Liu Bolin e l’arte di confondersi

12 dicembre 2011 | 23:40
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Liu Bolin e l’arte di confondersi

Il Faro on line – Superato il rischio dell’omologazione con la presa di coscienza che quello di fronte a noi non era uno specchio, ma il vicino di casa. Tra realtà virtuali e sistemi di comunicazione che hanno reso possibile il teletrasporto e la felicità sintetica. E mentre le multinazionali fabbricano negli stessi stampi protesi mammarie e pneumatici di silicone, noi cominciamo a smaterializzarci pezzo dopo pezzo. Non si tratta dell’evoluzione del giovane gabbiano Jonathan Livingstone. Fatti nè di materia , nè di antimateria siamo ovunque senza essere in nessun luogo. Ce lo ricordano gli occhi dell’uomo invisibile: il cinese Liu Bolin che si mimetizza tra  ponti e architravi, che riesce a camuffarsi sui muri lisci o sul sipario di un teatro con operazioni che lasciano intendere una pazianza più che certosina, stoica. Trasparente nell’aria, evanescente nello spazio vuoto, lascia di sé nient’altro che l’inquietante sensazione di una probabile, indistiguibile presenza. Senza nemmeno l’ausilio di Photoshop. Tutto, veramente finto. Nemmeno Orwell è arrivato a questo punto. Se Bolin da giovane sia stato entomo-zoologo, osservatore di specie buffe come insetti rametto o insetti foglie non ci è dato sapere. Ma ci lasciamo suggestionare la memoria con analoghe scene grottesche di film più o meno famosi. Ne sono due esempi Zach Braff in camouflage con la tappezzeria camp della zia in Ritorno a Garden State e la figlia di Katleen Turner che gioca alla salamandra criptica in House of Cards.
Liu Bolin indeciso fra  l’Essere e il Non Essere realizza questi scatti con l’aiuo dell’artista Andrea Facco e della restauratrice Cristina Giacalone, che portano al seguito un trolley con 30 Kg di colori acrilici. La preparazione può durare anche svariate ore. Lo scatto è invece eseguito da Luca Elettri.
Che forse la recessione sia diretta conseguenza della regressione? La comunicazione contemporanea sta moltiplicando all’infinito i canali di diffusione, mentre si riduce a pura funzione fatica in codice binario. Il linguaggio, nato come forma di differenziazione ha una funzione metonimica col proprio referente: con la contemporaneità ne decadono i principi ontologici e dunque ragion d’essere. Una vera e propria involuzione nell’indifferenziato. Nessuna soluzione di continuità tra ciò che sono io e tutto il resto.
La domanda è quale sia il vantaggio evolutivo di questo tipo di mimesi? Un uomo immobile che cerca di diventare trasparente ha il fascino sinistro di un’epoca senza coraggio, senza Uomini Nuovi, in cui non solo “No Ai Banda”, ma sul palco non c’è neppure l’ombra dell’uomo, né di un Diogene che lo cerca.
Un’acquisizione della galleria veronese Boxart, di geniale, autocosciente masochismo.
Federica Polidoro