IL PERSONAGGIO

Igor Righetti: “Vi racconto i segreti di zio Alberto Sordi”

11 agosto 2020 | 19:15
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Il giornalista radiotelevisivo Igor Righetti, cugino di secondo grado di Alberto Sordi, che voleva essere invece considerato zio, rivela aspetti curiosi e intimi del grande artista

Ostia – Successo e platea delle grandi occasioni presso lo stabilimento balneare “Le Dune” in occasione della presentazione del libro “Albero Sordi segreto” da parte dell’autore, Igor Righetti, cugino di secondo grado dell’attore e noto giornalista radiotelevisivo.

Accompagnato da Sabrina Deligia dell’associazione “Ostia incontra l’autore”, organizzatrice dell’evento, Igor Righetti ha snocciolato per oltre un’ora e mezza curiosità, aneddoti e particolari inediti della vita di Alberto Sordi, del quale conserva ricordi nitidi e consigli preziosi anche per la sua professione.

Forte del legame familiare (nipote di Primo Righetti, cugino della madre di Alberto, Maria Righetti), Igor Righetti ha avuto il privilegio di uno sguardo ravvicinato sulla vita di Sordi. In questo suo libro, il lettore viene preso per mano in un percorso appassionante alla scoperta di questo incredibile personaggio che, prima ancora di essere un divo, era un essere umano. Un artista estremamente riservato nella sua vita privata, al punto che vietava l’uso di macchine fotografiche ad amici e parenti ammessi a frequentare la sua splendida villa.

Una persona insomma, con tutti i suoi pregi, i suoi difetti e, come suggerisce il sottotitolo, anche con le sue manie e i suoi rimpianti. Ma è forse proprio questo suo lato umano a rendere in retrospettiva ancora più interessante e in fin dei conti ammirevole la vita di Alberto Sordi. Una persona determinata. “Per questo non si è sposato – sottolinea Righetti – Diceva “Se mi fossi sposato sarei stato un pessimo marito e un pessimo attore” perché la famiglia gli avrebbe sottratto tempo ed energie alla sua professione e al suo pubblico che amava visceralmente”.

I vostri ricordi con me e con i nostri cari raccontateli soltanto quando sarò in ‘orizzontale’, ci diceva – prosegue ancora Righetti – Allora mi farete felice, perché sarà anche un modo per non farmi dimenticare dal mio pubblico che ho amato come fosse la mia famiglia e per farmi conoscere alle nuove generazioni”.

La diceria della sua supposta avarizia – osserva l’autore del libro – era una falsità che però lui non smentiva ma, anzi coltivava. Era generoso e ha fatto del bene a tantissime persone, aveva decine di adozioni a distanza, ha donato i suoi terreni per il Campus Biomedico. Però non obiettava alla diceria. A mio nonno diceva. ‘Vedi, Pietro, a un taccagno non chiederesti mai un prestito. E’ meglio che sappiano che sono avaro’”.

Il racconto di questo Sordi segreto non avviene, naturalmente, solo dal punto di vista dell’autore, che si premura di coinvolgere, raccogliendone le testimonianze, altri membri della famiglia, assieme a una serie di prestigiosi amici e conoscenti di Alberto, fra i quali Pippo Baudo, il professor Rodolfo Porzio medico della famiglia di Alberto e Patrizia De Blanck, con la quale l’attore ebbe una relazione sentimentale.

Tra le rivelazioni che emergono dal volume c’è la destinazione che voleva Alberto Sordi della sua villa di via Druso: non un museo in suo onore, come ha imposto la fondazione nata otto anni dopo la sua morte, bensì un orfanotrofio. “In questa casa – diceva l’attore alle sorelle – è sempre mancato il sorriso di un bambino”.

A tavola Alberto Sordi mangiava semplice e aveva le sue abitudini. “I pomodori del sugo e in insalata dovevano essere senza semini – racconta Righetti – Amava gli gnocchi di una nostra zia e quando andavamo al ristorante si sceglievano inevitabilmente Perilli a Testaccio o Cannavita a San Giovanni. Alberto era rimasto semplice anche nel mangiare: alle ostriche e allo champagne preferiva la bruschetta e un bicchiere di vino”.

Nei racconti di Righetti emerge, naturalmente, l’ironia che contraddistingueva Alberto Sordi. Sul perché non abbia mai interpretato politici, ad esempio, l’autore riporta: “Diceva che recitavano già loro e che sarebbe stata una sovrapposizione inutile. Sottolineava che alcuni parlamentari avrebbero meritato l’Oscar per la credibilità delle loro interpretazioni“. L’autore, grazie alle testimonianze proposte nel volume, non risparmia bordate ai “colleghi” di Sordi con i quali non c’è stato un grande feeling, in particolare con Nino Manfredi e con Carlo Verdone. “Con Verdone non ha più voluto lavorare dopo il film ‘Troppo forte’ del 1986 – segnala Righetti – Non gli era piaciuto come si era comportato con lui: aveva la sensazione che si preoccupasse di restare in ombra rispetto alla figura artistica di zio”.