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2 novembre, Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti

2 novembre 2018 | 15:12
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2 novembre, Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti

Commemorazione organizzata dall’Unesco, che ha lanciato sui social gli hashtag #TruthNeverDies, la verità non muore mai, e #EndImpunity, basta impunità

Il 2 novembre ricorre la Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, indetta dall’ONU nel 2013 in memoria dell’omicidio di due giornalisti francesi uccisi nel Mali nello stesso anno. Quattro anni prima, più di trenta giornalisti erano stati uccisi nel massacro di Maguindanao, nelle Filippine, in quello che è stato l’attacco mortale contro i giornalisti più grave della storia.

La Giornata riveste quest’anno un’importanza particolare dopo quanto accaduto il 16 ottobre a Malta, dove è stata uccisa da una bomba Daphne Caruana Galizia, reporter maltese componente del team internazionale di giornalisti di inchiesta vincitore del Pulitzer 2017 con le rivelazioni sui Panama Papers.

Premi e pallottole: “Un giornalista vince il Pulitzer, cento vengono colpiti”. Lo slogan dell’Unesco rende l’idea. Negli ultimi 12 anni oltre mille reporter sono stati uccisi nel mondo. Su dieci omicidi, nove rimangono impuniti. Senza contare i feriti, i minacciati, quelli che vengono arrestati e condannati per il loro lavoro.

La maggioranza dei giornalisti uccisi nel 2016 (94%) erano giornalisti locali, che riportavano storie locali. Metà delle uccisioni (50%) sono avvenuti in stati in cui non vi erano conflitti armati, comparati al 47% del 2015.

La percentuale delle giornaliste donne uccise è salita dal 5% nel 2006 al 10% nel 2016. Le donne continuano inoltre ad affrontare minacce specifiche, incluse le molestie online.

Nel 2013 l’Onu ha fatto del 2 novembre la “Giornata Internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti”. La campagna social ha un titolo più secco: #TruthNeverDies. La verità non muore mai. Ma le persone sì.

Nel 2017, con il progetto di monitoraggio dell’incolumità dei giornalisti, l’Unesco ha invitato i 62 Stati Membri nei quali alcuni casi erano rimasti irrisolti a fornire informazioni sullo stato delle indagini. Di questi, 46 hanno risposto (74%), con 41 che hanno fornito informazioni specifiche sullo stato delle investigazioni sugli operatori dei mezzi d’informazione condannati dalla Direttrice Generale dell’Unesco.

I dati confermano un leggero aumento della rilevazione fatta tra gli Stati Membri UNESCO nel meccanismo di monitoraggio e segnalazione: nel 2016 il tasso di risposta era 68%, nel 2015 47%, e nel 2014 solo 27%.

Questo miglioramento dimostra una crescente volontà da parte dei Paesi di condividere informazioni sulla tematica. Questo è, comunque, insufficiente per portare a termine gli obiettivi della Giornata Internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti.

La verità in guerra è la prima vittima” scriveva Eschilo 2.500 anni fa. Si sbagliava: anche nei conflitti di oggi le prime vittime sono i civili. Compresi quei civili che cercano e difendono la verità. Non sono fake news: al Newseum, il museo del giornalismo di Washington, c’è una parete di cristallo alta due piani dove brillano i nomi di migliaia di operatori dell’informazione a cui è stata sottratta la vita (c’è anche la nostra Maria Grazia Cutuli, uccisa in Afghanistan nel 2001).

Secondo il “Committee to protect journalists” nel 2018 sono stati ammazzati finora 45 colleghi contro i 71 del 2017. Il bilancio di “Reporters without borders” segnalava per l’anno scorso 326 detenuti, 54 in ostaggio, 65 uccisi e due scomparsi. “Quando un giornalista viene assassinato — dice uno slogan Unesco — possiamo fermarci per un minuto di silenzio oppure fare molto rumore”. Facciamo entrambi?

(Il Faro online)