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Cronaca Locale
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La domenica a Terracina negli anni ’70 e il glorioso stadio ‘Bonaventura Matthias’

11 giugno 2018 | 15:00
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La domenica a Terracina negli anni ’70 e il glorioso stadio ‘Bonaventura Matthias’

Subiaco: “Su tutto questo, sul sogno, sul mito e la leggenda di Terracina, sono state costruite le case popolari. Il nostro piccolo “Ecomostro” cittadino.”

Terracina – Il vicepresidente del Circolo Legambiente di Terracina Gabriele Subiaco ricostruisce una tipica domenica terracinese negli anni “70, tra il ricordo del glorioso stadio cittadino e quel mito poi calpestato e tradito.

“Lo stadio degli eroi della nostra giovinezza, dei tigrotti biancocelesti invincibili degli inizi degli anni ‘70: Isolani, Lo Sordo, D’Auria, Vanno, Lutero, Cea, Salino, Lucidi, Zitarich, Martinelli, Metthus e poi i giovani Capozio, Frainetti e tanti altri ancora. Era ancora viva l’eco delle Olimpiadi di Città del Messico ’68 con le leggendarie imprese di Tommie Smith, di Bob Beamon e di Dick Fosbury e dei Mondiali di calcio sempre in Messico del ’70 con la notte magica di Italia-Germania 4-3 e poi la delusione della finale con il grande Brasile di Pelè.

Lo stadio della scuola calcio dei “pulcini” del Terracina, con la voglia di emulare un giorno le gesta degli eroici tigrotti, lo stadio delle reprimende di Sor Mario Colavolpe  e “palla al muro” per ore e ore fino a notte ad “educare i piedi”, quell’uomo severo ma innamorato alla follia del calcio, la grande e insostituibile passione della sua vita, quell’uomo che ci insegnava che il calcio (ma in fondo voleva insegnarci che anche la vita….ma questo l’ho capito solo dopo) è soprattutto un gioco di squadra, quindi regola numero uno: “non si vince da soli, ma passa sempre la palla al compagno più vicino e quando hai la palla cerca di fare sempre la cosa più semplice”.

Lo stadio delle belle domeniche fatte della Messa al mattino in Cattedrale per ascoltare il Vangelo che la “sora maestra” ti avrebbe chiesto immancabilmente di raccontare a scuola il lunedì successivo, seguita dalla passeggiata nel centro storico, poi il pranzo di tutta la famiglia riunita al gran completo la domenica, con l’odore di ragù e di pollo al forno che si spandevano per tutta la casa già dalla mattina presto. Poi, dopo pranzo, mio zio Vincenzo, uomo allegro e generoso, caricava tutti i ragazzini del quartiere nella sua Citroen DS con le sospensioni idropneumatiche che la facevano sollevare da terra quando la mettevi in moto, un po’ come un aereo che decollava davanti ai nostri occhi sbigottiti di bambini e stretti stretti nella macchina si andava verso il glorioso “Bonaventura Matthias”.

E qui l’attesa fremente per entrare dal grande portone di ferro di fronte al cinema Traiano con i “mammocc” che entravano, senza pagare il biglietto, però solo cinque minuti prima dell’inizio della partita. Poi, alle 14.30 in punto, il fischio d’inizio mentre le radio portatili dalle tribune strillavano: “La Stokk di Trieste presenta…Tutto il Calcio Minuto per Minuto” con le voci inconfondibili di Ameri, Ciotti, Bortoluzzi, inviati della Radio che commentavano dai campi di serie A le partite del campionato. Poi per 90 minuti i nostri occhi, incollati alla rete di recinzione, e i nostri cuori restavano incantati dalla pacata sicurezza di Isolani, dalle eleganti scorribande di Maurizio D’Auria sulla fascia sinistra, dalle marcature asfissianti dei mastini Lo Sordo e Lutero, dalla fisicità e dalla potenza esplosiva di Gigino Vanno, dalla corsa instancabile di Cea, Lucidi e Capozio, dalle generose galoppate di Salino sulla fascia destra, dai colpi di testa e dalle acrobazie di Zitarich, dalle geometrie nervose di Renato Martinelli, dai movimenti imprevedibili e dalla classe cristallina di Metthus.

E dopo la partita la consueta pizzetta da “Antonio La Marca” e il film western al Traiano o al Moderno. Poi la domenica continuava a casa con il secondo tempo di una partita di serie A in televisione, in bianco e nero ovviamente. E infine la cena, per dare fondo a quello che era rimasto del pranzo normalmente più ricco della domenica, lo sceneggiato in TV sul primo canale (erano gli anni di: “E Le Stelle stanno a guardare”, “A come Andromeda”, “Il segno del comando”, “Joe Petrosino”, “La vita di Leonardo Da Vinci”, “Pinocchio”, etc.) e alla fine il sonno ti rapiva sul divano davanti il televisore (posto, in tutte le case, su un alto carrello di ferro con due ripiani di vetro e le rotelline) dopo i primi servizi della Domenica Sportiva condotta in quegli anni prima da Alfredo Pigna poi da Paolo Frajese, e mio padre che mi prendeva di peso per mettermi a letto.

Poi, su tutto questo, sul sogno, sul  mito e la leggenda, sono state costruite le case popolari. Propri lì, al posto del nostro glorioso Bonaventura Matthias, davanti la monumentale banchina di uno dei più grandi e importanti porti dell’antichità, edificato dal più visionario e ingegnoso imperatore romano, l’ispanico Traiano che ha lasciato nella nostra Città (e nel mondo) segni maestosi e indelebili come il taglio del Pisco Montano. Ma come se non fosse bastato aver cancellato il mito, la leggenda calcistica di questa Città e spezzato il sogno di tante generazioni di giovani terracinesi, quei poveri palazzi, rappresentano anche il simbolo di un orrore urbanistico, il nostro piccolo “Ecomostro” cittadino, un vero e proprio sfregio al paesaggio urbano, uno squarcio sul viso di bellezza millenaria della nostra Città. Uno scempio che non possiamo far altro che annoverare tra gli esempi architettonici di moderna sconfinata Bruttezza del nostro amato e disastrato Paese. E che si affianca, in piccolo ovviamente, ad altri orrori urbanistici nazionali, simbolo di un’architettura brutta come il “serpentone” di Corviale a Roma, le Vele di Scampia, il Laurentino 38, lo Zen a Palermo e molti altri ancora. Tutti esempi di “monumenti all’insipienza di chi ha scambiato i valori collettivi con la mancanza di rispetto per i diritti individuali” come ha affermato il sociologo Franco Ferrarotti. Di chi ha pensato di sostituire il ghetto orizzontale (quello delle baracche ricolme di viva umanità delle periferie di Pasolini) al ghetto verticale (quello dei palazzoni disumani e disumanizzanti). Di chi ha ignorato che la civiltà può crescere solo con e nella Bellezza. Perché la Bellezza, la sua conservazione, la sua cura, e la lotta continua perché non venga calpestata, contro chi tutti i giorni tenta di assaltarla per interessi privati, è bene ricordarlo, è, ieri come oggi, questione preminentemente Politica come dimostra la storia del secolo scorso e anche alcune opere di passata e recente edificazione nella nostra Città.

(Il Faro on line)