“Pena di morte”, focus all’istituto Giulio Verne di Acilia

22 dicembre 2012 | 00:56
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“Pena di morte”, focus all’istituto Giulio Verne di Acilia

Simona Gamorra Bulla: “Questo evento ha voluto rappresentare un momento di riflessione per gli studenti”

Il Faro on line – Si è svolta presso l’aula magna dell’Istituto Giulio Verne di Acilia la giornata internazionale “Città per la vita – Città contro la pena di morte”, cui hanno preso parte docenti e studenti. Tra i presenti Marat Rakhmanov, un uomo di 40 anni, nato in Urzbekistan, arrestato e condannato a morte per un reato mai commesso. Era il 1999 quando si recò a Samarcanda per trascorrere un po’ di tempo con la sorella e la nipotina. Lì, nel mese di agosto, fu arrestato con l’accusa di duplice omicidio di una donna e una bambina che il giorno prima del delitto fecero visita alla sorella di lui. Per costringerlo a confessare un reato mai commesso, Marat è stato sottoposto a torture di ogni genere fino allo svenimento. “Per farmi confessare mi dissero di aver catturato mia sorella e sua figlia e di aver sottoposto entrambe a torture anche peggio delle mie… e così fui costretto a cedere”.

Nel 2000, esattamente un anno dopo l’arresto, arrivò la condanna a morte da un tribunale di Samarcanda e fu trasferito nel braccio della morte, nei sotterranei del carcere. Qui fu privato della sua identità e della luce, fu costretto ad indossare una divisa a righe simile a quella utilizzata nei lager nazisti e venne identificato con un numero. “Lo scopo era quello di annientare la psiche – spiega Marat – eravamo privati della luce perché non ci era permesso conoscere il giorno o il mese corrente. Non era nostro diritto sapere quando sarebbe avvenuta l’esecuzione e questa poteva avvenire in qualsiasi momento… la fortuna è stata quella di non perdere mai la speranza”.E possiamo dire che alla fine la speranza ha prevalso. Grazie, infatti, all’assistenza legale di Tamara Ivanovna Chikunova, Marat fu riconosciuto innocente e rilasciato nel gennaio 2008. 

Tamara, spinta dal dolore per l’ingiusta uccisione del figlio, condannato a morte e fucilato nel 2000 a 29 anni, ha fondato l’associazione “Madri contro la pena di morte e la tortura” insieme ad altre donne che hanno vissuto questa stessa triste esperienza. Grazie alla sua battaglia, ha ottenuto la cancellazione della pena di morte in Urzbekistan, salvando anche 21 persone, fra le quali Marat.

“Per 4 anni non ho mai raccontato la mia esperienza – racconta Marat – perché se ricordi continuamente il male subito, la rabbia ti porterà via le parti migliori della vita. E’ importante imparare a perdonare e non lasciare spazio alla vendetta”. 

Marat ha deciso di offrire la propria testimonianza su richiesta della Comunità di S. Egidio, che, insieme anche ad Amnesty International, ha lottato per la sua liberazione.Alla conferenza è intervenuto anche Stefano Orlando, referente dell’associazione “Giovani per la pace”, il quale ha sottolineato come Tamara e Marat siano persone vincenti in quanto non hanno mai pensato alla vendetta, ma hanno invece saputo perdonare.

“Questo evento ha voluto rappresentare un momento di riflessione per gli studenti del Istituto Superiore Giulio Verne sul tema della pena di morte. – spiega la professoressa di psicologia Simona Gamorra Bulla – La pena di morte è un sintomo di una cultura di violenza, non una soluzione ad essa. Eseguendo una condanna a morte, lo Stato commette un omicidio”. 
“Ogni essere vivente – prosegue Stefano Orlando –  ha diritto alla vita indipendentemente dal colore della pelle o dalla religione”. Marat adesso ha ricominciato a vivere, è sposato ed è padre di due figli, lavora e frequenta un corso per corrispondenza di scuola alberghiera. E tutto questo perché è stato capace di perdonare”. 

Dalla preside dell’Istituto Giulio Verne, Raffaella Massacesi una esortazione agli studenti: “Dovete tirare fuori le potenzialità che avete dentro”.
Alessandra Ricci