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Rivoluzione nel Consiglio Superiore della Magistratura: ecco la nuova riforma

8 agosto 2020 | 00:18
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Rivoluzione nel Consiglio Superiore della Magistratura: ecco la nuova riforma

Il testo di quaranta articoli targato Bonafede varato dal Consiglio dei ministri è articolato per modificare radicalmente il mondo della magistratura finita ‘sotto accusa’ con il caso Palamara e il caos Procure

Roma – Aumento del numero dei consiglieri, per i togati elezioni a doppio turno e sorteggio se non si raggiunge il numero previsto di candidati per ciascun collegio e con rispetto della parità di genere; no ai laici provenienti da incarichi di governo, nelle Regioni e nelle province autonome, riorganizzazione delle procure con minore gerarchizzazione, regole rigide per le nomine per arginare il potere eccessivo delle correnti.

Sono i punti principali della riforma del Consiglio superiore della magistratura. Il testo di quaranta articoli targato Bonafede varato dal Consiglio dei ministri è articolato per modificare radicalmente il mondo della magistratura finita ‘sotto accusa’ con il caso Palamara e il caos Procure.

La riforma

La legge delega contiene già tra le prime righe il punto nodale della riforma: la necessità di rimodulare, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, i criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi. Con il paletto che il “magistrato titolare di funzioni apicali, anche quando non chiede la conferma, non può partecipare a concorsi per il conferimento di un ulteriore incarico direttivo o semidirettivo prima di cinque anni”.

Aumenta il numero dei consiglieri, che passano da 24 a 30: i togati da 16 diventano 20 i laici, che attualmente sono 8, saranno 10. Per quanto riguarda il sistema elettorale, l’elezione dei consiglieri togati avverrà in 19 collegi con due turni di votazione: al primo turno si potranno esprimere 4 preferenze, con alternanza di genere. Ogni collegio deve selezionare 10 candidature, sempre rispettando la parità di genere.

Se questo non accade, se non si raggiungono i dieci candidati e se non c’è alternanza, interviene il sorteggio: un ufficio elettorale procede in seduta pubblica all’estrazione dei candidati mancanti. Viene eletto al primo turno chi ha il 65% dei voti, oppure vanno al ballottaggio i quattro candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze. In caso di parità passa il candidato del genere che risulta meno rappresentato nel collegio. Tra i laici non può essere eletto chi proviene da incarichi di governo, nei due anni precedenti, nelle Regioni e nelle province autonome di Trento e Bolzano.

Novità significative anche sull’attività del Csm. Per arginare il potere delle correnti, la riforma introduce il divieto di costituire gruppi, prevedendo che ogni consigliere eserciti il proprio ruolo in modo indipendente e imparziale.

Altro punto fondamentale, l’attività di nomina ai vertici degli uffici giudiziari: rispetto rigoroso della cronologia della vacanza dei posti, obbligo delle audizioni dei candidati se almeno tre componenti della commissione lo richiedono e, per ridurre la discrezionalità nelle scelte, torna il criterio dell’anzianità, a parità di merito e attitudini, e nella valutazione, oltre ai pareri dei consigli giudiziari, entrano anche quelli degli avvocati.

Nuove regole anche per evitare che l’attività al Csm diventi un volano per fare carriera: chi è stato consigliere non può ricoprire incarichi direttivi per i quattro anni successivi, e per due anni non può avere incarichi fuori ruolo. I componenti delle commissioni saranno sorteggiati, e non potrà fare parte della sezione disciplinare chi è membro di una delle commissioni che si occupano di nomine, di trasferimenti per incompatibilità funzionale e ambientale e di valutazioni di professionalità.

La riforma introduce nuove norme per l’organizzazione delle procure, riducendo il potere dei capi e la loro discrezionalità a favore di un maggiore controllo da parte del Csm che stabilirà i criteri per garantire omogeneità nella gestione degli uffici, indicando i principi generali per i progetti organizzativi.

Stop alle porte girevoli tra toghe e politica: un magistrato che abbia ricoperto un incarico al parlamento italiano o europeo, o in una Regione per almeno sei mesi, o che abbia avuto incarichi di governo o in Comuni con oltre 100 mila abitanti non indosserà più la toga e potrà essere ricollocato come funzionario al ministero della Giustizia o in altri ministeri.

Possono candidarsi i magistrati che siano in aspettativa da almeno due mesi, ma non nella circoscrizione in cui hanno esercitato negli ultimi due anni. Se non sono eletti, non potranno lavorare in quella circoscrizione elettorale, e per tre anni non potranno avere funzioni di gip, pm o avere incarichi direttivi.

La riforma prevede anche un argine ai cambi di funzione delle toghe, tra pubblico ministero e giudice: il passaggio potrà avvenire al massimo due volte e non più quattro. Più facile l’accesso in magistratura: con le nuove norme non è più necessario frequentare una scuola e chi ha conseguito la laurea in giurisprudenza dopo un corso di almeno quattro anni può partecipare direttamente al concorso.

Bonafede: “Ricostruiamo la credibilità della giustizia”

“Ricostruiamo la credibilità della giustizia con un’ambiziosa riforma” del Csm, necessaria a prescindere dai “recenti scandali” ha detto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, nella conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri che ha presentato il Decreto Agosto (leggi qui).

Con la riforma del Csm si punta a “scardinare il correntismo”. I componenti della sezione disciplinare verranno scelti con sorteggio e non potranno far parte di altre commissioni e per le nomine per gli uffici giudiziari si vuole evitare “qualsiasi logica spartitoria”, con lo “stop delle nomine a pacchetto: si deve seguire un ordine cronologico, in modo da evitare che possano arrivare sul tavolo del Consiglio più nomine contemporaneamente, che possono assecondare logiche spartitorie che vogliamo superare” ha sottolineato Bonafede.

Con la riforma del Csm “viene accentuato e posto un confine una volta per tutte tra politica e magistratura” ha detto il ministro della Giustizia, spiegando che non sarà possibile eleggere tra i membri laici “persone che ricoprono in quel momento o hanno ricoperto negli ultimi due anni ruoli di governo a livello nazionale o a livello regionale. Inoltre chi è stato membro del Consiglio superiore della magistratura”, al termine del mandato “nel quattro anni successivi non può presentare domande per incarichi direttivi e semidirettivi”, per evitare “che il ruolo di membro del Consiglio superiore della magistratura possa rappresentare in qualche modo un vantaggio”.

“Finalmente si scrive nero su bianco”, ha aggiunto il Guardasigilli, che “il magistrato che entra in politica, ed è assolutamente libero di farlo, una volta eletto ha perso il requisito di terzietà, per questo non potrà più tornare alla magistratura a vita. Al momento della candidatura non può candidarsi nel territorio in cui esercita in quel momento o ha esercitato negli ultimi due anni”. In caso di mancata elezione “si stabilisce che il magistrato non possa esercitare le funzioni nei tre anni successivi né nel territorio in cui si è candidato, né in quello in cui stava esercitando le funzioni al momento della candidatura. Negli altri territori non potrà esercitare le funzioni di pubblico ministero o di giudice delle indagini preliminari”.