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#Fiumicino, discriminazioni a scuola, il rebus del pasto da casa

I bambini che non usufruiscono del servizio mensa sono obbligati a consumare il pasto in classe, ma il Miur dice il contrario.

Fiumicino, discriminazioni a scuola, il rebus del pasto da casa

Il Faro on line – Comincia nelle aule del Tribunale di Torino la battaglia che alcuni genitori, hanno combattuto per permettere ai loro figli di portare il pranzo da casa invece di usufruire del servizio mensa della scuola.

La “scacchiera del nord” in breve tempo ha invaso altre regioni dello stivale, convincendo anche alcuni genitori del nostro Comune ad intraprendere la stessa battaglia.

A Fiumicino l’avvento del pasto da casa risale al settembre dello scorso anno, quando “l’aumento sconsiderato delle tariffe della refezione scolastica da parte del Comune unitamente ad una qualità sempre più mediocre – dichiarano alcuni genitori –  ci ha spinto a considerare questa opzione”.

La sentenza della Corte d’Appello di Torino n° 1049 del 21/06/2016 ha riconosciuto il pieno diritto, per i bambini, di poter consumare il proprio pasto  a scuola, in particolare il  “diritto di partecipare al complessivo progetto educativo e formativo che il servizio scolastico deve fornire nell’ambito del ‘tempo scuola’ in tutte le sue componenti e non soltanto a quelle di tipo strettamente didattico”, cosiderando anche le ore dedicate al pasto come formative a tutti gli effetti.

Forti delle parole del Giudice, circa 100 famiglie fiumicinesi, hanno provveduto ad inviare alle scuole la disdetta al servizio di refezione, dandone tempestivamente notizia anche al Comune.

A seguito di questa “mossa” i dirigenti scolastici hanno assunto atteggiamenti differenti.

“La Preside dell’Istituto Comprensivo G.B.  Grassi, dottoressa Maria Pia Sorce, ha fin da subito consentito ‘il cestino da casa’ – dichiarano alcuni genitori  – subordinandolo, tuttavia alla sottoscrizione di una liberatoria”.

In particolare si chiedeva ai genitori di sollevare la scuola da qualsiasi responsabilità  in merito alle problematiche legate alla fruizione del pasto stesso da parte dei bambini.

La questione era legata ai minori eventualmente allergici o intolleranti a certi alimenti, che sarebbero potuti entrare in contatto con cibi a loro vietati.

“Ma la stessa cosa non potrebbe capitare anche in mensa dove i bambini intolleranti comunque consumano il loro pasto con gli altri? – tuonano i genitori.

“Non è forse vero – continuano –  che abitualmente i bambini si scambiano le merende durante la ricreazione  e mai nessuno ha nulla da ridire?”.

Al rientro dalle vacanze natalizie una brutta sorpresa accoglie gli allievi sui banchi di scuola.

Viene consegnato a mano, ai bambini interessati, una circolare in cui si comunica che, a partire dal 9 gennaio, il pasto deve essere costituito da cibi che non temono sbalzi di temperatura, cioè, in termini casalinghi, cibi secchi come un pacchetto di crackers o di grissini, per intenderci.

Il problema è di tipo organizzativo oltre che igienico. Immaginiamo che un  pasto completo, consumato in classe, magari da più bambini, sia un aggravio di lavoro anche per i collaboratori addetti alle pulizie.

“Beh, siamo molto lontani dal diritto soggettivo e dal progetto educativo di cui parla il Giudice di Torino!” – commentano i Portavoce.

Il 3 marzo 2017 la svolta.

Il Miur in una nota, invita le dirigenze scolastiche a consentire l’accesso ai locali destinati alla refezione scolastica anche ai “bambini del pasto da casa”.

“A seguito di tale documento alcuni  di noi – commentano con forza i genitori – hanno inviato alla Dirigente una diffida, per esortarla ad adeguarsi alle raccomandazioni del Miur ed a interrompere il perdurare della situazione di discriminazione a cui da mesi costringe i nostri figli nelle ore di pranzo”.

I bambini tuttavia sono ad oggi costretti a consumare il proprio pasto in classe, sul banco, dove svolgono 8 ore di attività didattica, mentre i loro compagni proseguono la ricreazione.

Cosa ancora più incredibile i bambini che consumano il pasto da casa vengono comunque portati in mensa, guardano digiuni i loro compagni che mangiano e solo dopo vengono riportati in classe a mangiare nel tempo che avanza, da soli.

Ora di chi è la colpa di questa situazione? Secondo i genitori è tutto scritto nella nota del Miur in cui si invitano i dirigenti scolastici ad adottare, per il pasto da casa, misure analoghe a quelle adottate nei casi di consumo di “pasti speciali” (soggetti intolleranti/allergici) che appunto vengono consumati in mensa.

Nella nota si legge altresì che i dirigenti, per gli aspetti di loro competenza, devono valutare le soluzioni più idonee a far consumare agli allievi il pasto domestico, assicurando la tutela delle condizioni igienico-sanitarie e il diritto alla salute.

“La dirigente deve consentire ai nostri bambini di consumare il pasto in mensa, al pari dei pasti speciali così come raccomandato dal Miur”- sbattono i pugni i genitori.

Qui nasce il problema, perchè secondo la Preside, tale decisione non rientra nella sua competenza in quanto i locali sono della scuola ma il servizio di refezione è fornito dal Comune.

Questo il rebus: chi decide?

“Siamo pronti a combattere per vedere materializzato un diritto peralto già riconosciuto nelle sedi giudiziarie, affinchè i nostri figli non siano più discriminati. Sono mesi che i nostri bambini sopportano le conseguenze di un meccanismo burocratico che non funziona” – concludono i Genitori.