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Trump lancia la sfida sull’aborto: “Sono pro-life ma non se c’è stupro o incesto”

Il tycoon lancia un chiaro messaggio anche agli ultras del movimento per la vita, prendendo nettamente le distanze dal divieto quasi assoluto deciso in Alabama

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Washington – Donald Trump sfida i democratici sull’aborto e infiamma la campagna elettorale per le presidenziali americane con un tema che rischia di spaccare nuovamente il Paese. Con una serie di tweet il tycoon ha rotto il silenzio sull’ondata di misure ultrarestrittive messe in campo dagli stati Usa più conservatori dichiarandosi “fortemente pro-life” e vantandosi di aver favorito negli ultimi due anni un clima di restaurazione.

Ma il tycoon lancia un chiaro messaggio anche agli ultras del movimento per la vita, prendendo nettamente le distanze dal divieto quasi assoluto deciso in Alabama. Non cita mai espressamente la legge shock varata nello stato tristemente noto per la sua storia razzista, ma si dice decisamente contrario al divieto dell’interruzione della gravidanza in caso di stupro e di incesto, oltre che in presenza di rischio di vita della madre.

La linea in vista del voto del 2020 è dunque tracciata, e il tycoon invita tutti i repubblicani a seguirla e a restare uniti su un terreno che può mettere in grande difficoltà i democratici. Anche perché i sondaggi sull’argomento ci consegnano un’America ancora spaccata in due, con il 50% della popolazione che sostiene l’aborto legale e quasi la metà che lo vuole fuorilegge.

Per la Casa Bianca però l’Alabama è andato “troppo oltre”. Sicuramente troppo per Trump che – come ricordano molti media – in piena sintonia con lo spirito della sua New York nel 1999 si era descritto come un convinto ‘pro-choice’, fermo sostenitore della scelta assoluta da parte della donna in caso di gravidanza: “Odio il concetto dell’aborto”, si era spinto a dire.

Ma già nel 2016, in piena campagna elettorale, aveva cambiato idea, e ora in vista del 2020 sposa quella che – ricorda – era la linea di Ronald Reagan. Intanto la sua amministrazione ha già finanziato con 1,7 milioni di dollari una grande società che gestisce una catena di cliniche pro-life.

Cliniche che si oppongono alla pratica dell’interruzione della gravidanza e che sono contrarie anche all’offerta di metodi anticoncezionali. Ma a preoccupare di più le associazioni che si battono per i diritti delle donne è che le risorse saranno reperite tagliando i fondi ad altre cliniche, quelle affiliate all’organizzazione Planned Parenthood che lavora a difesa della legislazione abortista.

Esultano invece molti gruppi conservatori cattolici ed evangelici che costituiscono larga parte dello zoccolo duro dell’elettorato di Trump e su cui il presidente americano conta per la rielezione, puntando su uomini come il vicepresidente Mike Pence o il segretario di Stato Mike Pompeo, entrambe di fede evangelico cristiana.

Proprio Pompeo nelle settimane scorse ha rispolverato la cosiddetta ‘Mexico City policy’, la dottrina elaborata nel 1984 da Ronald Reagan e accantonata sotto le amministrazioni Clinton e Obama. Dottrina che vieta gli aiuti federali a organizzazioni non governative che promuovono l’aborto e forniscono consulenze e servizi per l’interruzione della gravidanza.

Questo nonostante dal 1973 l’aborto negli Stati Uniti sia legale come stabilito dalla storica sentenza della Corte Suprema ‘Roe v. Wade’. Sentenza che ora, con l’Alta Corte a maggioranza conservatrice, molti stati Usa sperano di poter rovesciare.

(Il Faro online)

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