Buon Natale e buon appetito

I piatti di Natale della tradizione romana

22 dicembre 2019 | 10:39
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I piatti di Natale della tradizione romana
I piatti di Natale della tradizione romana
I piatti di Natale della tradizione romana

Dal cenone della Vigilia al pranzo di Natale fino a Santo Stefano scopriamo la tradizione romana con tutti i suoi piatti più tipici

A cura di: ILARIA CASTODEI

Cucina e Sapori – E’ Natale! e se non possiamo affermare con certezza che saremo tutti più buoni, lo possiamo dire sicuramente di ciò che avremo a tavola durante le feste. Le ricette più tipiche di questo periodo dell’anno sono senza dubbio le più prelibate ed elaborate e l’Italia da regione a regione ne è piena.

Una delle tradizioni enogastronomiche più radicate è quella romana (o laziale in generale) che non si limita, come altre, solo al pranzo del 25, ma celebra con ricette cult anche il cenone della vigilia e il giorno di S. Stefano. Scopriamo dunque quali sono i piatti più tipici della tradizione natalizia capitolina.

Il cenone della vigilia di Natale nella tradizione romana

Le tradizioni della Vigilia di Natale romana sono legate al passato e hanno radici nella storia povera della popolazione. Si trasmettono di generazione in generazione ma sono sempre legate alla volontà di stare insieme con gli affetti più cari.

“L’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, è un aforisma del famoso drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing, che descrive bene il senso romano della preparazione del cenone del 24 dicembre. La tradizione antica vuole che tale giornata sia considerata “di magro”, ovvero un giorno nel quale non si mangia carne nell’attesa dei festeggiamenti del Natale.

Ma l’attesa della festa è diventata con il tempo parte della festa stessa tenendo conto sempre delle antiche ragioni religiose. Queste arrivano direttamente dai Vangeli e da alcuni libri che davano regole su cosa mangiare e cosa no in determinati giorni (come i venerdì di Quaresima o il Venerdì Santo); in questo caso sarebbe una forma di rispetto per la nascita del Messia. Mettendo da parte il perchè meglio concentrarci sul cosa.

Nei piatti della sera della vigilia di natale vige un’unica grande regola: niente carne! Solitamente si dovrebbero preparare cibi leggeri e poveri secondo una sorta di fioretto; da tempo si è imposto l’elemento pesce, che anticamente veniva considerato un prodotto povero, ma che oggi invece è divenuto un alimento assai prezioso. La scelta del pesce a Roma proviene da un’antica tradizione, il “rito della spesa al cottio”, ovvero il mercato del pesce che dal XII secolo e fino ai primi dell’800 si è svolto al Portico D’Ottavia, nel ghetto ebraico, poi, invece, è stato trasferito prima in via delle Coppelle, a San Teodoro e infine ai Mercati Generali. Recarsi al mercato per il rito della spesa rientra, dunque, fra le tradizioni della Vigilia di Natale romana.

I piatti tipici della Vigilia, il pesce in primis

I pesci e i piatti che più si trovano sulle tavole romane in questo giorno di preparazione alla festa sono senz’altro il baccalà, cucinato sia in umido sia fritto, che a Roma e oltre è divenuto il pesce simbolo delle vigilie, in quanto povero e facilmente reperibile.

Poi l’arzilla (razza chiodata) in brodetto con i broccoli e la pasta, una zuppa che riscalda il cuore ed ha un sapore ineguagliabile; gli spaghetti con il sugo di tonno, piatto semplice e veloce ma sempre di infinita bontà, per chi non ha tantissimo tempo da passare davanti ai fornelli; oppure gli spaghetti con le vongole veraci, immancabili, ma che richiedono una preparazione prima di essere messi in cottura.

Assolutamente non è vigilia senza la frittura mista di calamari, moscardini e gamberi che, dato il suo inebriante profumo, solitamente non raggiunge la tavola per la cena che subito viene terminata alla fine della cottura.

Sempre rimanendo sul fritto, oltre alle fettine di mela, tante sono anche le verdure di stagione pastellate, dalle zucchine ai cavolfiori fino ai famosissimi carciofi romani. E proprio quest’ultimi vengono fritti inoltre per preparare i carciofi alla giudia oppure in padella, con mentuccia fresca e aglio, per i cariofi alla romana. Sui contorni non si può non menzionare le puntarelle, una varietà di cicoria nota con il nome di catalogna, condite con sale, aglio, pepe bianco, aceto di vino bianco e acciughe dissalate. Oltre che buone anche belle da vedere.

Infine si passa alla frutta fresca e secca: arance, mandarini, uva, kaki, noci, mandorle, nocciole e ovviamente ai dolci natalizi: accompagnato dai vari torroni, panettoni e pandori (che però non fanno parte della storia enogastronomica natalizia romana, ma che oramai hanno invaso tutte le tavole italiane durante le feste), il tipico dolce romano delle feste, è il pangiallo, un impasto di frutta secca, miele e farina insaporito con lo zafferano.

Il pangiallo ha origini antiche, risalenti addirittura alla Roma imperiale. Si usa prepararlo il giorno del solstizio d’inverno come buono auspicio per il ritorno delle lunghe giornate di sole, forma che ricorda un pò questo dolce. Sono tante le varianti che si possono trovare, ma si dice che il pangiallo stesso sia la variante romana del panpepato diffuso in tutto il centro Italia.

Il pranzo di Natale, il trionfo della carne

Con opulenza di leccornie si prosegue poi con la vera festa del Natale e il suo sontuoso pranzo del 25 dicembre. I festeggiamenti in questo giorno di gioia celebrano il piatto più ricco e prelibato, ovvero la carne!

Si imbandiscono le tavole con un prodotto ricercato, tant’è vero che, nel periodo, molti animali vengono macellati appositamente per questo giorno. Il menù romano, quindi a base di carne, prevede una vera e propria esplosione di profumi!

Si aprono le danze con i brodicome il brodo di gallina oppure gli squisiti cappelletti in brodo. Proseguendo con i primi si trovano le lasagne o fettuccine rigorosamente fatte in casa (perciò spesse e porose) e rigorosamente con il sugo di carne. Fermo restando i contorni possono essere gli stessi del cenone della vigilia (carciofi alla giudia, alla romana, puntarelle, verdure miste pastellate e fritte) si passa ai succulenti secondi.

Si parte con il re della carne, l’abbacchio, nelle versioni al forno con le patate oppure in costolette panate e fritte; tutti conoscono l’espressione romanesca “so’ la morte sua” perchè perfette per il Natale, da mangiare rigorosamente con le “mano”; per continuare con la celebre quanto discussa coratella, nome con il quale si intende le interiora intere dell’agnello, che però oramai come molti piatti della tradizione romana natalizia viene mangiata quasi tutto l’anno; ma attenzione, a Natale non è un piatto di portata, ma una pausa fra il primo e il secondo.

Giunti al dolce e alla frutta si replica sfoggiando i più buoni panettoni artigianali in circolo, soffici pandori, il già descritto pangiallo, poi torroni, mostaccioli, croccante alle mandorle, e le nocchiate e nociate. Anche quest’ultime sono un dolce tipico del Lazio: le nocchiate sono delle deliziose palline croccantissime e golose realizzate con le nocciole, il miele e altri ingredienti. Le nociate, tipiche della zona della Sabina, sono invece a base di miele e noci tipo una specie di torrone.

Il pranzo di Santo Stefano

Dopo le due precedenti e impudenti abbuffate a tavola, il 26 dicembre si fa veramente fatica a mangiare qualcosa di sostanzioso. Ma il romano ce la fa! E per l’ultimo giorno di festività natalizia propone alcuni piatti che aiutano a pulire stomaco, palato e coscienze.

Tipica della tradizione popolare è la stracciatella, che non è un gusto di gelato, bensì un succulento brodo di carne nel quale si cuociono delle uova sbattute condite con sale, pepe, parmigiano, noce moscata e, a piacimento, scorza di limone grattugiata; delle piccole frittatine in brodo, i romani sanno bene di cosa si parla!

Un must del dopo festa poi è il bollito e il lesso alla picchiapò, un fantastico piatto di recupero che nasce dall’esigenza di riutilizzare la carne utilizzata per il brodo. Il nome picchiapò deriva dal fatto che la carne veniva tagliata e quasi picchiata, per poi finire in padella con aggiunta di pomodori, cipolle e patate. Secondo altri il nome deriverebbe da una favola in prosa romanesca di Trilussa che racconta di un personaggio di nome Picchiabbò.

Ma a Roma, come ovunque, quello che conta di più è trascorrere il Natale sì con il buon cibo ma gustandolo con la famiglia, gli amici e gli affetti più cari e l’esperienza ci insegna che “spizzicando” qua e là, tra una tombola e un mercante in fiera, dalla tavola non ci si alza mai e la bocca non smette mai di masticare. Buon Natale e buon appetito!

(Il Faro online)