Le verità nascoste sotto il manto della Salus Populi Romani

26 febbraio 2023 | 08:00
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A cinque anni dal restauro dell’icona, i Musei Vaticani presentano le scoperte fatte sull’opera d’arte che la tradizione attribuisce a San Luca. Ma l’analisi al C14 racconta un’altra storia

Roma – Da qualche anno è tornata al suo antico splendore la celebre icona della Salus Populi Romani, l’immagine mariana più venerata della Capitale. Custodita nella cappella costruita da Paolo V nella basilica di Santa Maria Maggiore, che domina l’Urbe dall’alto dell’Esquilino, è un punto di riferimento per tutti gli abitanti, siano essi romani di nascita o di adozione.

Cinque anni fa, per quasi sette mesi, l’immagine della Madonna in trono con Bambino, ha lasciato la sua casa perché necessitava di un restauro. Un intervento delicato ed impegnativo eseguito presso i laboratori dei Musei Vaticani. Le sofisticate tecnologie delle indagini intraprese prima dell’intervento, nonché la straordinaria perizia dei restauratori vaticani, hanno consentito di effettuare un lavoro specialistico mai eseguito che ha permesso di recuperare l’originaria bellezza e la realtà storica dell’opera, offuscata nei secoli da vernici, ridipinture e dagli effetti dell’uso devozionale. Ma non solo.

Le scoperte effettuate in seguito al restauro, infatti, sono state presentante solo in questi giorni in occasione della pubblicazione del volume intitolato “Salus Populi Romani. Il restauro dell’antica icona della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore”. Un libro che raccoglie nel dettaglio non solo le tecniche e gli esiti dell’intervento, ma anche le tante scoperte celate sotto il manto della Vergine. Tutte le fasi del restauro sono state spiegate dalla direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, assieme al cardinal Stanisław Ryłko, arciprete della basilica papale di Santa Maria Maggiore.

Un’immagine in ombra

Il porporato ha ricordato le parole che Papa Francesco gli rivolse quando lo nominò arciprete di Santa Maria Maggiore: “Questa basilica deve essere fedele alla sua vocazione”. Del resto è il santuario mariano più antico dell’Occidente. “E’ un luogo di autentica devozione. Per tanto decisi di fare di quelle parole il mio programma pastorale per la mia missione in questo tempio”, ha raccontato il Cardinale, spiegando come nacque l’idea del restauro.

“Nel 2017 incontrai un gruppo di studenti della Gregoriana accompagnati dal professor Sante Guido. Dal colloquio emerse l’urgenza di un restauro in quanto col passare dei secoli si era oscurato il volto della Madonna. Ma il “problema” non riguardava solo l’icona. Anche il maestoso altare necessitava di una pulitura ad hoc poiché coperto di polveri e strati di sporco accumulati negli anni. “Il sopralluogo del personale dei Musei Vaticani confermò la necessità del restauro – ha aggiunto Ryłko -. Il Papa diede il suo assenso e così partirono i lavori su due fronti in parallelo: il restauro dell’icona nei laboratori dei Musei del Papa, in Vaticano, e quello in chiesa, con il professor Sante Guido a capo della pulitura dell’altare”.

La direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, e il cardinal Stanisław Ryłko, arciprete della basilica papale di Santa Maria Maggiore

Il restauro, ha precisato il porporato, è stata “una profonda esperienza spirituale. Quando nel giugno 2017 si prelevò la Madonna dalla sua nicchia abbiamo sentito un vuoto nella basilica”. Un vuoto durato circa 7 mesi: “L’immagine della Salus non è solo un reperto museale: è sì un reperto museale ma è carico di fede”. E con rispetto e deferenza è stato eseguito il restauro sull’immagine sacra. Come hanno spiegato gli stessi tecnici, infatti, la preghiera era all’ordine del giorno. Non solo perché le visite del cardinale nei laboratori per seguire l’avanzamento del restauro erano molto frequenti, ma soprattutto perché i professionisti che operano nei Musei Vaticani sapevano perfettamente che tra le mani avevano qualcosa di più di una semplice immagine sacra. Buona parte della storia di un’intera città, anzi della Città, era ed è tuttora racchiusa su quella tavola di legno dipinta.

Il restauro e le scoperte

Dai primi esami eseguiti ci si accorse subito che la Salus Populi Romani era in condizioni pessime. Per secoli era stata portata in processione tra le vie di Roma, senza troppe protezioni. La tavola risultò costellata di buchi e chiodi ai quali agganciare i gioielli e le varie cornici che nel corso dei secoli vennero realizzati. Dai raggi X emerse anche che sotto la figura della Vergine non c’è un’altra immagine, come era stato ipotizzato da diversi studiosi.

I restauratori procedettero prima con la sistemazione della tavola, composta di due assi di legno di tiglio e una cornice di frassino, non originale ma divenuta parte integrante dell’immagine. Si continuò poi con la pulizia dell’immagine. Una pulizia che, piano piano, restituì i colori originali della Salus. Riemerse anche l’aureola crucifera del Bambinello e la stella sulla spalla della Madonna. Particolari che sembravano inesistenti. Il contrasto tra sporco e pulito meravigliò talmente tanto che l’icona sembrava diversa.

Si pensò anche di fermare il restauro poiché l’immagine che stava riemergendo non era quella a cui i romani, e tutto il mondo, erano abituati. Del resto ne erano passate di generazioni  da quando quei colori sgargianti erano stati visti per l’ultima volta. Si interpellò allora il Pontefice, che risposte: “Fidatevi dei professionisti”. E così, col placet del Santo Padre, il restauro andò avanti e il 28 gennaio del 2018, con una solenne celebrazione, la Salus Populi Romani tornò a casa sua, incastonata al centro di un altare barocco tirato e lucido, accolta dallo stesso Papa Bergoglio e da migliaia di romani che finalmente potevano fissare negli occhi la loro madre.

Col restauro il quadro ha recuperato tutti i colori originali. Chi entra a Santa Maria Maggiore può dunque ammirare il manto blu realizzato in lapislazzulo afgano. E questo è accaduto, hanno precisato dai Musei Vaticani, perché l’opera è stata realizzata con un eccellente qualità tecnica. Resta ignoto l’autore: la tradizione attribuisce il quadro a San Luca evangelista, il cui braccio è custodito in un prezioso reliquiario esposto nel Museo della basilica di Santa Maria Maggiore. Ma dall’analisi al C14, eseguita col metodo del doppio-cieco (i campioni sono stati inviati a due laboratori diversi senza specificare di cosa si trattasse) ha rivelato un’altra verità: l’opera è datata intorno all’anno 1000 d.C., con un arco temporale di circa 75 anni.

Di certo c’è che la Salus è un’icona che è ha sempre avuto questa forma. Diversi studiosi avevano avanzato l’ipotesi che potesse trattarsi di una figura intera poi tagliata. Dalle indagini è emerso il contrario: la figura che noi vediamo oggi era così anche all’origine.

Per preservarne la bellezza e l’integrità, oggi l’icona della Salus Populi Romani è custodita in una teca climatizzata ed è sotto un monitoraggio permanente: umidità e temperatura sono costanti e anche la luce che illumina il quadro è stata studiata ad hoc per non rovinare la pittura.

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