La Ricorrenza |
Interni
/

Stelle comete e re magi, tutti i falsi miti del 6 gennaio

6 gennaio 2019 | 06:00
Share0
Stelle comete e re magi, tutti i falsi miti del 6 gennaio

L’analisi storica e scientifica del racconto evangelico che narra dell’adorazione di Gesù Bambino da parte di tre sapienti

Il 6 gennaio tre statuine vanno a completare la cornice del presepe. Tre uomini che recano in mano doni per un neonato adagiato in una mangiatoia: oro, incenso e mirra.

E’ la solennità dell’Epifania, giorno nel quale la Chiesa celebra la manifestazione di Cristo ai popoli di tutto il mondo, simboleggiati proprio dai magi che gli fanno visita. Il termine dal greco ἐπιφάνεια (epipháneia), che significa, per l’appunto, “manifestazione”, o “apparizione”.

Una giornata di festa alla quale, col passare dei secoli, la tradizione, accompagnata dall’arte, ha aggiunto elementi che si distaccano di molto da quanto raccontato nei testi sacri.

Da sacerdoti…

Leggendo attentamente il racconto dell’adorazione dei magi, episodio descritto solo nel Vangelo di Matteo, si evince fin da subito che i personaggi venuti dall’Oriente che omaggiano Gesù Bambino con oro, incenso e mirra non sono tre, non hanno il titolo di “re” e, soprattutto, non hanno nome. Nel testo sacro, al capitolo 2, si legge:

Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”

Secondo i biblisti, quello descritto dall’evangelista non sarebbe la mera cronaca di un evento, bensì una “costruzione” letteraria pensata ad hoc per fornire un insegnamento. In altre parole, chi compose la storia dei magi era a conoscenza di storie simili narrate nelle tradizioni orali e nei testi dell’epoca, tenendo ben presente che Gesù, considerato il Figlio di Dio, è stato rifiutato dal potere, sia politico sia religioso.

In effetti, Cristo è stato accolto da persone che erano marginali, senza “titoli”. Matteo, dunque, con un procedimento letterario denominato retroproiezione, non ha fatto altro che collocare all’inizio della vita di Gesù ciò che sarebbe poi successo durante gli anni della sua predicazione.

Se in Erode il racconto vede l’opposizione del potere politico e religioso, nei magi giunti da lontano sono rappresentate di tutte quelle persone che erano ai margini della società e, per tanto, viste con sospetto. Il testo sacro, infatti, mostra chiaramente che questi signori non sono ebrei, e non sembrano conoscere molto bene le Scritture.

L’evangelista li definisce semplicemente “magi”, termine che deriva dal greco μαγος (magos). In Erodoto questa parola viene associata in particolare ai sacerdoti astronomi della religione zoroastriana.

Poiché il capitolo 2 di Matteo implica che fossero dediti all’osservazione delle stelle, la maggioranza dei commentatori conviene che il significato inteso fosse quello di “sacerdoti di Zoroastro”, e che l’aggiunta “dall’Oriente” ne indicasse, naturalmente, l’origine persiana e/o mesopotamica.

Nelle traduzioni dei Vangeli del XIV secolo il termine “magi” viene tradotto con “astrologi”, e questo perché in quell’epoca la distinzione tra astronomia e astrologia non era ancora riconosciuta.

…a Re

Una delle evoluzioni più rilevanti è il passaggio dalla condizione di astrologi a quella di re. L’opinione più accreditata è che si tratti di un richiamo alle profezie dell’Antico Testamento che parlano dell’adorazione del Messia da parte di alcuni sovrani (cfr. Is 60,3, Sal 72[71],10 e Sal 68[67],29).

Ma ci sono biblisti, come Mark Allan Powell, che rifiutano però questa interpretazione, sostenendo che l’idea di un’autorità regale sia posteriore a Costantino, e strumentale alla giustificazione del ruolo dei monarchi cristiani.

Già dal V secolo dopo Cristo, tutti i commentatori di testi sacri adottarono la versione più diffusa che parlava di tre re. Una carica che non venne messa in discussione fino alla Riforma protestante.

Secondo un’altra interpretazione, i magi erano dei monarchi provenienti da paesi lontani posti nei tre continenti allora noti (Europa, Asia e Africa), a simboleggiare che la missione redentrice di Gesù era rivolta a tutte le nazioni del mondo. Per questo motivo i tre re sono raffigurati in genere come un bianco, un mulatto e un nero.

In un inno religioso del poeta iberico Prudenzio, della fine del IV secolo, si ritrova già l’interpretazione medievale dei doni come emblemi profetici dell’identità di Gesù, ripresa anche in canti popolari molto più tardi. L’incenso, che veniva usato nel tempio, indica il sacerdozio di Gesù; l’oro ne indica la regalità; la mirra, usata nella preparazione dei corpi per la sepoltura, indica l’espiazione dei peccati attraverso la morte.

Fin dalla sua nascita, il cristianesimo vede nei magi un esempio da seguire: in loro si rispecchiano gli atteggiamenti positivi della ricerca della luce spirituale e del rifiuto delle tenebre.

La questione dei nomi

Se è vero che il brano evangelico non riporta né i nomi né il numero esatto dei magi, la tradizione cristiana li identifica come tre sapienti col nome di Melchiorre (semitico), Baldassarre (camitico) e Gaspare (giapetico). Nomi scelti per sottolineare ancora una volta che Cristo è nato per salvare tutti gli uomini del mondo, indipendentemente dalla loro provenienza.

Le Chiese orientali, invece, assegnano vari nomi ai magi. In altre culture sono ancora diversi; ad esempio la Chiesa cattolica etiope li chiama Hor, Basanater e Karsudan.

Nessuno dei nomi accreditati è di chiara origine persiana, né si può dire che abbia un significato specifico; tuttavia, Gaspare può essere una variante della parola persiana Jasper – “Signore del Tesoro” – da cui deriva anche il nome del diaspro.  In Siria la comunità cristiana chiama i magi Larvandad, Hormisdas e Gushnasaph.

Larvandad, è una combinazione di Lar, una regione nei pressi di Teheran, e vand o vandad, un suffisso comune in medio-persiano che significa “collegato con” o “situato in”. Lo stesso suffisso si ritrova anche nei toponimi iraniani come Damavand, Nahavand e Alvand.

Ma potrebbe essere una combinazione di Larvand (ovvero la regione di Lar) e Dad (“dato da”). Quest’ultimo suffisso si ritrova anche nei nomi iraniani “Tirdad”, “Mehrdad”, “Bamdad” e in toponimi come “Bagdad” (“Data da Dio”), un tempo in Iran, ora Baghdad in Iraq. Il nome vorrebbe, quindi, dire “nato nella” regione di Lar.

Il secondo nome, Hormisdas, è una variante del nome persiano Hormoz. Nella tradizione persiana, ll termine si riferiva all’angelo del primo giorno di ciascun mese, il cui nome era stato dato dal dio supremo, e quindi significherebbe “messaggero divino”.

Il terzo nome, Gushnasaph, sarebbe il corrispondente dell’attuale Gushnasp, o Gushtasp. È formato dalla radice Gushn, “pieno di qualità virili” o “pieno di desiderio o di energia” per qualcosa, e dalla parola Asp (in persiano moderno: Asb), cavallo. L’animale era di grande importanza per le genti iraniche, e il relativo suffisso si ritrova in molti nomi usati nella regione, tra cui gli attuali Lohrasp, Jamasp, Garshasp e Gushtasp. Il nome potrebbe, quindi, si può tradurre come “persona con l’energia e la virilità di un cavallo” o “desideroso di avere dei cavalli”. In alternativa, poiché Gushn risulta anche usato per indicare “molti”, potrebbe essere più semplicemente “possessore di molti cavalli”.

La stella cometa

Il testo di Matteo non fornisce chiare indicazioni sulla natura e sulla localizzazione della stella che condusse i magi dapprima a Gerusalemme e poi sul luogo dove era il bambino.

Per gli storici non credenti e per alcuni biblisti, la stella sarebbe solo un elemento simbolico, inserito nel racconto per rafforzarne il significato allegorico del testo. Secondo altri biblisti, invece, la stella sarebbe realmente apparsa: già Origene sosteneva che dovesse trattarsi di un evento naturale e non miracoloso.

Tutti concordano sul fatto che Matteo abbia voluto implicitamente indicare il compimento di una profezia contenuta nell’Antico Testamento e pronunciata da Balaam (cfr. Nm 24,15-19).

Nelle prime raffigurazioni della natività, la stella non è rappresentata con la coda. Fu Giotto, che verosimilmente aveva assistito al passaggio della cometa di Halley nel 1301, a dipingere nella Cappella degli Scrovegni una stella  dalla lunga coda.

Origene, già nel 248, rifiuta l’ipotesi della cometa, poiché non sono presenti profezie al riguardo. Di certo, attorno all’anno 0, nel cielo ci fu un grande avvenimento. Alcuni studi hanno trovato traccia di esplosione di supernove che coinciderebbero con il periodo della nascita di Cristo.

Nel 1977 un gruppo di ricercatori inglesi rilevano negli annali astronomici cinesi l’apparizione di un oggetto brillante, probabilmente una nova, che rimase visibile per circa 70 giorni tra le costellazioni dell’Aquila e del Capricorno. Una luce osservato anche dagli astronomi coreani, anche se le loro registrazioni contengono imprecisioni, dovute verosimilmente ad errori di trascrizione.

Gli astronomi cinesi annotano l’apparizione della stella tra febbraio e marzo. Se i magi si misero in viaggio dai territori mesopotamici al suo apparire, quando raggiunsero la Giudea (in aprile/maggio), all’alba l’astro in questione era visibile da Gerusalemme in direzione sud, cioè verso Betlemme, in perfetta corrispondenza con il racconto evangelico.

La luce intensa sarebbe da ricercare nello sviluppo di una supernova. Il “fermarsi” indicherebbe il raggiungimento dello zenit, ovvero istante in cui la stella cessa di brillare.

L’ipotesi di Keplero

Tanti studiosi del cielo, nel corso dei secoli, hanno provato a spiegare il fenomeno della stella seguita dai magi. In molti ritengono che quella di Betlemme non sia stata una luce originata da un unico corpo celeste, bensì da una congiunzione di pianeti. Lo studioso ebreo Isaac Abrabanel, nel 1497 ipotizzò che il messia sarebbe nato in concomitanza con la congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci.

Keplero, nel suo libro De anno natali Christi (pubblicato nel 1614), fa notare che nel 7 a.C. vi fu una tripla congiunzione di Giove con Saturno proprio nella costellazione dei Pesci; le tre congiunzioni ebbero luogo il 29 maggio, il 29 settembre e il 5 dicembre. E, poiché la congiunzione appare fissa nel cielo, il particolare per cui l'”astro” evangelico si muove sarebbe un’aggiunta narrativa successiva.

Il fenomeno è realmente accaduto, tanto da attirare l’attenzione degli astronomi caldei, che lo avevano previsto sin dall’anno precedente. La tavoletta con la previsione del fenomeno, datata 8 a. C., è stata trovata in ben quattro copie in siti diversi; ciò segnala l’interesse per il fenomeno.

Sono state avanzate ipotesi relative ad altri allineamenti, che però si allontanano dalla data dell’8 a.C., quella del Censimento di Quirino. La datazione antecedente all’anno 0 è dovuto al fatto che, nel corso dei secoli, i mesi hanno avuto durate diverse rispetto al calendario oggi in uso in tutto il mondo.

A prescindere dal numero dei magi e dal fenomeno astronomico che accompagnò il loro viaggio, quella dell’Epifania rimane una giornata di festa che invita gli uomini, di qualsiasi etnia, a mettersi in cammino.

Papa Francesco spiega così questo aspetto: “Gesù si lascia trovare da chi lo cerca, ma per cercarlo bisogna muoversi, uscire. Non aspettare; rischiare. Non stare fermi; avanzare. È esigente Gesù: a chi lo cerca propone di lasciare le poltrone delle comodità mondane e i tepori rassicuranti dei propri caminetti. Seguire Gesù non è un educato protocollo da rispettare, ma un esodo da vivere. In altre parole, per trovare Gesù bisogna lasciare la paura di mettersi in gioco, l’appagamento di sentirsi arrivati, la pigrizia di non chiedere più nulla alla vita. Occorre rischiare, semplicemente per incontrare un Bambino. Ma ne vale immensamente la pena, perché trovando quel Bambino, scoprendo la sua tenerezza e il suo amore, ritroviamo noi stessi“.

(Il Faro online)