Astaldi si prepara a ripartire da Progetto Italia mentre il governo studia la mossa giusta per riaprire i cantieri

7 marzo 2020 | 08:00
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Astaldi si prepara a ripartire da Progetto Italia mentre il governo studia la mossa giusta per riaprire i cantieri

Il metodo-Genova potrebbe fare scuola e consentire di sbloccare lavori per 55 miliardi

Rapidità, efficienza, assenza di vincoli burocratici. È questa il mix grazie a cui i lavori per il ponte di Genova avanzano senza sosta. E ora il metodo potrebbe essere replicato, se è vero che il governo sta pensando di applicarlo a una lista di altre opere che potrebbero rimettere in moto lavori per 55 miliardi di euro. Sarebbe una bella spinta per un settore che ha così sofferto negli ultimi anni e che ha portato grandi aziende, come Astaldi, vicine al collasso. Lo sanno bene i creditori di Astaldi, che entro fine mese dovranno approvare il piano che prevede il concordato preventivo in continuità e poi l’ingresso nel capitale da parte di Salini Impregilo che, con il marchio WeBuild, sta creando un maxi polo di settore.

Alla fine del 2018 Astaldi si è ritrovata sull’orlo del fallimento, piegata da un difficile quadro macroeconomico, ma anche dalla dilatazione dei tempi di pagamento da parte degli enti pubblici, dal mancato incasso dei crediti, e più in generale dallo stallo che ha colpito l’intero sistema delle infrastrutture in Italia.

Adesso il salvataggio passa attraverso Progetto Italia, una complessa operazione industriale e finanziaria che coinvolge il sistema-Paese. Progetto Italia vuole costruire attorno a Salini Impregilo – che oltre a essere leader del settore ha anche evitato di impantanarsi nella palude italiana lavorando soprattutto all’estero – un polo delle costruzioni sotto il marchio WeBuild che abbia solide basi finanziarie, un importante portafoglio ordini, grandi competenze professionali e dimensioni sufficienti da poter operare allo stesso tempo sul mercato italiano, resistendo a quelle difficoltà strutturali e congiunturali che hanno messo in crisi Astaldi, e su quello internazionale, dove potrà competere con i più grandi gruppi esteri.

Progetto Italia ha già fatto i primi passi. Salini ha assorbito alcuni operatori e punta – con altre acquisizioni – a superare i 10 miliardi di fatturato. Per farlo, ha varato un aumento di capitale da 600 milioni che ha portato nel capitale le principali istituzioni finanziarie del Paese: la Cassa depositi e prestiti, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Banco Bpm. Assieme hanno poco meno di un terzo del capitale e affiancano la famiglia Salini, che resta azionista di maggioranza con oltre il 40%.

Le obbligazioni Astaldi erano state sottoscritte inizialmente da investitori istituzionali ma in un secondo momento sono state cedute al pubblico retail, a cui ora viene proposto di diventare azionisti di Astaldi, a fianco della stessa Salini che ne acquisirebbe il 65%.
Il concordato preventivo in continuità aziendale è già stato approvato da una parte di loro, i titolari del prestito UK da 140 milioni di euro. Ora sono chiamati a esprimersi i detentori del prestito obbligazionario Usa da 750 milioni, che si riunisce in seconda convocazione il 10 marzo e, eventualmente, in terza convocazione, il 24 marzo. Il voto forse sarà contrario ma non influirà sul via libera finale: il 26 marzo infatti si terrà l’assemblea di tutti i creditori, di cui gli obbligazionisti rappresentano solo una parte minoritaria: le banche detengono il 56% del debito, a cui si aggiunge il 4% degli obbligazionisti che hanno già votato a favore.

Con l’operazione prevista nell’ambito di Progetto Italia si vogliono salvaguardare le attività industriali, tenendo in vita i numerosi cantieri su cui Astaldi è ancora impegnato, come la linea 4 della Metropolitana milanese, salvaguardando anche l’avviamento della società e permettendo ai creditori, dopo un aumento di capitale di 225 milioni, di diventare soci della nuova Astaldi e di beneficiare in futuro della eventuale cessione di alcune attività del gruppo.

In caso contrario, si prospettano due diversi scenari dall’esito a dir poco incerto. Si può scivolare nell’amministrazione straordinaria, con una gestione affidata ai commissari, che rischia di rallentare fortemente l’operatività dell’azienda, con effetti negativi sugli appalti già in essere e sulla prosecuzione delle commesse. Oppure si può precipitare nel fallimento, che cancellerebbe definitivamente il nome di una delle più conosciute aziende italiane nel settore dei grandi lavori.