La scuola al centro

Il nuovo segretario del Pd riparte dalla Scuola

14 marzo 2019 | 07:36
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Il nuovo segretario del Pd riparte dalla Scuola

Nicola Zingaretti: “Rimettere la scuola, principale arma di lotta alle disuguaglianze, al centro dell’agenda di chi governa il Paese”

SCUOLA – Rimettere la scuola, principale arma di lotta alle disuguaglianze, al centro dell’agenda di chi governa il Paese: è uno dei passaggi centrali di Nicola Zingaretti, governatore del Lazio e neo-segretario del Partito Democratico, eletto lo scorso 4 marzo con una netta maggioranza di due terzi dei votanti. L’impegno è stato preso da Zingaretti, ricorda Tuttoscuola, già nel corso della breve campagna di presentazione del suo programma in vista delle ‘primarie’ che ha poi vinto a mani basse.

Nel Pd tira aria di rinnovamento: sempre il nuovo segretario ha dichiarato di avere “avuto il coraggio di dire ora voltiamo pagina, ora le parole chiave sono cambiare e unità: il popolo è stanco delle divisioni, dei litigi e di vivere in un eterno presente o peggio nel passato”. Zingaretti ha detto quindi di volere “sbaraccare il Nazareno e ricostruire, aprire una nuova e bella sede con una libreria al piano terra“. È giunto il tempo di aprire “porte e finestre per costruire un partito totalmente diverso. Costruiremo forum tematici anche per chi non è iscritto al Pd”. L’obiettivo del nuovo leader del Pd è creare “luoghi dove si chiede alle persone non dopo i fatti, ma prima”.

GLI ERRORI DEL PD

Anief accoglie con favore le parole di rinnovamento espresse da Nicola Zingaretti. Perché l’errore capitale del Partito Democratico, durante il suo mandato al governo, è stato proprio quello di non avere ascoltato i cittadini. Le vicende che hanno contrassegnato la scuola, con la riforma Renzi-Giannini imposta nel 2015, attraverso la legge 107, è l’emblema di un partito guidato dal suo egocentrismo e privo di qualsiasi confronto con chi vive la scuola ogni giorno: essere riusciti nell’impresa di convincere quasi un milione di persone, tra docenti, personale, genitori e studenti, a scendere contemporaneamente in piazza per dire no alle riforme, per poi tirare dritto e approvarle una ad una, ha rappresentato la condanna del Pd.

La scuola è per definizione luogo di confronto, di dialettica, di scambio: non può essere un concentrato di regole da imporre e da eseguire. Ancora di più perché si tratta di cambiamenti importanti, come quello di introdurre uno pseudo-merito professionale senza prima adeguare a tutti gli stipendi; oppure di assumere in ruolo trattando gli insegnanti come se fossero delle pedine da spostare, con un algoritmo, pure “impazzito”, anche a mille e più chilometri da casa; ma anche di creare la chiamata diretta del personale, attraverso colloqui ad personam, dimenticandosi che lo Stato non è un’azienda; o, ancora, di raddoppiare le ore di alternanza scuola-lavoro, senza essersi preoccupati di eliminarne le troppe forme di sfruttamento e di approssimazione formativa.

LE PAROLE DEL PRESIDENTE ANIEF

“Voltare pagina – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – significa cancellare tutti quei provvedimenti voluti dallo stesso Pd contro il volere del 99% degli italiani. Ma anche farsi carico di assumere i precari abilitati e anche i non abilitati con 36 mesi di supplenze svolte, senza passare per i concorsi, e dare loro gli stessi diritti dei colleghi di ruolo. Significa pagare il personale con stipendi adeguati, almeno pari all’inflazione. Oltre che mandare in pensione il personale, sottoposto a forme di stress non indifferente e quindi di patologie, attraverso i parametri dell’Ape Social”.

“In generale – conclude il presidente del sindacato autonomo – rilanciare la scuola significa non fermarsi agli attuali investimenti per istruzione e formazione peri al 3,9% del Pil, contro una media europea del 4,7%. Perché senza investimenti, i nostri percorsi di istruzione continuano ad essere abbandonati dal 14% dei giovani 18-24enni, contro una media Ue del 10,6%”.

GLI ULTIMI DAI CENSIS SULL’ISTRUZIONE IN ITALIA

Anief ricorda che in base agli ultimi dati forniti dal Censis, riguardanti la situazione del 2017, a parità di potere d’acquisto la spesa per allievo risulta inferiore alla media dell’Unione Europea di 230 dollari nella scuola primaria, di 917 dollari nella secondaria di primo grado, di 1.261 dollari nella scuola secondaria di secondo grado. Ma sugli abbandoni precoci della scuola incidono non poco anche le scelte sbagliate degli alunni, nei passaggi tra un corso di studi e l’altro, soprattutto alle superiori e all’Università, per via di un orientamento scolastico ancora deficitario e approssimativo.

Anche per l’Università la spesa è sottodimensionata: in Italia si spendono 11.257 dollari per studente (7.352 dollari se si escludono le spese per ricerca e sviluppo), mentre la media europea è pari a 15.998 dollari (11.132 dollari senza ricerca e sviluppo). Con gli anni si è “spenta” anche la voglia di frequentare un corso di laurea: la percentuale dei quindicenni italiani che vogliono iscriversi all’università è passata da circa il 50% al 40%. E dal 2003 (anno del massimo storico di 338 mila matricole) al 2013 (appena 270 mila) il calo è stato del 20%. Con il risultato che oggi solo 3 diciannovenni su 10 si immatricolano ad un corso universitario, dove l’attività è sempre più ingessata, con i ricercatori che non riescono a trovare più spazio e solo un dottore di ricerca su dieci diventa professore accademico o ricercatore universitario.