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Infallibilità del Papa, 150 anni fa la proclamazione del dogma: storia e significato

18 luglio 2020 | 02:30
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Infallibilità del Papa, 150 anni fa la proclamazione del dogma: storia e significato

Ufficializzato dal Concilio Vaticano I il 18 luglio del 1870, il dogma dell’infallibilità era già conosciuto dai credenti nei primi secoli del cristianesimo

Città del Vaticano – Era il 18 luglio del 1870 quando il Concilio Vaticano I, con la pubblicazione della costituzione apostolica Pastor Aeternus elevava a dogma di fede l’infallibilità del Papa. O meglio: l’infallibilità del Magistero papale. Ciò non significa che il Pontefice “ha sempre ragione”. Il successore di San Pietro, infatti, deve essere considerato infallibile quando parla ex cathedra, ovvero quando esercita il suo “supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani” e “definisce una dottrina circa la fede e i costumi”.

Infallibilità del Magistero papale: significato

Per capire il significato di questo particolare dogma, è necessario comprendere il “primato petrino”. Nelle liste dei dodici apostoli raccolte dal Nuovo Testamento, San Pietro è menzionato sempre all’inizio, in Matteo con l’aggettivo esplicito di “primo” (cfr. Mc 3,16-19; Mt 10,2-4; Lc 6,14-16; At 1,13). Nelle narrazioni trasmesseci da Paolo e Luca, il Risorto appare a lui per primo (cfr. 1Cor 15,5; Lc 24,34).

Anche se il solenne passo evangelico del “potere delle chiavi” (cfr. Mt 16,18) venisse considerato – come da alcuni autori – una redazione posteriore alla prima predicazione apostolica, esso testimonia certamente a favore del ruolo privilegiato che Pietro occupava, sia a Gerusalemme, sia in rapporto alla espansione missionaria. Nella Pastor Aeternus, il Concilio Vaticano I definisce così l’infallibilità del Magistero pontificio:

Il romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di pastore e di maestro di tutti i cristiani per la sua suprema autorità apostolica definisce che una dottrina riguardo alla fede e ai costumi deve essere tenuta da tutta la Chiesa, per l’assistenza divina a lui promessa nel beato Pietro, gode di quella infallibilità della quale il divin Redentore volle dotare la sua Chiesa nel definire una dottrina riguardo alla fede e ai costumi; perciò tali definizioni del romano pontefice sono irreformabili di per sé, non per il consenso della Chiesa (Romani Pontificis definitiones ex sese, non autem ex consensu Ecclesiae irreformabiles esse) (DH 3074).

Per evitare che i cattolici ponessero gli insegnamenti del Papa al di sopra del Vangelo stesso, su proposta di alcuni Padri conciliari fu respinto il titolo “L’infallibilità del romano Pontefice”, preferendovi quello di “Il Magistero infallibile del romano Pontefice”. In altre parole, ad essere infallibile, perché indefettibile, è la Chiesa, non la persona del Papa in quanto tale.

Ma devono verificarsi precise condizioni perché si possa parlare di “infallibilità del Magistero pontificio”. La Chiesa, infatti, basandosi sulla Bibbia, insegna che il Papa non può commettere errori in materia di fede e di morale quando deve esercitare il suo ruolo di supremo Pastore universale e di maestro della Chiesa; non si può parlare di infallibilità quando il Pontefice emana disposizioni, generalmente a carattere temporaneo, per una diocesi o per i fedeli di una nazione. Inoltre, il Magistero del Papa è infallibile in tema di fede e morale: non si parla di “infallibilità” quando parla di scienza, storia, ecc.

Il dogma dell’infallibilità nelle Scritture

Come tutti i dogmi, anche quello dell’infallibilità ha un fondamento biblico. Nel Vangelo c’è scritto che Cristo ha fondato la sua Chiesa sull’apostolo Simon Pietro: “Tu sei Pietro e su di te edificherò la mia Chiesa” (Matteo 16,18). Ciò significa che se Pietro potesse scivolare in errore per quanto riguarda la fede o la morale, Gesù avrebbe costruito la sua Chiesa sull’errore. E questo, essendo Gesù Cristo Dio, è inammissibile.

Anche i successori di Pietro valgono le stesse considerazioni del Principe degli Apostoli poiché, se dovessero cadere in errore i Papi, Cristo starebbe edificando la sua Chiesa sull’errore. Inoltre, Gesù dona a Pietro il potere di “legare e sciogliere” in terra e in Cielo (cfr Mt 16,19). Poiché Dio non può sbagliare, proprio perché è Dio, anche i Pontefici devono essere infallibili perché se così fosse, l’errore del Papa dovrebbe essere ratificato anche da Dio. Ma Dio non può errare.

Inoltre, Gesù ha affidato a Pietro il compito di pascere il suo gregge. Nel Vangelo di Luca si legge di come Gesù preghi affinché la fede di Pietro non venga mai meno, e questo durante l’Ultima Cena: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; 32 ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Luca 22,31-32).

Gesù sa cosa gli sta per accadere e mette in guardia i suoi. Ma prega per Simon Pietro e nessuno può dubitare che la preghiera di Gesù non venga esaudita. Da ciò deriva che Pietro, in materia di fede, non sarebbe sicuramente mai venuto meno. Dunque, è infallibile.

Infallibilità papale: dai Padri della Chiesa alla proclamazione del dogma

La definizione del dogma nella Pastor Aeternus, se letta con più attenzione, fa emergere che si tratta di una tradizione “accolta fin dall’inizio della fede cristiana”. Già i Padri della Chiesa, in varie occasioni, hanno riconosciuto l’infallibilità del Romano Pontefice. Ad esempio, Sant’Ignazio di Antiochia, afferma che i cristiani di Roma “sono puri da ogni estranea macchia”. Ovvero da ogni errore. Già all’inizio del II secolo d.C., quindi, si prefigura l’infallibilità della Chiesa e del suo Capo.

Anche San Cipriano, vescovo vissuto nel III secolo d.C., definisce la Chiesa di Roma come la cathedra Petri  che scrive, parlando delle eresie: “Essi non pensano che devono trattare con i Romani, la cui fede fu lodata dalla gloriosa testimonianza dell’Apostolo e presso i quali l’errore non può trovare alcun accesso”. Per il vescovo nella Chiesa di Roma, e quindi nel Papa, non può esserci errore. L’infallibilità dunque, anche se non in maniera esplicita, era già ampiamente conosciuta.

L’infallibilità della Chiesa

Un altro aspetto da sottolineare è che di questo dogma gode anche il Collegio apostolico, unito e sottomesso al Papa. Nell’Ultima Cena, come si legge nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice agli apostoli: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi” (Giovanni 14,16-18).

E ancora: “Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Giovanni 14,26). Ciò significa che Gesù, in quanto Dio, promette agli apostoli – e di conseguenza ai vescovi loro successori – l’assistenza continua dello Spirito Santo, che è Dio.

Nell’esercitare il loro servizio pastorale, i Vescovi, in comunione con il Papa, sono assistiti dunque dallo Spirito di Verità e, in virtù di ciò il Collegio episcopale non può sbagliarsi in materia di fede e di morale. In questa prospettiva, la Chiesa, grazie all’assistenza dello Spirito Santo, gode del dono dell’infallibilità nell’insegnare e nel credere le verità della fede. L’autorità che Gesù ha conferito alla sua Chiesa, infatti, è soprattutto un’autorità dottrinale.

(Il Faro online)