiumara Grande non c’era nulla se non un prato, una sterrata e tanto fango.
Eppure, grazie al coraggio e all’intraprendenza di chi della passione per le imbarcazioni ha fatto la propria ragione di vita è nato il cantiere, all’inizio con poche attrezzature per l’ormeggio, lo scalo e l’alaggio, con una piccola officina e una falegnameria. In pochi anni la tenacia di Pier Paolo Giua e della sua famiglia, insieme all’esperienza di marinai e carpentieri di vecchio stampo, ha trasformato quel primo nucleo in un affermato Circolo Nautico che nel 1970 ha ottenuto l’affiliazione alla Federazione Italiana Vela.
La Tecnomar si è sviluppata nel corso del tempo e la nautica moderna si è affiancata alla tradizione velica, ma il luogo non ha perso il suo fascino originario: banchine in legno e una natura intatta accolgono i visitatori, mentre artigiani di eccellenza e manodopera specializzata si occupano di manutenzione, costruzione, ma anche di restauro di imbarcazioni d’epoca.
Di recente, infatti, il cantiere si è specializzato nella trasformazione di unità commerciali in unità da diporto, con un occhio di riguardo – e non è certo un caso – per i rimorchiatori.