Il Papa: “Troppi solisti nella Chiesa, anche se stonato dobbiamo essere un coro”

2 febbraio 2021 | 18:06
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Il Papa: “Troppi solisti nella Chiesa, anche se stonato dobbiamo essere un coro”
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Il Pontefice ai religiosi nel giorno della Candelora: “Fuggite dal chiacchiericcio, uccide la vita di comunità”

Città del Vaticano – “Nelle nostre comunità occorre questa pazienza reciproca: sopportare, cioè portare sulle proprie spalle la vita del fratello o della sorella, anche le sue debolezze e i suoi difetti. Tutti. Ricordiamoci questo: il Signore non ci chiama ad essere solisti – ce ne sono tanti, nella Chiesa, lo sappiamo –, no, non ci chiama ad essere solisti, ma ad essere parte di un coro, che a volte stona, ma sempre deve provare a cantare insieme”.

Nel giorno in cui la Chiesa ricorda la Presentazione al Tempi di Gesù Bambino, in una San Pietro semideserta, Papa Francesco presiede la Santa Messa per la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, giunta quest’anno alla 25ma edizione. Al rito, che si svolge in penombra, rendendo ancora più suggestiva la basilica vaticana illuminata da centinaia di candele come la tradizione del giorno della Candelora impone, partecipano poche decine di fedeli, in rappresentanza dei tanti ordini di vita religiosa.

E proprio ai frati e alle suore il Pontefice rilancia l’appello ad avere pazienza, la stessa che ebbe Simeone, “un uomo ormai vecchio, che ha atteso con pazienza il compimento delle promesse del Signore”. Ed è proprio attorno alla concetto di pazienza che ruota l’intera omelia del Santo Padre.

“Per tutta la vita egli è rimasto in attesa e ha esercitato la pazienza del cuore. Nella preghiera ha imparato che Dio non viene in eventi straordinari, ma compie la sua opera nell’apparente monotonia delle nostre giornate, nel ritmo a volte stancante delle attività, nelle piccole cose che con tenacia e umiltà portiamo avanti cercando di fare la sua volontà”, sottolinea Bergoglio.

Ma “da dove ha imparato Simeone questa pazienza?”, si domanda Francesco. “L’ha ricevuta dalla preghiera”, la risposta che si dà il Papa. E cita Romano Guardini: “La pazienza è un modo con cui Dio risponde alla nostra debolezza, per donarci il tempo di cambiare (cfr Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, 28)”.

Il Pontefice invita quindi a un esame di coscienza: “Guardiamo alla pazienza di Dio e a quella di Simeone per la nostra vita consacrata. E ci chiediamo: che cos’è la pazienza? Certamente, non è la semplice tolleranza delle difficoltà o una sopportazione fatalista delle avversità. La pazienza non è segno di debolezza: è la fortezza d’animo che ci rende capaci di ‘portare il peso’, di sopportare: sopportare il peso dei problemi personali e comunitari, ci fa accogliere la diversità dell’altro, ci fa perseverare nel bene anche quando tutto sembra inutile, ci fa restare in cammino anche quando il tedio e l’accidia ci assalgono”.

Bergoglio, rivolgendosi quindi direttamente ai religiosi, indica tre “luoghi” “in cui la pazienza si concretizza”: la vita personale, la vita comunitaria e il mondo.

Per quanto riguarda la vita personale, il Papa invita ad “avere pazienza con noi stessi e attendere fiduciosi i tempi e i modi di Dio: Egli è fedele alle sue promesse. Questa è la pietra basale: Egli è fedele alle sue promesse. Ricordare questo ci permette di ripensare i percorsi, di rinvigorire i nostri sogni, senza cedere alla tristezza interiore e alla sfiducia”. E aggiunge a braccio: “Fratelli e sorelle, la tristezza interiore in noi consacrati è un verme, un verme che ci mangia da dentro. Fuggite dalla tristezza interiore!”.

“Le relazioni umane, specialmente quando si tratta di condividere un progetto di vita e un’attività apostolica, non sono sempre pacifiche, lo sappiamo tutti. A volte nascono dei conflitti e non si può esigere una soluzione immediata, né si deve giudicare frettolosamente la persona o la situazione: occorre saper prendere le giuste distanze, cercare di non perdere la pace, attendere il tempo migliore per chiarirsi nella carità e nella verità. Non lasciarsi confondere dalle tempeste”, dice riflettendo sulla vita comunitaria, ammonendo: “Ricordiamoci questo: il Signore non ci chiama ad essere solisti – ce ne sono tanti, nella Chiesa, lo sappiamo –, no, non ci chiama ad essere solisti, ma ad essere parte di un coro, che a volte stona, ma sempre deve provare a cantare insieme”.

Ma quello su cui bisogna davvero lavorare è “la pazienza nei confronti del mondo”. Il segreto sta nell’attesa: “Attendere la luce nell’oscurità della propria comunità. Abbiamo bisogno di questa pazienza, per non restare prigionieri della lamentela. Alcuni sono maestri di lamentele, sono dottori in lamentele, sono bravissimi a lamentarsi! No, la lamentela imprigiona: ‘il mondo non ci ascolta più’ – tante volte ascoltiamo questo –, ‘non abbiamo più vocazioni, dobbiamo chiudere la baracca’, ‘viviamo tempi difficili’ – ‘ah, non lo dica a me!…’. Così incomincia il duetto delle lamentele. A volte succede che alla pazienza con cui Dio lavora il terreno della storia, e lavora anche il terreno del nostro cuore, noi opponiamo l’impazienza di chi giudica tutto subito: adesso o mai, adesso, adesso, adesso. E così perdiamo quella virtù, la ‘piccola’ ma la più bella: la speranza. Tanti consacrati e consacrate ho visto che perdono la speranza. Semplicemente per impazienza”. Ma “la pazienza ci aiuta a guardare noi stessi, le nostre comunità e il mondo con misericordia”, conclude il Papa.

Al termine della celebrazione, rivolgendo un breve saluto a braccio ai presenti, il Pontefice invita – ancora una volta – frati e suore a “fuggire dal chiacchiericcio. Quello che uccide la vita comunitaria è il chiacchiericcio. Non sparlare degli altri. ‘Non è facile, Padre, perché alle volte ti viene dal cuore!’. Sì, ti viene dal cuore: ti viene dall’invidia, viene da tanti peccati capitali che abbiamo dentro. ‘Ma, mi dica Padre, non ci sarà qualche medicina? La preghiera, la bontà…?’. Sì, c’è una medicina, che è molto ‘casalinga’: morditi la lingua – dice scherzando, provocando una grossa risata tra i pochi presenti in basilica -. Prima di sparlare degli altri, morditi la lingua, così si gonfierà la lingua e occuperà la bocca e tu non potrai parlare male. Per favore, fuggire dal chiacchiericcio che distrugge la comunità!”.

Ma il rimedio al chiacchiericcio sta anche nell’umorismo: “Non perdere il senso dell’umorismo, per favore: questo ci aiuta tanto. È l’anti-chiacchiericcio: saper ridere di sé stessi, delle situazioni, anche degli altri – con buon cuore – ma non perdere il senso dell’umorismo. Questo che io vi raccomando non è un consiglio troppo clericale, diciamo così, ma è umano: è umano per portare avanti la pazienza. Mai sparlare degli altri: morditi la lingua – conclude -. E poi, non perdere il senso dell’umorismo: ci aiuterà tanto”.

(Il Faro online) Foto © Vatican Media – Clicca qui per leggere tutte le notizie di Papa & Vaticano
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