Pedofilia, il Vaticano: “No” alle leggi che violano segreto della confessione

1 luglio 2019 | 16:29
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Pedofilia, il Vaticano: “No” alle leggi che violano segreto della confessione

La Penitenzieria Apostolica: “Sarebbero attacchi alla libertà religiosa”. Mons. Piacenza: “Riaffermare il segreto non significa tollerare gli abusi”

Città del Vaticano – “Ogni azione politica o iniziativa legislativa tesa a ‘forzare’ l’inviolabilità del sigillo sacramentale costituirebbe un’inaccettabile offesa verso la ‘libertas Ecclesiae’, che non riceve la propria legittimazione dai singoli Stati, ma da Dio; costituirebbe altresì una violazione della libertà religiosa, giuridicamente fondante ogni altra libertà, compresa la libertà di coscienza dei singoli cittadini, sia penitenti sia confessori. Violare il sigillo equivarrebbe a violare il povero che è nel peccatore“. Così una Nota della Penitenzieria apostolica.

Il testo, firmato dal penitenziere maggiore, il cardinale Mauro Piacenza e del reggente mons. Krzysztof Nykiel, approvata il 21 giugno daPapa Francesco e diffusa oggi, la Santa Sede ribadisce l’inviolabilità del segreto confessionale e così reagisce ai tentativi politici o legislativi in vari Paesi – ad esempio in Australia e in Cile – portati avanti perché i confessori debbano rivelare quanto appreso in confessione su casi di abusi sessuali su minori.

“Si è diffusa negli ultimi decenni una certa ‘bramosia’ d’informazioni, quasi prescindendo dalla loro reale attendibilità e opportunità, al punto che il ‘mondo della comunicazione’ sembra volersi ‘sostituire’ alla realtà, sia condizionandone la percezione, sia manipolandone la comprensione – premette il documento -. Da questa tendenza, che può assumere i tratti inquietanti della morbosità, non è immune, purtroppo, la stessa compagine ecclesiale, che vive nel mondo e, talvolta, ne assume i criteri“.

Secondo la Penitenzieria apostolica, “invocando di fatto, quale ultimo tribunale, il giudizio dell’opinione pubblica, troppo spesso sono rese note informazioni di ogni genere, attinenti anche alle sfere più private e riservate, che inevitabilmente toccano la vita ecclesiale, inducono – o quanto meno favoriscono – giudizi temerari, ledono illegittimamente e in modo irreparabile la buona fama altrui, nonché il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità”. In tale contesto, “sembra affermarsi un certo preoccupante ‘pregiudizio negativo’ nei confronti della Chiesa Cattolica”, anche “partendo dai recenti scandali di abusi, orribilmente perpetrati da taluni membri del clero”.

E tale pregiudizio “si traduce talvolta nell’ingiustificabile ‘pretesa’ che la Chiesa stessa, in talune materie, giunga a conformare il proprio ordinamento giuridico agli ordinamenti civili degli Stati nei quali si trova a vivere, quale unica possibile ‘garanzia di correttezza e rettitudine'”.

Ecco quindi, anche dopo pronunciamenti degli episcopati dei Paesi interessati, la Santa Sede interviene per riaffermare principi “che oggi sembrano diventati più estranei all’opinione pubblica e talvolta agli stessi ordinamenti giuridici civili: il sigillo sacramentale, la riservatezza connaturata al foro interno extra-sacramentale, il segreto professionale, i criteri e i limiti propri di ogni altra comunicazione”.

“L’inviolabile segretezza della Confessione proviene direttamente dal diritto divino rivelato – proclama la Nota – e affonda le radici nella natura stessa del sacramento, al punto da non ammettere eccezione alcuna nell’ambito ecclesiale, né, tantomeno, in quello civile. Nella celebrazione del sacramento della Riconciliazione è come racchiusa, infatti, l’essenza stessa del cristianesimo e della Chiesa”.

Al confessore, secondo il Codice di Diritto Canonico, “non è consentito, mai e per nessuna ragione, ‘tradire il penitente con parole o in qualunque altro modo’ (can. 983, comma 1), così come ‘è affatto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualunque pericolo di rivelazione’ (can. 984, comma 1)”.

Il sigillo sacramentale, perciò, viene sottolineato, “riguarda tutto ciò che il penitente abbia accusato, anche nel caso in cui il confessore non dovesse concedere l’assoluzione: qualora la confessione fosse invalida o per qualche ragione l’assoluzione non venisse data, comunque il sigillo deve essere mantenuto”. Infine, il sigillo esula “anche dalla disponibilità del penitente, il quale, una volta celebrato il sacramento, non ha il potere di sollevare il confessore dall’obbligo della segretezza, perché questo dovere viene direttamente da Dio”.

Piacenza: “Riaffermare il segreto non significa tollerare gli abusi”

“È opportuno precisare che il testo della Nota non può e non vuole essere in alcun modo una giustificazione o una forma di tolleranza degli esecrabili casi di abusi perpetrati da membri del clero”. Lo afferma il penitenziere maggiore, cardinale Mauro Piacenza, presentando la Nota sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, pubblicata oggi.

Nessun compromesso è accettabile nel promuovere la tutela dei minori e delle persone vulnerabili e nel prevenire e contrastare ogni forma di abuso, nello spirito di quanto costantemente ribadito da Papa Francesco e recentemente regolato con il Motu Proprio ‘Vox estis lux mundi’ (7 maggio 2019)”, spiega Piacenza.

“Nel pubblicare una Nota sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale – aggiunge -, è sicura convinzione della Penitenzieria che ‘la difesa del sigillo sacramentale e la santità della confessione non potranno mai costituire una qualche forma di connivenza col male, al contrario rappresentano l’unico vero antidoto al male che minaccia l’uomo e il mondo intero; sono la reale possibilità di abbandonarsi all’amore di Dio, di lasciarsi convertire e trasformare da questo amore, imparando a corrispondervi concretamente nella propria vita’”.

Secondo il penitenziere maggiore, inoltre, a proposito della “assoluta inviolabilità del sigillo sacramentale“, “è essenziale insistere sull’incomparabilità del sigillo confessionale con il segreto professionale cui sono tenute alcune categorie (medici, farmacisti, avvocati, ecc.), per evitare che le legislazioni secolari applichino al sigillo – inviolabile – le deroghe legittimamente previste per il segreto professionale”.

(Il Faro online)