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Ardea, uccisero di botte un uomo di Nettuno: condannati a 30 anni di carcere

Condanna per omicidio per un marocchino ed un bosniaco: a novembre 2017 uccisero di botte Aldo Micieli

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Roma – Uccisero di botte un uomo di 65 anni solo per una questione di gelosia, peraltro immotivata. Sono stati condannati a 30 anni di carcere per omicidio.

Sebbene esclusa l’aggravante della premeditazione, condanne confermate in appello per Ahmed Es Sahhal, marocchino di 35 anni, e Senahid Sejdovic, bosniaco di 40 anni, sotto processo perché accusati di essere gli assassini di Aldo Micieli, l’uomo di Nettuno ma originario calabrese, ucciso per un brutale pestaggio nel novembre 2017 ad Ardea. Trent’anni di reclusione per entrambi gli imputati sono stati sentenziati dalla prima Corte d’assise d’appello di Roma, presieduta da Andrea Calabria con Giancarlo De Cataldo, a sostanziale conferma della sentenza pronunciata al gup di Velletri nel gennaio dello scorso anno a conclusione del processo col rito abbreviato.

Era la notte tra il 6 e il 7 novembre 2017 quando agenti del Commissariato di Anzio-Nettuno, in seguito a una richiesta d’intervento, andarono al Pronto soccorso dell’ospedale di Anzio dove poco prima era arrivato in gravissime condizioni un uomo, poi identificato in Aldo Micieli, 65enne cosentino ma residente a Nettuno.

L’uomo era stato trovato adagiato su una panchina, con fratture e tumefazioni concentrate soprattutto al volto e al capo. Sin da subito gli investigatori si convinsero che Micieli aveva subito una brutale aggressione fisica.

Secondo l’ipotesi accusatoria Es Sahhal perseguitava l’ex compagna che, secondo i riscontri raccolti, si confidava con la vittima; proprio per motivi di gelosia, quindi, sarebbe stato punito in maniera esemplare e poi abbandonato in fini di vita su quella panchina. I due imputati – con gli abiti insanguinati, sarebbero stati registrati dal sistema di videosorveglianza di un bar vicino l’ospedale, intenti a bere birra – avrebbero atteso che Micieli scendesse da un pullman proveniente da Ostia insieme con l’ex compagna del marocchino condannato, per iniziare il pestaggio brutale.

Rintracciata, la donna avrebbe all’epoca riferito di aver già presentato tre querele per stalking nei confronti dell’ex compagno, e che poco tempo dopo l’aggressione aveva ricevuto di messaggi nei quali si raccontava anche quanto accaduto. Per due imputati scattarono le manette e poi furono processati per omicidio aggravato e rapina del telefono cellulare della vittima (entrambi), per atti persecutori e lesioni personali (Es Sahhal) e minacce (Sejdovic)

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