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Emergenza sociale post Covid: la soluzione è il lavoro

Ridare dignità alla Repubblica dando piena attuazione all'articolo 1 della Costituzione italiana

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Si è celebrata il 2 giugno, la giornata nazionale istituita per ricordare la nascita della Repubblica Italiana, coincisa con il 2 giugno del 1946, giorno del referendum istituzionale.

Sarà bene ricordare che a distanza di 74 anni l’articolo 1 della Costituzione italiana – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro – continua ad essere disatteso.

E, al di là delle manifestazioni e delle parate, che rappresentano da sempre l’aspetto estetico di questa importante data per tutti gli italiani, anche il 2 giugno 2020 Istituzioni e politica, che anche in quest’occasione hanno occupato la scena e l’attenzione dei media, ci hanno servito “l’estetica e non la sostanza”.

È paradossale, per non dire assurdo, che moltissimi cittadini continuano ad essere contrattualmente inquadrati come precari, pur avendo alle spalle, come nel caso emblematico degli insegnanti e ricercatori, molti più anni di quelli ritenuti necessari negli altri Paesi europei per essere inquadrati in ruolo.

Ma l’aspetto grottesco di questa situazione è che il principale datore di lavoro che relega i suoi dipendenti a precari perenni non è un industriale avido e spietato ma lo Stato, i cui governi nulla hanno fatto, nel corso degli anni, per sanare la situazione.

È bene ricordare anche che la Repubblica è donna, perché fu proprio il voto delle donne a determinare l’esito referendario del 1946 e il 2 giugno si potrebbe considerare anche una festa, se oltre al lavoro si attuassero le pari opportunità. Allora si che sarebbe bello non solo ricordare ma anche festeggiare il 2 giugno e anche l’estetica avrebbe il suo valore.

Eppure, dopo l’emergenza sanitaria, che per dichiararla sono serviti gli scienziati, è arrivata l’emergenza sociale e, in questo caso, non sono serviti gli scienziati ma l’allarme l’hanno lanciato gli uomini e le donne, le cosiddette persone comuni, che hanno perso o vedono a rischio il loro posto di lavoro.

Dal 18 maggio, con l’inizio della seconda fase, sembrava chiaro a tutti che la priorità fosse il lavoro, che le forze da mettere in campo erano quelle delle categorie della sanità e dell’assistenza sociale, della cultura e degli artigiani, delle partite iva e dei professionisti, degli imprenditori e degli industriali, degli insegnanti e degli educatori, degli immigrati e dei precari. Perché queste sono le vere ricchezze della Repubblica e che vorremmo sfilassero ogni anno, in questa data, per i Fori Imperiali di Roma e nelle piazze delle città italiane.

I numeri dell’emergenza sanitaria sono anche i numeri della crisi del lavoro. Sono già più di mezzo milione i posti persi e nel 2020 gli occupati dovrebbero calare del 2,1%. pari appunto a 500 mila posti di lavoro.

Ma la realtà è ancora peggiore. Perché per l’Istat nei primi tre mesi di cassa integrazione i lavoratori sono considerati ancora “occupati”. Quindi la perdita di posti di lavoro sarà ancora maggiore quando scadranno i tre mesi seguiti alle casse integrazioni per coronavirus.

Dal rapporto Censis emerge come per gli italiani ci sia preoccupazione per la salute e incertezza riguardo il futuro e il lavoro. Il 57,1% degli italiani giudica il futuro piuttosto incerto. Sul fronte del lavoro il 50% teme la disoccupazione e il 62% è convinto che ci sarà l’inevitabile aumento del calo dei posti di lavoro.

Ecco, sicuramente questo sarà il problema principale che la politica centrale dovrà affrontare per ridare anche dignità alla Repubblica dando piena attuazione all’articolo 1 della Costituzione italiana.

Ma, oggi, in questa fase di forte contrazione economica a seguito delle conseguenze dell’emergenza sanitaria, le pesanti ed immediate conseguenze della crisi del lavoro, ricadranno sui servizi territoriali e sulle amministrazioni locali.

Quindi, chi ha il compito più difficile è la politica locale, gli amministratori più vicini ai cittadini, che ogni giorno si ritrova ad affrontare nuove forme di disagio sociale ed economico e le difficoltà di bilancio del proprio Comune.
Il Faro online)

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