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Fiumicino, i ristoratori “invadono” la Portuense: “Conte, facci lavorare oppure moriamo” fotogallery

Manifestazione pacifica al grido di “libertà”. In strada anche mamme con bambini, fasciati dal Tricolore

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Fiumicino – “Lavoro, lavoro”, “Libertà, libertà”. La manifestazione pacifica organizzata dai ristoratori (e non solo) di Fiumicino è stata caratterizzata da queste due parole, gridate ossessivamente da tutti gli intervenuti. Certo non sono mancati gli insulti al premier Conte, segno di un’esasperazione tangibile, come spazio c’è stato anche per l’Inno nazionale, per una ritrovata unità nelle difficoltà.

Dpcm Conte, manifestazione commercianti Fiumicino

C’erano mamme con bambini anche molto piccoli, tutti avvolti nel Tricolore, c’erano grandi e piccoli ristoratori, gelatieri, titolari di pub, titolari di centri gioco e centri scommesse. C’erano anche anziani che hanno lavorato una vita e si vedono davanti il baratro della chiusura. C’erano anche esponenti politici di opposizione, profilo basso, senza simboli di partito, solo la presenza fisica a testimoniare una vicinanza a chi lotta per quello che la Costituzione stessa definisce come un diritto fondamentale: il lavoro.

Nessuna tensione con le forze dell’ordine (polizia, carabinieri, polizia locale) ma anzi una sottintesa comprensione per il dolore di chi, non per proprie colpe, vede andare in fumo anni di lavoro. Rabbia, anche, per chi ha speso soldi per adeguarsi alle disposizioni anti-covid (divisori in plexiglas, app per i menù, distanziamento tra tavoli) e vede ugualmente distrutta la propria economia.

Risvolti anche non immediatamente visibili, come quelli della filiera del vino che, prossima alla vendemmia, vede invendute migliaia di bottiglie. La gente non compra e non può uscire, i ristoratori a loro volta non si riforniscono, e il vino dello scorso anno resta ancora dentro le botti, in attesa di potersi trasformare in prodotto con una clientela. E la vendemmia resta un’incognita.

C’erano tanti cartelli, magliette, tutti con un solo unico messaggio: se chiudiamo adesso, chiudiamo per sempre. E a nulla vale l’annunciato “ristoro”, dato che in tanti erano quelli in attesa della cassa integrazione promessa a marzo. Per molti è arrivata una sola rata, la prima; per alcuni neanche quella. A fronte di tasse che, sostanzialmente, vengono solo rimandante nel tempo, e che incombono come mannaie sui bilanci già disastrati dei locali.

Un lungo corteo ha collegato via Portuense, nei pressi del Comune, fino a piazza Grassi, passando nei pressi del ponte 2 Giugno, e bloccando il traffico. Una protesta civile ma sentita, corretta ma rabbiosa. Di persone che chiedono solo una cosa: lavorare per sopravvivere. Con tutti i presidi anti-covid necessari a garantire la sicurezza dei clienti e la loro stessa. Più che una richiesta di aiuto, l’ultimo respiro di una categoria in ginocchio.

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