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‘Dietro le quinte’ de ‘L’animologo’, a tu per tu con la scrittrice di Formia Antonia De Francesco

2 luglio 2018 | 08:14
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‘Dietro le quinte’ de ‘L’animologo’, a tu per tu con la scrittrice di Formia Antonia De Francesco

Una nuova sfida quella della De Francesco, uscire fuori regione, trovare qualcuno che vedesse le stesse sfumature della vita che lei ha impresso su carta.

Formia – In un tranquillo pomeriggio assolato, all’ombra di un tavolino accerchiato, poco distante, da tifosi presi ad assaporare l’ennesima partita del Mondiale, la poliedrica Antonia De Francesco –classe “87- già vincitrice della terza edizione del concorso “Formia in giallo” con “Nelle pagine di Sofia” (Leggi qui la nostra intervista al riguardo)  si lascia interrogare, chiarendoci passaggi e raccontando aneddoti sulla sua ultima fatica letteraria: “L’animologo.”

Uscito il 1 aprile 2018 per la casa editrice toscana “Giovane Holden”, “L’animologo” è un romanzo introspettivo, che fa del peso specifico delle parole la principale terapia per guarire dalla frenesia della società, che alza muri così alti da farci sentire in trappola anche nella nostra mente, tanto da relegare il dialogo a qualcosa di superficiale, che avviene quasi come un automatismo senza importanza.

Una nuova sfida quella della De Francesco, uscire fuori regione, trovare qualcuno che credesse nelle stesse sfumature della vita che aveva impresso su carta, la gioia segreta ma esplosiva di approdare anche, per la prima volta, nei Saloni internazionali come è quello di Torino o di essere rintracciabile nelle più importanti librerie italiane.

Una sfida cresciuta nel tempo, perché “L’animologo” aveva un altro titolo, altri dialoghi, altri silenzi ancora da raccontare, la storia dei protagonisti, Giorgio e Levante non aveva assunto ancora quella forma, quella struttura narrativa che gli avrebbe permesso di trasmettere quella disperata ricerca di sintonia con se stessi e con il mondo, quell’accettazione che raggiungi solo quando impari che per salvarti basterebbe ingurgitare solo un po’ di “erba bollita”, quella consapevolezza che acquisisci quando impari che, prima di lamentarsi per un nonnulla, bisognerebbe viverla davvero la sofferenza, quella distanza che non si può colmare con un emoticon.

Una storia che trae la sua forza anche dal peso del “non – detto”, il silenzio che diventa balsamo, che diventa un faro nella notte e che ti insegna che i momenti più intensi e significativi della vita non li puoi chiudere dentro una cornice di legno. Ma, come ogni altra faccia della medaglia, ti insegna anche ad ascoltare con maggior attenzione, ad avere quella fine sensibilità che ti permette, anche solo con uno sguardo, di capire chi, come te, necessita di un aiuto, di quelle lettere capaci di raggiungere l’anima e di stropicciarla, di dare a chi le legge la forza di prendere a due mani il proprio coraggio e di salvarsi, ricominciare daccapo, senza, però, mai mollare nemmeno un centimetro di quelli che si è stati. Quel percorso lungo e tortuoso che, però, alla fine, permette a Giorgio di passare dall’altra parte. Da paziente ad animologo, questa “misteriosa” figura, che “attraverso un esercito di punteggiatura e diluvi di parole” ci riporta indietro, al fulcro delle cose, al culto dell’essenzialità.

La De Francesco continua, raccontando perché abbia scelto di infondere alla storia anche un importante messaggio sul rapporto con la figura materna, spiegando che, per lei,  “essere madre” non implica per forza mettere al mondo un figlio, ma sapersi rapportare con empatia e, soprattutto con responsabilità, con qualunque bambino o ragazzo si rivolga a noi in cerca di un esempio da seguire. E in questo va letto anche il rapporto che si crea all’interno della storia: la perdita che non può essere colmata non solo per il ruolo sociale che ricopre, ma soprattutto per quello empatico, la comprensione, il “ci capiamo anche solo con uno sguardo” che, una volta, diventato impossibile rischia di compromettere ogni cosa, non permettendo più di ritrovare “la retta via” e, come se non bastasse, l’incapacità di relazionarsi che hanno i due “reduci” da quella battaglia familiare, che non aiuta, che, anzi, peggiora la situazione.

E allora viene facile pensare come la soluzione a tutti i propri drammi, a quei dialoghi incapaci di spiccare il volo sia chiedere un aiuto esterno. Uno psicologo. Qualcuno che, nella convinzione generale, ha nel taschino tutte le risposte che stiamo cercando.

Ma “L’animologo” si distingue anche in questo: portatore sano del dialogo come forma essenziale di vita e di relazione sociale, la De Francesco racconta che non poteva non muovere una critica feroce in tal senso. E spiega: “La critica non parte dalrifiuto totale di un aiuto esterno o della categoria degli psicologi in genere, ma dall’abuso che ne è stato fatto. Il disinteresse dilagante che spinge, spesso, a ritenere questa possibilità come una scorciatoia anche al più semplice “Come stai?”

Un romanzo che è un viaggio quindi, nei meandri della coscienza umana, nelle zone d’ombra del nostro “io” che si palesano con prepotenza davanti al campo visivo del lettore.

Un viaggio anche la nostra intervista, che si conclude con un sorriso divertito dell’autrice che non si sbilancia troppo sui suoi progetti futuri, lasciando intendere soltanto che si, lei scrive, scrive sempre, un sequel? Forse, chissà

(Qui la trama del romanzo)

(Il Faro on line)