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Come possiamo combattere l’erosione costiera?

16 marzo 2020 | 06:30
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Come possiamo combattere l’erosione costiera?

Ecco alcuni principi e considerazioni di carattere generale di cui, secondo la scienziata Ilaria Falconi, dovrebbero tener conto le istituzioni

Fiumicino, Ostia – “L’erosione costiera ha raggiunto, in molti tratti del litorale laziale, livelli di grave dissesto e, considerata la rapida evoluzione dei fenomeni di arretramento delle spiagge degli ultimi anni, le prospettive future sono molto preoccupanti”, spiega la scienziata Ilaria Falconi, tecnico Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) presso il Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, nonché consigliere Sigea (Società Italiana di Geologia Ambientale).

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“Ritengo pertanto – continua Falconi – utile e interessante proporre alcuni principi e considerazioni di carattere generale di cui dovrebbero tener conto le istituzioni, gli amministratori pubblici e privati, i tecnici e tutti i soggetti coinvolti nell’assumere le decisioni in materia”.

Le premesse

“La difesa dei litorali – precisa la dottoressa Falconi – va inserita all’interno di un contesto d’azione integrata a medio-lungo termine in cui devono essere considerati gli effetti indiretti – che riducono la resilienza delle spiagge – e quelli diretti, causati dall’erosione costiera e dai cambiamenti climatici. Gli interventi di difesa, quindi, devono essere integrati in un piano che deve includere criteri di sviluppo sostenibile e tutela ambientale, in quanto la conservazione dei litorali sabbiosi ben sviluppati e il contrasto all’erosione costiera rappresentano, in genere, una strategia di difesa e di riduzione del rischio di inondazione dei territori costieri”.

Qualsiasi opera di difesa costruita sugli arenili o sommersa, in qualunque punto essa si trovi e indipendentemente dal tipo adottato, rappresenta sempre un ostacolo al libero movimento delle acque marine lungo il litorale, sia che tale movimento si manifesti sotto forma di corrente sia che esso sia dovuto al moto ondoso – sottolinea -. Le opere di difesa, quindi, devono essere conformate in modo che i suddetti movimenti delle acque possano superare l’opera e proseguire oltre, sia pure modificati e ridotti. Nella progettazione di un opera di difesa, inoltre, occorre tenere nella debita considerazione e valutare opportunamente le caratteristiche dei movimenti migratori dei materiali litici, con attenzione al senso nel quale in prevalenza tali movimenti si verificano; la posizione, rispetto all’opera da costruire, delle fonti di rifornimento dei materiali consistenti prevalentemente nelle conoidi situate alle foci dei fiumi; la ripartizione di essi lungo gli arenili dovuta alle caratteristiche del litorale nonché ai movimenti delle acque marine in prossimità del litorale stesso; la composizione granulometrica dei materiali e la quantità degli stessi che mediamente persiste nella zona”.

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“Occorre pertanto evitare di contrastare eccessivamente i movimenti naturali delle acque marine, cercando di assecondarli il più possibile, favorire la normale tendenza del mare al ripascimento, nel senso di non impedire del tutto l’azione di trascinamento dei materiali sciolti lungo l’arenile ad opera delle correnti di riva e non ostacolare il raggiungimento dell’arenile stesso da parte dei materiali sciolti, nella zona dei frangenti, dal moto ondoso e da questo trascinati in sospensione verso la riva. Nella progettazione di una difesa, poi, è necessario esaminare attentamente l’opportunità o meno di prevedere la sua esecuzione in un’unica fase oppure in più fasi, in relazione sia alla tendenza dell’opera a modificare i processi naturali che si verificano in quella zona del litorale sia all’entità delle difese stesse”.

Le barriere frangivento, ad esempio, rappresentano una valida alternativa agli argini invernali di protezione degli stabilimenti ed un ottimo metodo per limitare la perdita di sabbia dalle spiagge, e possono portare in breve alla formazione di una duna simmetrica di diverse decine di centimetri in altezza e di alcuni metri di larghezza alla base”.

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“Occorre ritrovare – spiega Ilaria Falconi – una nuova linea di equilibrio della costa in quanto le correnti prevalenti che hanno da sempre agito dalla foce del Tevere verso sud-est e l’azione del moto ondoso non cessano di esplicare la loro azione di fronte alle barriere di protezione messe in opera. Occorre, inoltre, introdurre il divieto di operare ampliamenti, anche stagionali, della superficie dell’arenile verso il mare abbassando la quota esistente, o stabilita, della spiaggia e quello di asportazione dei tronchi spiaggiati in modo che possano esercitare funzioni di contrasto all’azione del mare e del vento nonché di trappola per i sedimenti. E’ necessario, infine, introdurre una fascia di rispetto in zona costiera che ne garantisca la tutela attiva per contrastare la sempre crescente domanda di trasformazione del suolo”.

Le azioni più urgenti

“Nel richiamare in via generale i criteri di scelta tecnica e le buone pratiche sopra descritte, finalizzate se non a ricostituire l’habitat naturale quantomeno ad impedire l’aggravarsi dell’erosione nel tratto di costa laziale in esame, in prospettiva sarebbe urgente assumere specifiche iniziative per:

1. Continuare a contrastare il fenomeno erosivo nel litorale romano di Ostia – che si presenta in forme non omogenee ed altalenanti -, pianificando e realizzando periodici interventi manutentivi tramite opere di ripascimento protetto con barriera sommersa che sino ad oggi, nel contesto delle molteplici azioni di difesa già realizzate e strutture impiegate ed ancora presenti in loco, si sono rivelate quelle più efficaci perché meno invasive dell’habitat in quanto tali da non determinare esse stesse criticità e danni alle zone limitrofe alla porzione di litorale trattata. Si dovrebbe scongiurare il ripetersi, come avvenne dopo il positivo ripascimento del 1999, che nell’area di spiaggia aumentata siano posizionate da parte dei gestori commerciali ulteriori strutture balneari la cui installazione vanificherebbe il risultato raggiunto. Inoltre, occorre evitare di eseguire la manutenzione ed integrazione degli interventi di ripascimento in autunno e inverno poiché sarebbe un’operazione inefficace, in quanto nel suddetto periodo il mare attua naturalmente il ripascimento.

2. Riaprire ed approfondire il dibattito politico in ambito regionale e locale in merito all’opportunità o meno di costruire il nuovo porto crocieristico-turistico a Fiumicino, in quanto tale opera, aggiungendosi al sussistente Porto Canale, oltre a causare le ampie criticità ambientali già descritte nel paragrafo dedicato, comprometterebbe ulteriormente il tratto di costa compreso tra Fiumicino e Passoscuro, già fortemente segnato da erosione costiera. La costruzione di porti e moli, infatti, determina la duplice azione di congelamento del tratto di spiaggia interessato e di ostacolo alla normale direzione delle correnti marine e del nastro trasportatore lungo riva che sposta i sedimenti dalla foce. Tutto ciò che viene deposto sopraflutto, difatti, viene sottratto al bilancio dell’intera unità e di conseguenza le zone sottoflutto sono soggette a forte erosione e all’approfondimento del fondale marino. Nello specifico, l’esistenza dei moli presenti a Fiumicino già perturba il fenomeno di trasporto, provocando correnti rivolte verso il largo che hanno per effetto la dispersione detritica, e quindi la realizzazione degli altri moli previsti nel nuovo progetto non potrà che acuire l’intensità di detto squilibrio.

3. Sostituire per l’area marina antistante Fregene, compresa tra gli stabilimenti balneari ‘La Perla’ a sud e ‘La Vela’ a nord, il geotubo, già messo in opera ed immediatamente risultato inefficace, con il tecnoreef che, fra le tecniche innovative di difesa contro l’erosione costiera, appare quella più idonea essendo, fra l’altro, di minore impatto ambientale ed anzi anche di stimolo sia alla naturale riparazione dei danni prodotti dall’erosione che allo sviluppo di specie ittiche ed organismi vegetali, favorendo l’attecchimento corallino e la protezione e non alterazione della Poseidonia (una pianta acquatica, ndr) nel pieno rispetto del delicato equilibrio biologico.

Il tecnoreef è realizzato con strutture componibili in calcestruzzo armato, a basso impatto ambientale, costituito da elementi naturali (sabbia lavata e ghiaia spezzata), assemblate in svariate combinazioni e con fori, in grado di originare strutture stabili e complesse sui fondali marini e lacustri. I moduli a piastra forati, uniti fra loro mediante bulloneria metallica in acciaio inox, si ancorano sul fondo in modo stabile e definitivo e sono in grado di resistere alle spinte delle correnti e agli effetti di trascinamento delle reti. Allo stesso tempo, dato che la base della struttura è sempre, in qualsiasi composizione, più ampia del culmine, la forza scaricata su ogni singola piastra di base non è mai eccessiva, evitandosi così l’affondamento della struttura nel fondale.

L’approccio al tecnoreef si basa su un’idea semplice: non fermare la forza del mare, bensì assorbirla. La struttura aperta, infatti, permette all’onda di entrare all’interno dove, generando diverse turbolenze, ne esce sensibilmente indebolita. Questa tecnologia scompone, quindi, l’energia del moto ondoso e, al contempo, svolge la funzione di una vera e propria nursery-area, ovvero di una struttura in grado di proteggere le specie ittiche. Si caratterizza per i ridotti costi di realizzazione, per la quale è possibile utilizzare qualsiasi tipo di imbarcazione, dal gommone al pontone, con o senza gru, e la sua durata in servizio è ampiamente superiore ai 50 anni.

Nello specifico, per l’area marina antistante Fregene occorrerebbe posizionare una barriera leggermente curva, con pancia rivolta verso il largo, costituita da 102 moduli tecnoreef da 51 piastre, per un’estesa di circa 800 metri, in corrispondenza alla batimetrica -3.50 metri circa, in modo da creare una difesa permeabile e reversibile, in grado di stabilizzare la linea di riva a tergo. I moduli da utilizzare dovrebbero essere lunghi 7.5 metri ciascuno e le pareti forate da posizionarsi inclinate verso l’interno ed unite fra loro. L’attività di ripascimento della spiaggia – conclude la dottoressa Ilaria Falconi – potrebbe essere successiva alla posa della struttura“.

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(Il Faro online)