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Discarica a Monte Carnevale, perché no: lo spiegano gli esperti

15 gennaio 2020 | 05:00
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Discarica a Monte Carnevale, perché no: lo spiegano gli esperti

Falconi: “Diversi i rischi per la salute degli esseri umani e dell’intero ecosistema”

Roma – In queste settimane, in tutto il Lazio, vari comitati, gruppi di quartiere e/o associazioni si stanno organizzando per esprimere il proprio diniego alla realizzazione di un sito di discarica o di un impianto sul proprio territorio, come ad esempio Valle Galeria e Colleferro (altri esempi Falcognana e Tragliatella).

La questione del ciclo dei rifiuti, però, non può essere confinata al solo municipio, città o provincia. Sarebbe,inoltre, corretto e proficuo smettere di gestire i problemi solo nel momento dell’emergenza. Sarebbe auspicabile iniziare a gestire il ciclo dei rifiuti per garantire l’ordinaria amministrazione.

Situazione attuale

La città di Roma, ricorda la dottoressa Ilaria Falconi, tecnico Ismea presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, “non ha mai effettuato la transizione da economia lineare a quella circolare in quanto non ha investito sull’aspetto impiantistico della valorizzazione dei materiali post consumo, ovvero non si è dotata di una impiantistica in grado di chiudere il ciclo dei rifiuti raccolti.

Tutto ciò determina il trasporto dei propri rifiuti prodotti fuori Regione o in impianti privati con la conseguente perdita del ricavo economico derivante dal riciclo. Anziché di rifiuti zero, economia circolare e bioeconomia si continua a produrre ogni anno una quantità elevata di tonnellate di rifiuti indifferenziati da conferire in discariche e Tmb (trattamento meccanico – biologico) che producono Fos (frazione organica stabilizzata) adibita a ricoprire le discariche e Cdr (combustibile derivato da rifiuti) da conferire in termovalorizzatori o inceneritori.

Infine, la maggior parte degli impianti di Ama sono vetusti in quanto sono stati realizzati 16 anni fa e gli interventi di rigenerazione effettuati non sono stati sufficientemente adeguati“.

Il piano di gestione dei rifiuti

“Il piano della Regione Lazio ha come obiettivi principali, tra l’altro, lo sviluppo dell’economia circolare; il riequilibrio territoriale del fabbisogno impiantistico in ambito provinciale; l’introduzione del sub-ambito di Roma Capitale; l’innovativo presidio industriale di Colleferro e la raccolta differenziata al 70% entro il 2025.

Il piano regionale non tiene conto delle necessità attuali dei territori e non prevede nulla di concreto per una reale ed effettiva inversione di tendenza, ad eccezione dell’iniziativa di promozione e di sostegno economico della tariffazione puntuale – prosegue Falconi -. Nel Piano, infine, non è previsto nemmeno un cronoprogramma delle azioni da porre in essere in grado di assicurare la tempistica di realizzazione.

L’introduzione di un un sub ambito per Roma Capitale implica che Roma dovrà gestire interamente al proprio interno il ciclo dei rifiuti.

Per la definizione degli ambiti territoriali, i territori dovrebbero essere suddivisi per caratteristiche simili (ad es. densità, morfologia e viabilità) e non per i loro confini fisici. Attualmente, infatti, la configurazione degli impianti nella Regione Lazio non consente la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti urbani, ossia che questi siano raccolti, trattati e smaltiti all’interno degli Ato. L’autosufficienza è garantita a livello regionale ma non in ambito territoriale.

Nel dettaglio, il sub Ato di Roma non è in grado di governare per intero la gestione; quello di Rieti utilizza l’Ato di Viterbo per il trattamento e lo smaltimento dei propri rifiuti; Latina non ha capacità di smaltimento autorizzata. Cosa occorre fare?

Eliminare il sub ambito per Roma Capitale;
Definire gli Ato sulla base alle caratteristiche comune tra territori (ad es. viabilità, densità, morfologia, etc);
Diffondere sul territorio un sistema omogeneo di raccolta;
Realizzare impianti di compostaggio aerobico (ad es compostaggio domestico e di comunità) come previsto nei piani regionali della Lombardia, Piemonte, Valle D’Aosta e del Friuli Venezia Giulia;
Sostituire i Tmb con fabbriche dei materiali;
realizzare fabbriche di materiali specifici per tipologie di rifiuti, come ad esempio Raee, terre di spazzamento, materassi, pannolini, etc;
riorganizzare la raccolta di prossimità su strada;
oltre alla raccolta domiciliare individuale, così detto ‘Porta a porta’, o stradale/di prossimità, occorre realizzare domus ecologiche, ovvero aree ad accesso riservato e controllato al servizio di utenze condominiali o piccoli nuclei abitativi.

Incrementare i centri di raccolta sul proprio territorio (strutture, completamente gratuite e liberamente accessibili dai cittadini, attrezzate per la raccolta e l’avvio al recupero di tutti i rifiuti che non possono essere smaltiti nei cassonetti stradali, ad esempio mobili, elettrodomestici, computer, telefonini, calcinacci, ferro e altri materiali); campagne di sensibilizzazione ed educazione della cittadinanza con punto Ama municipale o all’interno dei mercati e/o altri luoghi di aggregazione“.

Chiarimenti sul sito di Monte Carnevale

“Il 31.12.2019 la Giunta Capitolina ha deliberato che Roma indicherà come sito idoneo per ubicare la discarica di servizio per la città l’area di Monte Carnevale nella Valle Galeria.

La zona è a ridosso (2 chilometri) di Malagrotta, la più grande discarica dell’Unione europea mai adeguatamente bonificata, risanata ambientalmente e riqualificata. Detta area, quindi, è già stata sufficientemente martoriata. La scelta è inaccettabile e ci riporta indietro di sette anni, ovvero alla chiusura di Malagrotta – aggiunge Falconi -. Il sito non è idoneo poiché si rischia l’ ‘effetto domino’ in quanto è vicino ad una zona ad elevato impatto ambientale (Rifiuti Ospedalieri del Centro Sud Italia – mai bonificato, la ex Raffineria, rete di gasdotti e oleodotti, il gassificatore, la ex discarica di Malagrotta, i due Tmb, cementificio).

Non solo. C’è anche il rischio di inquinamento della falda acquifera: i laghi di cava realizzati durante le attività estrattive che, anche se consentiti in sede di conduzione delle cave, rende i siti inidonei all’impianto di qualsiasi discarica. Infatti l’assenza di una barriera geologica naturale impedisce una efficace protezione delle falde, con conseguente loro inquinamento. La distanza minima delle abitazioni non corrisponde a quella prevista dalla normativa vigente in materia”; conclude la dottoressa Falconi.

(Il Faro online)