appunti di viaggio

Fiumicino, Covid e il dramma della ristorazione

14 ottobre 2020 | 07:00
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Fiumicino, Covid e il dramma della ristorazione

Le nuove norme che “bloccano” feste e cerimonie colpiscono una fascia di ristoratori, praticamente abbandonati a se stessi

di ANGELO PERFETTI

Fiumicino è una città storicamente nota per il suo grande appeal gastronomico. La ristorazione è uno degli asset più remunerativi per l’economia cittadina e, dopo le difficoltà del settore dei viaggi, lo è diventato persino più dell’indotto aeroportuale.

L’ultimo Dpcm potrebbe però diventare un macigno insostenibile per decine di ristoratori che a fatica hanno superato il periodo del lockdown.

Ma c’è da fare un distinguo. Alcune realtà, quelle dentro la cerchia del “centro”, nonostante la crisi (più di qualcuno ha abbassato le saracinesche) sono comunque riuscite a “reggere botta”. Locali più piccoli, hanno consentito, nonostante la riduzione di volume disponibile per la ristorazione, di creare sistemi che consentissero il normale svolgimento dell’attività.

Diverso è il discorso per i grandi ristoranti delle zone periferiche, non servite dalla clientela domenicale di passaggio, ma che basano il loro business sugli “appuntamenti”, che siano comunioni, cresime, matrimoni, feste di compleanno o festività in genere.

Queste attività, che per volume di superficie spesso hanno costi molto più alti di altri ristoratori, sia per la manutenzione che per la tassazione, non hanno più la possibilità di fare business. E questo accade nel più assoluto silenzio, sia da parte delle istituzioni che – incredibile a dirsi – delle associazioni di categoria.

Con problemi eccezionali servono soluzioni adeguate. Vale per le restrizioni anti-Covid, ovvio, ma dovrebbe valere anche per il mantenimento di un’economia che, se implodesse, porterebbe con sé nel baratro non solo i titolari attuali di singole attività, ma un intero tessuto sociale.

Cosa fare dunque? Si potrebbe scegliere di parametrare le tasse da pagare in base alla percentuale di fatturato diminuito, ad esempio, fino ad azzerare i costi. Ma non sta a noi dirlo, non siamo esperti di economia né amministratori. A noi spetta sollevare il problema, accendere i riflettori su di esso.

Nei locali pubblici non saranno più consentite feste a meno che non siano connesse a cerimonie come matrimoni o battesimi e anche in questi casi con il limite di trenta partecipanti, ha detto il premier Giuseppe Conte. Ma è una norma che poco si capisce: cosa cambia tra 30 e 40? Perché quel limite? E perché non c’è nelle chiese piuttosto che nei centri commerciali?

L’auspicio è che la Politica, con la P maiuscola (nazionale, ma anche locale), si confronti con i ristoratori coinvolti e trovi una qualche soluzione. La ristorazione non è tutta uguale, e di questo bisogna prenderne atto. Soprattutto a Fiumicino, che ha fatto della ristorazione la sua ragione di vita. Non si tratta di fare regali, ma di aumentare la resistenza al virus… anche in materia economica.