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Salesiani ‘sfrattati’ dalla Casa generalizia mondiale

2 ottobre 2017 | 06:30
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Salesiani ‘sfrattati’ dalla Casa generalizia mondiale

Si conclude in questi giorni, in modo epocale, una vicenda che si trascina dal 1996.

Il Faro on line – Don Bosco si starà rivoltando nella tomba. La lunghissima vicenda dell’eredità del marchese Gerini ha avuto infatti il proprio epilogo con la cessione da parte dei Salesiani al faccendiere siriano Carlo Moisè Silvera della propria Casa Generalizia, quella di via della Pisana 1111. Biblioteche, refettori. uffici, sale, archivi, garage, vani tecnici. alloggi: 169 camere, tutte con bagno interno, ognuna di circa 20 metri quadrati, distribuite su una palazzina di cinque livelli.

Tutto finirà nelle mani del faccendiere che ha curato gli interessi degli eredi Gerini, acquisendone poi i titoli ereditari a fronte di cessioni onerose. Ce ne dà conferma l’avvocato Dario Faratro, che ha seguito la vicenda fin dall’inizio.

La Casa generalizia fu messa all’asta già da 2014, ma diversi tentativi di vendita sono andati sistematicamente a vuoto, Nel frattempo i Salesiani avevano intentato una causa per truffa contro il faccendiere Carlo Moisè Silvera, l’avvocato Renato Zanfagna (avvocato dei Salesiani al tempo) e don Giovanni Battista Mazzali (ex economo generale dei Salesiani al tempo); ma anche quest’ultimo baluardo per evitare il doloroso cambio di proprietà di quegli 84.000 metri quadrati è crollato con la sentenza di assoluzione del giugno 2017.

A quel punto Silvera, creditore di 65 milioni di euro, stante il fatto che la casa non trovava acquirenti, ha chiesto di entrare in possesso del bene, e i Salesiani, obtorto collo, o forse per ammortizzare un debito che nel frattempo era lievitato fino a circa 90 milioni, hanno ceduto.

Nemmeno Dan Brown avrebbe potuto immaginare un epilogo del genere. Valigie in mano, i Salesiani se ne devono andare da quella che è stata da sempre la roccaforte della società di San Giovanni Bosco . Dove? Probabilmente alla Chiesa del Sacro Cuore, dietro alla Stazione Termini, quella chiesa voluta fortemente da don Bosco appena il Papa approvò le costituzioni.

Papa Pio IX (morto nel 1878) aveva infatti fatto acquistare un terreno sulla strada allora denominata Via di Porta San Lorenzo (l’odierna via Marsala) con l’intenzione di farvi edificare una chiesa da dedicare a San Giuseppe, che l’8 dicembre 1870 era stato dichiarato dal pontefice “Patrono della Chiesa universale”. Ma i lavori non procedevano…
Così il 5 aprile 1880 Leone XIII incarica don Bosco di assumere la responsabilità del progetto. Oggi quella struttura potrebbe diventare la nuova Casa generalizia dei Salesiani.

Per capire come si sia arrivati all’epilogo odierno, però, bisogna ricordare la vicenda.

Il contenzioso

Nel 1990 il “marchese di Dio” Alessandro Gerini muore e, non avendo figli né essendo sposato, pur avendo tra fratelli e sorelle quattro possibilità di destinare i propri beni, lascia l’eredità ai Salesiani. Sei anni dopo una delle nipoti, Giovanna Gerini (figlia del fratello di Alessandro), impugna il testamento e chiede conto dell’eredità. I parenti del marchese, assistiti dal faccendiere siriano Carlo Moisè Silvera, chiudono una transazione per riconoscere agli eredi il 15% del valore complessivo: 16 milioni di euro a fronte di un patrimonio stimato in 180 milioni.

Il compromesso fallito

La Fondazione accettò pensando di potersela cavare vendendo tutti i terreni posseduti nella zona denominata Pesce Luna, nel territorio di Fiumicino, stimata una cinquantina di milioni. Ma l’affare saltò, a causa di una intricata controversia sulla proprietà dei terreni, sui quali nel frattempo erano state fatte trascrizioni. Non solo, ma il successivo – e più grave – problema è proprio relativo alla stima: infatti la verifica finale sui beni fece schizzare la valutazione complessiva a 658 milioni, fissando così il prezzo della transazione a 99 milioni.

L’8 giugno 2007 la questione sembra chiusa con la firma delle parti. Ma la Congregazione non paga, e così Silvera fa ricorso al tribunale di Milano ottenendo il pignoramento dei beni del Salesiani per 130 milioni (cosa possibile perché la legge prevede il pignoramento fino a una volta e mezzo il credito vantato).

L’intervento del Papa

In un carteggio tra il cardinal Bertone – che diede il consenso alla originaria soluzione negoziale – e Benedetto XVI (agli atti della Procura di Roma) il Papa diede indicazioni per non seguire alcuna strada alternativa ordinando di attendere le decisioni della magistratura. Che arrivarono a fine 2012.

La posizione di Bertone, che affermò di essere stato raggirato rispetto al valore del patrimonio dei Salesiani – scoprendo solo dopo la firma il comportamento di Silvera, definito “fraudolento” dall’ex Segretario di Stato vaticano – non fece breccia nella magistratura. Che invece stabilì in prima battuta come non ci fosse stata truffa, e come dunque l’accordo per la spartizione del beni dei Salesiani fosse valido. Accusa che a giugno 2017 è definitivamente caduta.

L’autogol di Bertone

Paradossale è come verosimilmente sia stata proprio la testimonianza di Bertone a far cadere il castello accusatorio nel processo per truffa, nel momento in cui ha chiarito in dibattimento come don Giovanni Battista Mazzali fosse contrario all’operazione proposta da Silvera, e fu il Segretario di Stato in persona a spingere affinché si seguisse quella strada.

Tecnicamente ora ci sarebbe spazio per un appello, ma il debito consolidato propone più miti consigli. Sfratto esecutivo, dunque, o meglio “passaggio di proprietà” e trasferimento in altra sede. Con un ultimo “dispettuccio” contro Silvera: la chiesetta interna è stata considerata per le “messe pubbliche”, costringendo dunque qualsiasi proprietario a lasciare la servitù di passaggio e la destinazione a luogo di culto. Insomma, Silvera ha vinto, ma potrà prendersi “quasi” tutto.