L'Approfondimento

L’autismo al tempo del coronavirus e gli insegnamenti che dovremmo trarne

13 aprile 2020 | 06:30
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L’autismo al tempo del coronavirus e gli insegnamenti che dovremmo trarne

A sfatare un po’ di falsi miti sull’argomento è Noemi, studentessa di psicologia che da anni lavora al fianco di ragazzi e ragazze autistici

di BIANCA MICHELANGELI

Il 2 aprile si celebrava la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, istituita dall’Onu nel 2007 con l’obiettivo di scandagliare una realtà troppo spesso vittima di pregiudizi e luoghi comuni. Una giornata che, però, quest’anno è stata trascorsa fra le mura di casa, tra difficoltà vecchie e nuove.

Ma com’è che l’autismo convive con l’emergenza sanitaria in atto? A spiegarcelo – e a sfatare qualche falso mito – è Noemi, studentessa di psicologia che si occupa di “interventi abilitativi in contesti naturali”: si dedica, cioè, ad insegnare – attraverso specifiche strategie – delle abilità che consentano ai ragazzi autistici di poter raggiungere, idealmente, il maggior livello di autonomia e soddisfazione personale possibile. Noemi è, dunque, quella che in gergo specialistico viene definita una “facilitatrice”, ovvero una figura che funge da mediatrice fra il ragazzo o la ragazza autistici e il resto del mondo. E Noemi, che opera nel settore già da diversi anni, conosce bene le ripercussioni che il lockdown dell’intero paese sta avendo su chi è autistico: “Quanto sta accadendo nel mondo – commenta – è straordinario per i neurotipici, figurarsi per chi non lo è“.

Cos’è davvero l’autismo? Facciamo un po’ di chiarezza

Ma partiamo dall’inizio. Cos’è l’autismo? E, soprattutto, è un qualcosa che si “è” o che si “ha”? “L’autismo – spiega Noemi – è, scientificamente parlando, una condizione di neurodiversità. Parliamo, dunque, di una vera e propria differenza biologica: il cervello di una persona autistica è configurato diversamente da quello dei cosiddetti ‘neurotipici’ e, pertanto, reagisce in maniera differente agli stimoli provenienti dall’esterno. Molti attivisti autistici – continua – rivendicano la pervasività della loro condizione: desiderano, cioè, non essere considerati ‘persone con l’autismo’ – come se fosse un elemento accessorio, o una malattia -, ma ‘autistici’ in ogni aspetto della loro identità“.

“Ci tengo a sottolineare – precisa Noemi – che l’autismo non è di per sé invalidante: a renderlo tale sono, spesso e volentieri, le aspettative della società e il concetto di ‘normalità’ che questa c’impone: ma cosa vuol dire, dopotutto, ‘essere normali’? Ciò che per me è normale potrebbe non esserlo per qualcun altro: si tratta di un concetto relativo, e quindi privo di valore. L’autismo, poi, è troppo spesso confuso con il ritardo cognitivo: una condizione che può sì coesistere con l’autismo, ma che non ha alcun diretto legame con esso”.

L’autismo al tempo dell’epidemia da Covid-19

“L’eccezionale periodo storico che stiamo vivendo – continua Noemi – porta con sé una serie di novità, non necessariamente tutte negative. L’incentivazione dello smart working, ad esempio, ha fatto sì che tanti datori di lavoro iniziassero finalmente a valutare l’ipotesi di far lavorare i propri dipendenti autistici da remoto, magari anche dopo la fine dell’emergenza: una soluzione ideale per chi, com’è il caso della maggior parte delle persone autistiche, soffre di un’ipersensibilità sensoriale tale da rendere difficoltosa la vita in ufficio. Come dimostrato da studi recenti, infatti, ciò che per noi è poco più di un semplice fastidio – l’incessante squillare di un telefono, ad esempio -, può essere fonte di vero e proprio dolore per chi è autistico, e quelli che spesso vengono scambiati per ‘capricci’ sono, in realtà, esigenze profonde che, se soddisfatte, permetterebbero agli autistici di inserirsi con più facilità nel tessuto sociale, anziché scoraggiarsi ancor prima di provarci”.

“D’altra parte, uno degli aspetti più tragici della pandemia è, per gli autistici, lo sconvolgimento della loro routine quotidiana: com’è risaputo, infatti, la prevedibilità e la regolarità giocano un ruolo fondamentale nella vita delle persone autistiche. Ciò potrebbe causare molto stress, soprattutto nei più piccoli, che non sono ancora in grado di capire cosa stia accadendo: l’ignoto è, per gli autistici ancor più che per i neurotipici, fonte di grande ansia. Proprio per questo motivo, è normale assistere ad un aumento degli episodi di stimming: la ripetizione, cioè, di gesti tesi ad ‘autoregolarsi’, ossia ad abbassare il livello di ansia e frustrazione (e che, lo voglio precisare, sarebbe bene non tentare di sopprimere, anzi). Una cosa che facciamo anche noi neurotipici, magari mangiandoci le unghie o toccandoci freneticamente i capelli: tutte azioni che, però, vengono tranquillamente ritenute socialmente accettabili”.

“Per tutti questi motivi – prosegue -, molte famiglie si trovano oggi in difficoltà; eppure, ‘stabilizzare’ la vita in quarantena non è solo possibile, ma anche necessario: si potrebbe, ad esempio, decidere di regolarizzare gli orari dei pasti, dei compiti, e di qualunque altra attività. In questo senso, un’agenda visiva potrebbe rivelarsi di grande utilità, permettendo al bambino o alla bambina di visualizzare i momenti salienti della propria giornata. Dobbiamo, in sostanza, creare delle routine in una quotidianità che è del tutto nuova“.

“In conclusione, non posso che ribadire l’importanza di accogliere ed ascoltare le testimonianze di chi vive l’autismo in prima persona: voci rimaste troppo spesso inascoltate, e che invece ci aiutano a conoscere realtà sì diverse, ma non per questo incapaci di contribuire al benessere della nostra società. D’altronde, come ha già detto qualcuno, il mondoha bisogno di tutti i tipi di mente, nessuna esclusa”.

(Il Faro online)