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Non solo rifiuti, anche guanti e mascherine finiscono nelle reti: l’allarme dei pescatori

Roma – Scatta l’allarme per guanti e mascherine anti-Covid abbandonati in mare che finiscono nelle reti dei pescatori italiani, un ennesimo rifiuto altamente inquinante che si aggiunge a bottiglie, bastoncini per la pulizia delle orecchie, buste di plastica e pneumatici.

A denunciarlo è Fedagripesca-Confcooperative che ha raccolto le segnalazioni dei pescatori lungo le coste italiane. Certo, non c’è alcun rischio di contaminazione da coronavirus, visto che i dispositivi restano in acqua per giorni, ma vengono colpiti flora e fauna marina e le relative economie.

La maggior parte delle mascherine monouso, infatti, sono in poliestere e polipropilene e trattate con sostanze chimiche; plastiche che, una volta sfaldate, si tramutano in micro e nano plastiche ingerite dai pesci fino a risalire la catena alimentare e arrivare all’uomo. Difficile fare un bilancio, ma già oggi nei nostri mari, ricorda Fedagripesca, finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica; e se a questo dato si aggiunge uno scorretto smaltimento di mascherine, guanti e altri dispositivi anti-Covid, si arriva a numeri stratosferici. Secondo l’associazione francese Opération Mer Propre, con questo passo, nel Mediterraneo ci saranno più mascherine che meduse.

È impressionante la quantità di mascherine che porto a terra con le mie reti“, racconta all’Ansa Pietro, pescatore del Tirreno, visibilmente preoccupato, “in tanti anni che faccio questo mestiere di oggetti tirati su ne ho trovati tanti; pensi una volta ho ‘pescato’ perfino una lavatrice che mi ha strappato le maglie procurandomi un bel danno visto quanto costano. Va trovata una soluzione perché così non possiamo andare avanti”.

Intanto in Thailandia c’è già chi ricava mascherine proprio dal riciclo delle reti da pesca, uno dei rifiuti più diffusi negli oceani. Alcune organizzazioni locali, infatti, si sono unite per pulire il mare dalle plastiche in modo utile; anche perché i dispositivi riciclati si sono rivelati ugualmente protettivi rispetto a quelli di nuova produzione. Un’idea che potrebbe prendere piede anche in Italia dove i pescatori già da anni nella raccolta delle plastica in mare e nel recupero degli attrezzi ‘fantasma’ dispersi accidentalmente.

L’associazione ricorda, infine, i tempi medi di degrado di alcuni tra i materiali più comuni. Se sono eterne o quasi le bottiglie di vetro, ci vogliono mille anni per smaltire quelle di plastica e la metà del tempo per le lattine in alluminio. Si va, invece, dai 10 ai 20 venti anni per distruggere una busta di plastica, tra i 30 e i 40 per un bastoncino per la pulizia delle orecchie. Anche un torsolo di mela può lasciare una impronta che dura dai 3 ai 6 mesi, mentre non è stato ancora quantificato il tempo per distruggere una mascherina monouso (fonte Ansa).