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Intervista a Fabrizio Donato: “Non è stato il salto della vita, ma la medaglia di Belgrado ha un sapore particolare”

17 marzo 2017 | 07:00
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Intervista a Fabrizio Donato: “Non è stato il salto della vita, ma la medaglia di Belgrado ha un sapore particolare”
Intervista a Fabrizio Donato: “Non è stato il salto della vita, ma la medaglia di Belgrado ha un sapore particolare”
Intervista a Fabrizio Donato: “Non è stato il salto della vita, ma la medaglia di Belgrado ha un sapore particolare”

Tra i grandi dell’atletica, Donato sfida continuamente i suoi limiti. Pericoli, suo ex allenatore, aveva previsto l’argento indoor

Intervista a Fabrizio Donato: “Non è stato il salto della vita, ma la medaglia di Belgrado ha un sapore particolare”

Il Faro on line – Appena presentato dallo speaker, del Kombank Arena di Belgrado, nel pomeriggio dello scorso 5 marzo, Fabrizio Donato ha fatto ufficialmente ingresso, nella sua terza finale indoor, nel triplo, con medaglia. Una strada lunga, dietro di lui. E la sua espressione, concentrata, ma anche di quelle che dicono: “Eccomi di nuovo qui a 40 anni”, ha incorniciato in seguito, una prestazione da podio. Dal 1995, Donato veste i colori della Guardia di Finanza e con grande orgoglio. Lo ha sottolineato, durante la conferenza stampa del 15 marzo. Solo 10 giorni solamente, a separare l’attuale vicecampione europeo indoor, da quegli attimi storici.

Tuttavia, il valore di un Donato che continuamente da il meglio di sé, in pedana, con impegno e sacrificio, può non dare stupore, per la conquista di questo ennesimo podio. Probabilmente, l’incredibile sta nel cercare ogni volta di primeggiare. E’ nel suo carattere. Scegliere le cose difficili e farle bene. Anche questo ha dichiarato in conferenza stampa, come testimoniato dall’articolo precedente de Il Faro on line: “Come spesso mi capita, le cose semplici non vengono mai bene. Voglio sempre rischiare, andare al limite”.

Lo ha detto al suo destino allora, sotto il tetto coperto dell’Arena serba. E lo ha fatto, nel modo in cui solo un atleta può fare. Con il suo corpo. E Fabrizio ha imparato ad ascoltarlo e non solo in gara. E’ stata una preparazione travagliata per lui, destinazione Belgrado, ma la vicinanza delle Fiamme Gialle e di tutti coloro che lo seguono, ha dato alla medaglia di bronzo di Londra 2012, la forza e l’ottimismo, per tentare la firma sulla storia. E quella fascia di capitano ricevuta, prima di salire sull’aereo, con la delegazione azzurra dell’atletica leggera, ha investito un campione di una responsabilità certamente, ma allo stesso tempo, di qualcosa che vale più di una medaglia. La fiducia e l’omaggio a chi, in carriera, non ha mai mollato e si è fatto sempre trovare presente, in pedana. Un esempio, Fabrizio. Per tutti coloro che praticano atletica leggera. Un campione dai valori puliti. Semplice, come la sua passione per lo sport e l’approccio nella quotidianità.

Tre volte in carriera, Donato ha centrato il bersaglio, negli indoor. Non solo l’argento ultimo di Belgrado, conquistato al secondo tentativo, e con una misura fino a quel momento dorata, di 17,13, ma anche l’oro di Torino, nel 2009, con 17,59, ma anche l’argento di Parigi, la volta dopo. Due Europei in sala, che hanno segnato la sua carriera. Ed in Francia, Fabrizio fece 20 centimetri in più. Un 17,73 da incorniciare. Ma non solo per lui, sono arrivati i successi in sala. Anche all’aperto e sotto il sole, il vicecampione continentale di Belgrado ha saputo spingersi oltre. Prima di Londra, nel giugno del 2012, con la sua scarpa dedicata ed autografata da sua figlia Greta, in mano, festeggiò il titolo europeo, di fronte alle telecamere di Raisport. Un oro per lui, battuto sulla sabbia con 17,63. Solo un paio di mesi più tardi, la forza e la forma del suo corpo, non ha tradito i suoi sogni ed il podio olimpico, si spalancò di fronte ai suoi occhi, conquistato con 17,48 e tutto di bronzo. Tuttavia, c’è sempre una mentalità che non lo abbandona. Cercare sempre il meglio e quel salto della vita, ancora non è arrivato per lui e neanche a Belgrado: “E’ stato un bel salto, anche se non quello ideale. Non quello, della vita”. In questo modo, risponde in conferenza stampa ad Il Faro on line.

Davanti a quel tratto di pista da percorrere in tre salti, sapendo che atterrare nella buca della sabbia, significa fare podio, Fabrizio ha accigliato sguardo e alzato il cuore. Un salto lungo il suo. Pulito, fluido e veloce. Dall’aspetto storico. Il suo corpo ha parlato. Ce ne sono stati di salti nella sua carriera e lui se n’è portati un bel po’ a Belgrado. Come ci si arriva, fin lì, a fare una misura importante ? Ogni volta è un mistero e neanche, le lunghe ed impegnative sedute di allenamento, possono svelarlo. Questa volta, Fabrizio lo ha vissuto da solo e si è preparato, con tutta la sua esperienza accumulata. Lo ha fatto tuttavia, insieme ad un grandissimo del lungo e dell’atletica leggera azzurra. Andrew Howe è stato il suo allievo, nel periodo pre – europeo. Ancora adesso, nei giorni dopo, la competizione continentale, i due atleti azzurri vivono allenamenti e salti, al Centro Sportivo delle Fiamme Gialle.

Ma è alla ricerca del salto perfetto. Di quello che ti fa dire : “Eccolo, è quello che cercavo”. Lui lo spiega in questo modo, per i lettori di testata: “Non nascondo che vado avanti, perché ancora non ho assaporato e sentito, il salto della vita. Sono matto ? – aggiunge ridendoprobabilmente si, è quello che sento”. Giustamente, lo dichiara Fabrizio e continua a spiegarlo: “Pur avendo sentito un salto fluido, leggero e scorrevole, non è stato quello, che tanto sognavo di fare”. Ma il cercare ancora, la prestazione perfetta, prende per mano il finanziere di Castel Porziano, alimentando i suoi sogni futuri. Tutti in tv, quel pomeriggio hanno notato la sua espressione post salto. E’ andato oltre, la misura richiesta per l’oro in buca e Donato ha guardato quella sua impronta, lasciata sulla sabbia. Cosa avrà pensato tra sé ? Questo è quello che dichiara ad Il Faro on line: “Molto spesso, nei nostri salti buoni, la nostra prestazione scaturisce una reazione che non ti aspetti. Essa può essere talmente naturale e spontanea che, in quel momento è incontrollabile. Non c’è stata esultanza”. Può fare di più Donato. Lo sa. Si conosce. E lo sanno tutti gli addetti ai lavori. Conosco il loro campione azzurro, del triplo: “Ho fatto un bel salto. Ma posso fare di meglio”. Ecco, la sua umiltà. La sua semplicità. Quella di un vero atleta. Si vince tanto in carriera, ma ogni volta, si torna in palestra ed in pedana per provare ancora. Pomeriggi assolati, come quelli ricchi di nuvole. Il tempo meteorologico non scoraggia, se la pedana attende, il salto della vita. A Belgrado, quello bagnato d’argento a 17,13, si è avvicinato alla perfezione desiderata: “E’ stato simile al mio salto ideale – dice Fabrizio – pur avendo lasciato 20 centimetri di tavoletta. I salti buoni ce li conserviamo. Non li sprechiamo”.

Anche se non è stato quello da lui atteso, la medaglia scaturita dal triplo di Serbia, ha per lui un valore speciale. Probabilmente, più ricco del bronzo di Londra: “E’ chiaro che la medaglia olimpica, è il sogno di ogni atleta – dice, a margine della conferenza stampa, ad Il Faro on linenon nascondo che la mia ultima medaglia, ha avuto un sapore particolare. L’ha avuto, anche perché è stato il mio primo alloro, da allenatore di me stesso”. Si è sentito Fabrizio, in quei giorni difficili ma entusiasmanti, ante Belgrado. Anche in questo modo, il finanziere di Latina ha continuato a crescere, anche come uomo: “Si cresce, si diventa grandi. Era ora di prendere in mano, la propria vita. E riuscire al primo appuntamento internazionale a conquistare una medaglia così importante, è stata una soddisfazione”.

Per tanti anni, Roberto Pericoli, oggi membro della staff azzurro della Nazionale, della Federazione Italiana di Atletica Leggera, è stato il suo allenatore. Consigli, insegnamenti e chiacchierate, in pedana. In allenamento, come in gara. Un patrimonio immenso di conoscenze per Donato, che ha messo in pratica, rosicchiando qualcosa anche dalla sua esperienza personale, ciò che Roberto per anni, gli ha consigliato: “La mia linea guida è stata quella, che lui mi ha insegnato, in questi 20 anni. Ho apportato da solo, alcune modifiche. Alcuni accorgimenti che ho sperimentato su me stesso. Alcune cose le ho studiate. E’ stato difficile farlo, ma divertente, allo stesso tempo. Affascinante e molto stimolante”.

E sono arrivate parole importanti, di elogio, da quel suo allenatore, che per 20 anni lo ha guidato e che la mattina del 15 marzo, non ha voluto mancare alla celebrazione del suo campione, in Sala Tito: “La medaglia di Fabrizio è stata importante – dichiara Roberto Pericoli, ad Il Faro on line, continuando – aveva ancora due medaglie in canna, una era questa. L’avevo già prevista. Fare il tecnico è nel suo dna e nel suo futuro. Non poteva interrompere la sua carriera, senza aver sperimentato che cosa succede, vivendo il triplo da questo ruolo. Bisogna imparare ad ascoltarsi”. Ecco allora, da dove erano arrivati quei concetti espressi da Donato. Ecco allora, l’argomento di tante chiacchierate insieme a bordo pedana: “A 40 anni – continua a spiegare, Pericoli – si ha una motivazione che è fuori dalla norma”.

L’assistente azzurro del Direttore Tecnico della Nazionale di atletica leggera ha espresso il suo pensiero, anche nei confronti di Randazzo e Tortu. Loro come i tanti giovani talenti italiani possono crescere ancora e conquistare traguardi prestigiosi. L’importante è farlo gradualmente, passo dopo passo: “Bisogna ringraziare questi ragazzi, che si sono dimostrati talentuosi. Grazie alle risposte, che sono stati in gradi di dare. Fino al sogno olimpico, come alla medaglia mondiale, c’è ancora della strada. Bisogna dare degli step, per poter pensare in termini di quadriennio fino a Tokyo. Potranno crescere passo dopo passo. Randazzo e Tortu sono una chiara dimostrazione di questo. Devono fare il loro percorso, per arrivare ad essere gli atleti che stanno dimostrando di essere”.

Foto : Giuseppe Marchitto/Ufficio Stampa Fiamme Gialle