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Ostia, bronzetti che raccontano la vita romana con “Eppur si espone”

24 luglio 2019 | 18:43
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In esposizione fino al 10 settembre nel Museo Ostiense venti bronzetti rinvenuti nel 1913 sotto le macerie del molino distrutto da un incendio

Ostia Antica – Venti bronzetti che raccontano di un’epoca fatta di schiavi, di venerazioni pagane ma anche di scene quotidiane.

E’ l’obiettivo del secondo appuntamento con “Eppur si Espone“, l’iniziativa del Parco Archeologico di Ostia Antica che da ieri, 23 luglio, porta fino al 10 settembre nella rinnovata Sala XI del Museo Ostiense 20 piccoli bronzi, scelti dall’archeologa Paola Germoni per la varietà di manufatti di pregio databili tra il I e il III secolo d.C., rinvenuti tutti nello stesso ambiente di uno dei maggiori panifici di Ostia Antica. Si tratta, in particolare, del cosiddetto Caseggiato dei Molini (o Molino del Silvano) di Ostia antica, un imponente edificio dove è stato riconosciuto anche un impianto per la produzione del pane, che ha avuto una continuità di vita di circa due secoli. La sua disastrosa rovina si deve ad un incendio, in seguito al quale crollarono i piani superiori dell’edificio, sigillando i pochi oggetti sfuggiti alle fiamme, tra cui i bronzetti adesso esposti. I reperti furono portati alla luce da Guido Calza intorno al1913 e presentati alla comunità scientifica nel volume del 1915 di Notizie dagli Scavi di Antichità.

Macerie provvidenziali, dunque, quelle che hanno custodito per 1.600 anni una collezione eterogenea, composta da raffigurazioni di divinità e di animali in miniatura, ritratti, lampade e appliques decorative, destinate ad abbellire mobili e letti lignei, con molta probabilità provenienti da un appartamento residenziale posto ai piani alti, la cui esistenza è documentata da 2 scale ancora oggi visibili. Le fonti antiche, infatti, descrivono edifici romani che, in città, raggiungevano anche 7 piani, rendendo ostico l’eventuale intervento dei pompieri.

Come consueto nella bronzistica di età romana, le iconografie scelte per ritrarre i personaggi si ispirano alle più famose opere di età greca”, spiega l’archeologa Marina Lo Blundo nel video che, all’interno della Sala XI, ritrae i bronzetti e ne illustra i dettagli storici e artistici. “Come l’Ercole fanciullo con la pelle di leone che gli copre il capo e, nella mano sinistra, i pomi delle Esperidi, allusione a una delle sue leggendarie fatiche; o come il busto bronzeo che rappresenta Giove Tonante, con corona di foglie di quercia e mantello, ispirato alla celebre statua dello scultore ellenistico Leocare”. Un altro piccolo busto raffigura Giove Serapide, identificabile dal caratteristico copricapo svasato detto kalathos.

Il bronzetto di Ercole fanciullo

Il bronzetto di Ercole fanciullo

Di fattura particolarmente raffinata è la statuetta di un Lare, divinità del focolare che proteggeva la vita domestica” prosegue Marina Lo Blundo. “È un giovane senza barba, ha i capelli ondulati, è vestito di un manto trattenuto alla cintura, che svolazza. La sua base originale quadrata è impreziosita con alcune foglie di alloro in argento”, inserite ad incastro nel bronzo con la tecnica dell’ageminatura. L’esposizione annovera una serie di animali in miniatura: uno scorpione con grandi pinze sollevate, un serpentello avvolto nelle proprie spire, impreziosito dalla meticolosa incisione delle squame; e i cani, uno minuscolo che distende le zampe anteriori e l’altro, seduto su quelle posteriori, mentre allunga collo e muso verso l’alto, a simulare un latrato.

Straordinario il ritratto di un giovane africano: “è estremamente realistico – riflette Lo Blundo – nei dettagli del volto e dell’abbigliamento: ha gli occhi infossati, le labbra particolarmente carnose, ciocche di capelli che delineano l’aspetto crespo. Indossa un mantello, chiamato paenula, che termina con un cucullus ovvero un cappuccio, il che connota il nostro personaggio come uno schiavo”.

Bronzetto che ritrae un giovane schiavo etiope

Bronzetto che ritrae un giovane schiavo etiope

Merita una segnalazione speciale la testa di Gorgone, un’applique del II secolo realizzata in stile arcaizzante. Si tratta di una maschera con funzione apotropaica, ovvero di protezione contro gli influssi maligni: la caratterizza un’espressione mostruosa sul viso incorniciato da ciocche ricciute, gli occhi allungati e la bocca semiaperta, dalla quale spunta la lingua. Decorava probabilmente l’ansa di un vaso metallico.

Il serpentello fa parte della serie di bronzetti di animali

Il serpentello fa parte della serie di bronzetti di animali

La tecnica di fusione adottata dai romani è quella della cera persa. Che consiste nell’abbozzare un modello in cera sul quale viene stesa una terra refrattaria, come l’argilla o la creta. Il riscaldamento in forno consolida le terre e scioglie la cera: al suo posto si cola il bronzo. La lega, una volta raffreddata, ha bisogno di essere perfezionata e lucidata. “I 20 bronzetti esposti sono riconducibili a diverse funzioni: alcuni erano oggetti d’arredo (quali, ad esempio, le appliques), altri sono strettamente connessi alla sfera del sacro, come chiaramente suggeriscono le numerose statuette di divinità – riepiloga Lo Blundo – essi costituiscono una selezione dei numerosi esemplari provenienti dal medesimo contesto e, soprattutto, della collezione, che conta circa 1500 reperti, custodita nei Depositi ostiensi“.

La mostra è visitabile senza pagare supplementi rispetto al biglietto d’ingresso agli Scavi che è di 10,00 euro per gli adulti.