Fiumicino strangolata dalle “interpretazioni delle norme”

28 settembre 2015 | 08:15
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Fiumicino strangolata dalle “interpretazioni delle norme”

Il caso dei vincoli idrogeologici, la legge Sarno e la disposizioni immediatamente attuative

Il Faro on line (Appunti di viaggio) – Nella patria culla del diritto, una norma dovrebbe essere soltanto una norma. Cioè a dire che dovrebbe esserci certezza sull’utilizzo della stessa e sulle sue conseguenze. Ma siamo anche la nazione degli azzeccagarbugli, ed ecco allora che entra in gioco l’interpretazione della norma, che in alcuni casi può addirittura stravolgerla, il più delle volte la forza fino a piegarla. Se questo sia o meno il caso di Fiumicino spetterà all’amministrazione comunale, se ne avrà voglia e tempo, di verificare. In ballo ci sono i famosi vincoli che bloccano l’edilizia, e con essa lo sviluppo della città. Più nello specifico parliamo delle competenze dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere; che sono enormemente cresciute nel corso degli anni, ma alle quali comunque sono posti dei limiti.

Questo ente fu creato a seguito dell’emanazione della legge 183/89, e aveva lo scopo di studiare, regolamentare e vigilare sul rischio idrogeologico e di indicare gli  interventi da attuare per mitigare questo rischio ai fini della messa in sicurezza di territori fragili. Con la legge Sarno 267/98 si introduce un vero e proprio potere sostitutivo del Consiglio dei Ministri rispetto alle amministrazioni locali inadempienti.

In venticinque anni, cioè dalla creazione dell’Ente, ci si sarebbe aspettata un’analisi ormai definita e chiara del territorio; invece non si sono ancora del tutto compresi i rischi derivanti dai tratti principali e secondari dei bacini idrici di competenza, nonostante i numerosi studi commissionati in forma parcellizzata ad eminenti professori universitari . Al punto tale da continuare a porre vincoli molto generici e definiti in modo puntiforme che sembrerebbero dettati più da un sentimento di prevenzione generalizzato piuttosto che da una reale conoscenza dei rischi concreti di un territorio. Per la  nostra area peraltro  ancora brancola nel buio visto che ogni 3/4 anni tira fuori studi che attestano  nuove e diverse criticità idrauliche senza arrivare mai proporre – come sarebbe più logico e corretto – un piano ed un progetto definitivi di messa in sicurezza del territorio e della gente che già ci vive.

Tutto ciò tutto accade tramite quella che sembrerebbe – e qui starà al Comune verificare – una forzatura della legge che definisce come si debbano approvare i piani di bacino (PAI) e gli strumenti di partecipazione del cittadino, degli enti locali e dei loro rappresentanti politici.
Andiamo per ordine:
1) La legge prevedeva, prima della sua modifica, che una variante al PAI dovesse essere approvata tramite un iter piuttosto complesso che coinvolgesse gli organi politici (comitato istituzionale) che desse tempo (90 giorni) al cittadino per consultare e formalizzare le proprie  osservazioni alla proposta di modifica. Il tutto poi si concludeva con la definitiva approvazione da parte del presidente del consiglio. A quel punto scattavano i vincoli. 

2) Poi c’è stata la necessità di intervenire più rapidamente. E dunque oggi, utilizzando quel comma 5 dell’art 43 del PAI,  l’Abtevere, nella figura del suo segretario generale, modifica piani di assetto con una procedura molto semplificata, senza alcun passaggio politico e con tempi molto contratti per le osservazioni dei cittadini.

3) Tali modifiche poi, prodotte con decreto segretariale, si vorrebbero immediatamente operative, quando la norma prevede la ratifica del Presidente del Consiglio. Per la verità c’è un caso in cui non serve il parere dei ministri, ed è quello in cui, dopo aver apposto dei vincoli e stabilito delle prescrizioni, queste vengano correttamente eseguite. La deperimetrazione, dunque, potrebbe seguire strade velocizzate. Per togliere i vincoli, dunque, ma non per metterli. Il segretario generale, utilizzando una norma del PAI inserita per rendere più rapida e snella l’eventuale declassificazione di un territorio per avvenuta realizzazione di opere di messa in sicurezza, sembrerebbe volerne forzare l’interpretazione – e torniamo al punto di partenza – stravolgendone il senso e modificandola, di fatto aumentando il potere interdittorio su una comunità.

In sostanza, al di là delle osservazioni che ora cittadini, proprietari di terreni e costruttori faranno, ognuno per proprio conto o riuniti in associazioni, potrebbe esserci un vizio di fondo nell’ultimo vincolo posto sul territorio. Se così fosse, e solo gli uffici comunali competenti hanno la possibilità formale di sollevare la questione, l’ultimo vincolo sarebbe ben lontano dall’essere operativo.
Angelo Perfetti