Roma, “Mostra della Rivoluzione Fascista”: i carabinieri recuperano la refurtiva

26 agosto 2020 | 16:03
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Roma, “Mostra della Rivoluzione Fascista”: i carabinieri recuperano la refurtiva
Roma, “Mostra della Rivoluzione Fascista”: i carabinieri recuperano la refurtiva
Roma, “Mostra della Rivoluzione Fascista”: i carabinieri recuperano la refurtiva

Tutti cimeli trafugati (tra cui gagliardetti e bandiere) sono stati rinvenuti da un collezionista della Capitale, convinto di averla ottenuta legalmente

Roma – I carabinieri del Comando Tutela del Patrimonio Culturale hanno recuperato i beni del fondo “Mostra della Rivoluzione Fascista” scomparso nel nulla, gran parte era stato trafugato dai locali dell’Ente, senza che alcuno si rendesse conto dell’accaduto.

Si tratta di gagliardetti militari, labari e bandiere delle squadre antifasciste e dei fasci di combattimento che hanno partecipato alla marcia su Roma il 28 ottobre del 1922 custodito nell’archivio centrale dello Stato che collezionisti sono disposti a pagare migliaia di euro pur di sommarli alla propria collezione.

Un furto scoperto per caso, quando dovendone ricollocare alcuni fuori posto per motivi di studio è stata riscontrata l’assenza di una parte di essi. Un patrimonio composto da 1065 pezzi, il cui inventario era stato ultimato nel 2018. E le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma, sono state avviate immediatamente dalla sezione Antiquariato del reparto operativo. Presto sono state indirizzate verso uno specifico settore criminale che conduce a collezionisti. Ed in effetti, tutta la refurtiva è stata rinvenuta da un collezionista della Capitale. Un bottino cospicuo se si considera che, tra le altre cose, era comprensivo anche di un’uniforme di rappresentanza del corpo diplomatico, donata all’Archivio Centrale dello Stato, dagli eredi dell’ambasciatore d’Italia Sergio Fenoaltea, già rappresentante del partito d’azione nel Comitato di Liberazione Nazionale.

Gli investigatori hanno constatato che l’ignaro amatore era convinto di aver recuperato lecitamente parte di quei gagliardetti e bandiere che erano andati dispersi nel corso del turbolento biennio 1943-1944, dopo la caduta del regime fascista. Le squadre d’azione fasciste, infatti, avevano tradizionalmente come proprio simbolo un gagliardetto di colore nero, con sopra ricamato un motto o il nome e uno stemma, solitamente un teschio, simbolo degli squadristi, o un fascio littorio. Il gagliardetto era affidato ad un portabandiera e la sua difesa era considerata prioritaria durante le azioni della squadra. I gagliardetti venivano portati nei cortei e, lungo il tragitto, salutati dagli squadristi e dalla popolazione, a costo di qualche scapaccione a chi non lo facesse (il famoso “giù il cappello!”).

Tra le bandiere e i gagliardetti rinvenuti, ve ne sono alcuni in tessuto di colore rosso. Si tratta delle bandiere appartenute ai movimenti operai, sottratte nel corso di alcune delle violente incursioni compiute in quegli anni sanguinosi da parte delle Camicie nere, contro le sedi di partito o di camere del lavoro. Dalla lettura di alcune pubblicazioni storiche è emerso che la prima esposizione di tali cimeli avvenne, in carattere celebrativo propagandistico, nel 1932, in occasione del decennale della Marcia su Roma, e si tenne, per la durata di due anni, presso il Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale a Roma. Nell’ottobre del 1934, il copioso materiale, se si considera anche quello non esposto e rimasto nei depositi della mostra, venne trasportato presso la Galleria nazionale d’arte moderna a Valle Giulia, occupandone un’intera ala dell’edificio, per esservi custodito in attesa della costruzione, mai avvenuta, del palazzo che avrebbe ospitato il Centro Studi sul Fascismo.

Dopo l’esposizione in altri due eventi (uno nel 1937 e l’altro nel 1942, in occasione del ventennale della marcia su Roma), con la ricostituzione di un nuovo partito fascista, il Partito fascista repubblicano e la creazione della Repubblica Sociale Italiana, dopo l’armistizio del settembre 1943, il fondo della Mostra, insieme ad altri archivi fascisti, fu imballato e trasportato a Salò. Le casse del materiale, collocate presso il Museo Lapidario di Salò, non furono mai aperte per l’intero periodo della loro permanenza al nord, dove furono rinvenute più tardi, il 27 maggio 1945. Per quanto riguarda il materiale rimasto nei locali di Valle Giulia, esso subì probabili manomissioni e asportazioni durante i drammatici mesi dell’occupazione nazi-fascista.

Dispersioni cospicue erano inoltre già avvenute nei giorni successivi al 25 luglio 1943, giorno della caduta del regime. Inoltre risulta che il 5 giugno 1944, all’indomani della Liberazione di Roma, alcuni esponenti del Partito d’Azione si erano recati nei locali della mostra, per rendersi conto della situazione ed avevano prelevato vari oggetti, tra cui elmi e bandiere. Al termine del conflitto, una volta rientrato a Roma il materiale che era stato trasportato a Salò, tutta la documentazione archivistica, ormai riunita, dopo una verifica del carteggio ad opera dell’ufficio indagini del Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, venne trasferita presso l’Archivio del Regno, in funzione di pura conservazione e studio.

Le indagini dei carabinieri del Reparto Operativo del Tpc sono tutt’ora in corso e puntano a chiarire tutti gli aspetti della vicenda, a partire dalle modalità di sparizione del materiale dai locali dell’Archivio Centrale dello Stato oltre, ovviamente, risalire ai responsabili.
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