la scoperta

Neuroni artificiali per gestire i pacemaker e “riparare” il cervello

10 dicembre 2019 | 17:19
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Neuroni artificiali per gestire i pacemaker e “riparare” il cervello

All’orizzonte “pacemaker intelligenti” che utilizzando i neuroni per aiutare il cuore a battere con il ritmo giusto, oppure “il trattamento di malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer”

di JUSY COPPOLA

Quando le macchine saranno in grado di “pensare” la scienza avrà fatto un enorme balzo in avanti: si chiama Intelligenza Artificiale (I.A.), e con questo termine si intende la progettazione di sistemi artificiali paragonabili alle capacità umane nello svolgimento di attività “intelligenti”. Ma se fosse l’uomo, invece, a usare le macchine per “pensare”? E se l’uso di sistemi artificiali per attività intelligenti lo impiantassimo dentro di noi?

Il corpo umano utilizza i neuroni, ossia le unità funzionali fondamentali del sistema nervoso. Il nostro comportamento e la nostra cognizione dipendono in ultima analisi dal loro funzionamento e da come ogni neurone è in grado di relazionarsi con i suoi “compagni”. Si tratta di piccole cellule nervose che compongono il nostro substrato biologico a livello psicologico, la base delle nostre emozioni e pensieri.

neuroni-3dQuando il sistema neuronale si deteriora, come nel caso dell’Alzheimer, il corpo umano non risponde più correttamente ai comandi, agli stimoli. Ciò che è stato però creato grazie a una ricerca coordinata da Alain Nogaret (del dipartimento di Fisica dell’università britannica di Bath), e condotta con l’università svizzera di Zurigo e quella neozelandese di Auckland, promette di rivoluzionare il settore: il neurone artificiale.

Grazie anche al lavoro degli italiani Elisa Donati e Giacomo Indiveri, entrambi dell’Università di Zurigo, il neurone artificiale, posizionato su un “normale” chip (nella foto grande), promette di diventare una futura arma per combattere le malattie causate dalla degenerazione delle cellule nervose.

Il primo neurone artificiale creato in silicio, infatti, risponde ai segnali del sistema nervoso e segna un passo in avanti verso la possibilità di riparare circuiti nervosi e ripristinare funzioni perdute.

L’articolo su Nature Communications

Descritto sulla rivista Nature Communications (leggi qui) è un esempio della cosiddetta medicina bioelettronica, che con materiali artificiali imita circuiti e processi naturali. Le cellule nervose artificiali appena ottenute hanno come modello i neuroni di ratto, ma la strada è ormai aperta verso ulteriori sviluppi.

“Progettare dispositivi del genere è stata un’autentica sfida rilevano i ricercatori -. Finora i neuroni sono stati delle scatole nere, ma ora sappiamo come guardare al loro interno. Il nostro lavoro – rileva Nogaret – cambia un paradigma perché fornisce una tecnica per riprodurre in dettaglio le proprietà elettriche dei neuroni”.

Come funzionano i neuroni artificiali

Ad accelerare le possibili applicazioni per futuri dispositivi biomedici c’è poi il fatto che i neuroni artificiali consumano un miliardesimo dell’energia di un microprocessore.

I neuroni su chip riproducono i canali ionici, ossia le sequenze di proteine che si trovano sulla superficie delle cellule e che, come delle finestre, permettono il passaggio di sostanze dall’esterno all’interno delle cellule.

Nel caso dei neuroni artificiali, i canali ionici consentono la trasmissione dei segnali nervosi proprio come accade nei neuroni naturali. Sono due, al momento, le cellule nervose imitate sui chip di silicio: quelle che controllano sia la respirazione sia il ritmo del cuore, il cui malfunzionamento è all’origine di disturbi come l’aritmia, e quelle dell’ippocampo, la struttura del cervello nella quale si trova la centralina della memoria.

Tra le possibili applicazioni, per Nogaret, sono all’orizzonte “pacemaker intelligenti” che utilizzando i neuroni per aiutare il cuore a battere con il ritmo giusto, oppure “il trattamento di malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer”. In attesa di robot che pensano come uomini, la ricerca porta nella direzione di uomini che si “riparano” grazie a microscopici robot. E siamo solo all’inizio.