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La guerra in Libia si combatte anche su Facebook

4 settembre 2018 | 18:50
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La guerra in Libia si combatte anche su Facebook

Per il Nyt i gruppi armati rivali usano il social media come un’arma

Washington – Li chiamano i “guerrieri della tastiera”. E sì, perché in Libia le fazioni rivali si combattono non solo a colpi di fucile e di mortaio ma anche attraverso un’altra “arma” sempre più diffusa nel paese nordafricano: Facebook.

Nonostante la stretta voluta più volte dai vertici del colosso dei social media contro la presenza sulla piattaforma dei gruppi armati rivali, questi continuano a usare la popolare rete per scambiarsi messaggi d’odio e di violenza, informazioni e istruzioni di tipo militare, minacce. Ma anche molto di più.

A fare un quadro del ruolo giocato da Facebook in Libia – alla vigilia dell’audizione al Congresso Usa dei big dei social network – è il New York Times, che racconta come la piattaforma fondata da Mark Zuckerberg venga utilizzata dai gruppi armati anche per trovare oppositori e critici, alcuni dei quali sono stati catturati, rapiti, uccisi, costretti all’esilio.

Mentre alcuni militanti infiltrati in territorio nemico postano le coordinate dei bersagli da colpire con l’artiglieria. Il Nyt afferma poi di avere le prove di come Facebook venga utilizzato anche per facilitare il commercio di armi o il traffico di esseri umani verso l’Europa attraverso il Mediterraneo.

Ogni gruppo armato in Libia avrebbe la sua pagina Facebook, nonostante diverse pagine siano state più volte rimosse. Ma spesso le misure intraprese risultano inefficaci: come nel caso di Infowars, più volte bandita dalla rete, anche da Youtube e Apple, e poi sempre ritornata attiva sui principali social.

Insomma, se Facebook nel 2011 contribuì ad unire il Paese contro il regime di Gheddafi fino alla cacciata del rais, oggi appare più come uno strumento che alimenta le divisioni. E torna in questione il ruolo dei social media in generale, le cui piattaforme, sempre più e in diversi contesti, vengono utilizzate per veicolare messaggi politici, incitamento all’odio e alla violenza e fake news.

Tutti aspetti da cui la numero due di Menlo Park, Sheryll Sandberg, dovrà difendersi nelle prossime ore in Congresso, così come il numero uno di Twitter Jack Dorsey.

(Il Faro online)