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17 dicembre 1973, attentato all’aeroporto di Fiumicino: una strage dimenticata

17 dicembre 2019 | 10:09
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A distanza di anni sono ancora tanti gli interrogativi che ruotano attorno all’attentato che colpì lo scalo romano dove persero la vita 34 persone

Fiumicino – Sono passati più di 40 anni da quello che si potrebbe definire l’attentato più sanguinoso della storia di Roma. Era la tarda mattinata del 17 dicembre del 1973 quando un commando di terroristi palestinesi irrompevano all’interno del Terminal dell’aeroporto di Fiumicino (all’epoca facente parte del Comune di Roma).

I primi colpi di arma da fuoco venivano esplosi intorno alle 13.10. Circa una decina di uomini, dopo aver estratto armi automatiche ed esplosivi dalle loro valigie, si fecero strada all’interno del Terminal fino alla pista sparando all’impazzata e uccidendo 2 persone.

Raggiunta la zona di parcheggio dell’aeroporto, i terroristi si diressero verso il Boeing 707 della Pan Am, volo 110 per Teheran con scalo a Beirut, e vi gettarono all’interno due bombe al fosforo. Gli assistenti di volo tentarono di evacuare il velivolo il più velocemente possibile aprendo le uscite di emergenza sulle ali, dal momento che le altre erano ostacolate dai terroristi; molti passeggeri riuscirono a scappare, ma non tutti ci riuscirono.

Ben 30 persone rimasero uccise. Tra questi quattro italiani: l’ing. Raffaele Narciso, il funzionario Alitalia Giuliano De Angelis, di ritorno alla sede di Teheran con la moglie Emma Zanghi, e la loro figlia Monica (di appena 9 anni).

Nel violento attacco perse la vita anche il finanziere ventenne Antonio Zara (poi decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria) che, giunto per primo sul luogo dell’assalto – a seguito dell’allarme generale emanato dalla Torre di controllo dell’aeroporto -, tentò di contrastare i dirottatori.

Il commando si impadronì poi di un Boeing 737 della Lufthansa in attesa di partire per Monaco di Baviera, facendovi salire alcuni ostaggi, tra cui sei agenti della dogana di Fiumicino.

Un altro agente, Antonio Campanile, costrinse a colpi di mitra, gli attentatori ad entrare nell’aereo da loro requisito, interrompendo così l’azione di fuoco. Gli attentatori obbligarono quindi l’equipaggio di quel volo (già presente a bordo) a far decollare il velivolo.

La violenza, però, non era ancora finita. A bordo dell’aereo della Lufthansa uccisero il tecnico della società Asa, Domenico Ippoliti, il cui corpo venne successivamente abbandonato sulla pista dell’aeroporto di Atene, dove l’aereo aveva fatto scalo.

Dopo circa 16 ore l’aereo decollò dalla capitale greca facendo rotta verso Beirut. Le autorità libanesi, tuttavia, rifiutarono di concedere all’aereo l’autorizzazione per l’atterraggio e bloccarono le piste dell’aeroporto con dei veicoli.  Stesso comportamento venne adottato da Cipro.

L’aereo con a bordo i terroristi fece così scalo a Damasco, dove le autorità siriane lo rifornirono di viveri e carburante. Dopo circa 6 ore decollarono di nuovo alla volta di Kuwait City, dove il dirottamento terminò nella tarda serata del giorno successivo.

Qui vennero liberati gli ostaggi. I terroristi negoziarono la loro fuga ma vennero comunque catturati poco tempo dopo. Le autorità kuwaitiane, dopo aver interrogato gli uomini del commando, decisero di non sottoporli a processo e valutarono la possibilità di consegnarli all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp). Nel 1974 il presidente egiziano Anwar Sadat acconsentì che venissero portati al Cairo sotto la responsabilità dell’Olp e che venissero processati dalla stessa per aver condotto una “operazione non autorizzata”.

A seguito dei negoziati avviati durante un altro dirottamento aereo, i cinque uomini del commando vennero liberati nel novembre del 1974 per poi comunque ritornare sotto la custodia dell’Olp. Da quel momento non ci sono state più notizie certe sulla loro sorte.

Il ricordo del figlio di Antonio Campanile

Sul suo profilo Facebook, Luigi Campanile, figlio del poliziotto che a colpi di mitra ha fatto rientrare i terroristi sul volo, così ricorda il gesto del padre:

46 anni fa (1973), si compiva l’attentato più sanguinoso della storia della città di Roma e del nostro Paese. Una strage però che, quasi inspiegabilmente, pare rimossa dalla memoria collettiva. All’Aeroporto di Fiumicino, all’epoca nel territorio metropolitano dell’Urbe, venivano uccise 34 persone, tra cui due bambini e un finanziere, Antonio Zara, poi decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, da un commando palestinese aderente al gruppo di Settembre Nero. Ad opporsi a tutto questo in modo significativo, oltre al finanziere, un solo agente che costrinse a colpi di mitra gli attentatori-dirottatori ad entrare nell’aeromobile da loro requisito, interrompendo l’azione di fuoco. Quell’allora Guardia di P.S. è Antonio Campanile, mio padre. A lui ho dedicato un libro creato assieme ad alcuni amici scrittori. Oggi come ieri, questa storia è coperta da una coltre di fumo che nonostante il tempo passato non accenna a diminuire e su cui vorremmo con questo lavoro aprire uno squarcio di verità. Si spera e si crede che qualcuno ci aiuterà e ascolterà, promuovendo la stampa del volume.

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