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Il lato umano dell’aeroporto di Fiumicino: l’accoglienza degli “ultimi”

1 febbraio 2020 | 06:30
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Il lato umano dell’aeroporto di Fiumicino: l’accoglienza degli “ultimi”

La testimonianza di don Giovanni Soccorsi di Santa Maria degli Angeli, la parrocchia del “Da Vinci”

Fiumicino – Se esiste un luogo dove il “caos” sembra regnare sovrano, questo è l’aeroporto internazionale di Fiumicino: taxi e macchine che sfrecciano per permettere ai passeggeri di prendere il volo in tempo, annunci di partenze e arrivi, turbine e motori di aerei. In sottofondo il continuo, e quasi perpetuo, suono delle rotelle delle valigie e dei trolley. Questo è quello che i nostri occhi – spesso distratti – vedono. Ma esiste un volto nascosto del “Da Vinci” che passa inosservato: i senza fissa dimora.

Persone fragili, spesso extracomunitarie, che vivono momenti di smarrimento e di forte disagio (fisico e psichico). Lo sa bene don Giovanni Soccorsi, sacerdote di una parrocchia sui generis, situata proprio nello scalo romano. Il “Da Vinci”, infatti, è l’unico aeroporto del globo ad avere al suo interno una chiesa che ha anche il ruolo di parrocchia. Un luogo di “silenzio” circondato da un vortice di rumori che accoglie – senza pregiudizi – tutti quelli che ne hanno bisogno e che proprio in aeroporto cercano un rifugio.

Un rifugio che è anche spirituale ed è aperto a tutti i passeggeri. E’ facile, infatti, incontrare diverse persone intente a pregare davanti al crocifisso o all’icona della Vergine Maria in attesa del proprio volo. “C’è anche qualcuno che usa la cappella per ricaricare il cellulare, all’inizio anche un po’ titubante, ma poi si siede e resta in compagnia del Signore.

Tendiamo una mano a chi, quotidianamente vive in aeroporto, dormendo coperto con dei cartoni o delle coperte improvvisate. Aiutiamo chi cerca riparo dal freddo e dalle intemperie – racconta don Giovanni a ilfaroonline.it -. Sono persone che nel corso della loro vita hanno forse fatto delle scelte sbagliate che, sommandosi, le hanno portate a vivere lontane dalla società”.

Una “porta aperta” per il prossimo

L’opera di don Giovanni ha inizio con il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco nel 2015, quando il vescovo della Diocesi di Porto-Santa Rufina, mons. Gino Reali, aprì una Porta Santa proprio all’interno dello scalo romano, dando così a tutti i passeggeri la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria. Da questo evento, che don Giovanni definisce “di grazia”, è nata l’esigenza di rendere concreto quanto vissuto in quell’anno.

E così, grazie a un accordo firmato tra la Caritas e Aeroporti di Roma, è nato un progetto che si pone l’obiettivo di assistere le persone senza fissa dimora all’aeroporto di Fiumicino e aiutarle a recuperare la propria dignità, migliorando le condizioni di vita e favorendo il ripristino delle relazioni familiari e sociali. Un accordo rinnovato anche quest’anno (leggi qui) e che ha già dato i primi frutti.

“In questi mesi sono stati assistiti circa 140 persone, mentre 25 si sono reintegrati nella società grazie a progetti a medio o a lungo termine”, racconta don Giovanni, che non nega momenti di difficoltà: “L’accoglienza che propongo,  è mirata a riaccendere o rafforzare l’affettività e le relazioni, sociali e familiari. Alcuni iniziano ma poi lasciano. Non forzo nessuno, è una scelta libera di ciascuno“.

Vicino a chi soffre

C’è poi il quotidiano. Sotto questo punto di vista don Giovanni è un prete di periferia, un pastore che ha addosso l’odore delle pecore, come direbbe Papa Bergoglio. Passa da un Terminal all’altro tendendo una mano a chi è in difficoltà. In questa missione non è solo. Accanto a lui ci sono persone come Caussu, un giovane africano di poco più di vent’anni in fuga dalla guerra che imperversa in Ghana. A diciassette anni ha attraversato il Mediterraneo con la speranza di trovare una vita migliore in Europa.

Dopo tante sofferenze, all’aeroporto di Fiumicino si è sentito accolto. E ora aiuta don Giovanni come mediatore culturale: “Se necessario aiutano anche a lavare e a vestire chi viene dalla strada. A questo puntiamo: a rivestire di dignità tutti quelli che, per vari motivi, ne sono stati spogliati. Il ruolo di Caussu, come quello di altri, è importante, ma non potrebbe esistere se loro, per primi, non avessero sperimentato l’accoglienza e il perdono. Dopotutto, non si può perdonare se prima non si è perdonati“.

In questa prospettiva è facile capire che l’aiuto di don Giovanni non è solo “materiale”. C’è dell’altro: “Lo dico sempre: la mia presenza qui, come quella dei miei predecessori, è finalizzata all’annuncio del Vangelo che si concretizza con la celebrazione dell’Eucarestia, delle preghiere e di tutti i riti che caratterizzano la vita della Chiesa. Ma anche la catechesi, ovvero la condivisione della Parola di Dio, da solo o in piccoli gruppi”.

“Mi sforzo sempre di cercare nuove soluzioni ai tanti problemi che vedo e affronto quotidianamente alla luce del Vangelo. Perché rendere il proprio posto di lavoro solo ‘produttivo’ quando grazie all’incontro con Dio può essere anche bello e sano“, sottolinea don Giovanni.

“E’ vero, vivo la carità, e sono ben visto in aeroporto e dalle persone che aiuto perché oramai mi conoscono e sanno che lo faccio di ‘mestiere’, concretizzando quello che è la Buona Novella. Ma la carità non è solo questo: quando recito il Padre Nostro o amministro i sacramenti, anche in questi momenti si vede la concretezza e la bellezza della carità”.

La sfida del Vangelo

Un prete può essere una figura d’aiuto per chi è cristiano, ma in aeroporto, crocevia di culture e di popoli, è facile incontrare persone bisognose che credono in altro. Il colletto in quei casi, però, non diventa un ostacolo: “Qui, come a Roma e nel resto del mondo, oramai viviamo con il pregiudizio. Eppure solo rarissime volte mi è capitato di tendere la mano verso qualcuno che ha subito rifiuto. Ma più che al credo religioso, ritengo che questo sia dipeso dal carattere e dalla storia personale di quelle persone”.

Una missione, quella di don Giovanni che si realizza quotidianamente grazie all’aiuto di persone speciali: “Ringrazio Dio che per questa sfida mi ha donato dei compagni davvero straordinari, Adr in primis. Senza la loro professionalità l’aeroporto di Fiumicino non sarebbe l’aeroporto dei record che è oggi. E’ la parte bella dell’Italia, che svolge il proprio lavoro con serietà e impegno, mettendoci l’anima ma, soprattutto, ci mettono il cuore. Adr ha arricchito il ‘Da Vinci’ non solo con strutture o negozi, ma anche con un luogo in cui si vive e si tocca con mano la spiritualità e la carità. Tanti amministratori dovrebbero valutare la presenza di una cappella cattolica perché c’è tanta gente credente che viaggia e richiede questo servizio. In aeroporto il 99,9% di negozi va bene, ma lasciamo lo 0,1% di spazio per la spiritualità“.

Cosa lo spinge a continuare ogni giorno? “Il Vangelo. E anche le parole di Papa Francesco che ci ha rivolto quando è venuto a trovarci proprio qui in aeroporto, appena prima di partire alla volta di Abu Dhabi (leggi qui). Ci disse: ‘Grazie, grazie. E’ questa la Chiesa che voglio’. Ci sono stati dei momenti in cui ho avuto dei dubbi su quanto facciamo qui. Ma le parole del Papa li hanno cancellati. Ora so che questa è la strada giusta da seguire”.

(Il Faro online)