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Infernetto, Doppio Malto: “Di questo passo prevediamo la chiusura del pub”

2 novembre 2020 | 07:00
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Infernetto, Doppio Malto: “Di questo passo prevediamo la chiusura del pub”

Acri: “Non posso fare pranzo con il mio pub perché l’Infernetto non ha uffici aperti di giorno e siamo considerati un ‘quartiere dormitorio’: lo Stato così mi ha condannato al lockdown”

Ostia – La crisi incombe in Italia, soprattutto dopo i nuovi Dpcm del Governo Conte che hanno ulteriormente messo in difficoltà le attività di ristorazione presenti sul territorio nazionale.

Una difficoltà sentita oggi anche da bar, ristoranti e pub presenti sul X Municipio, che proveranno a sopravvivere a quello che si preannuncia un nuovo “periodo nero” per i nuovi decreti ministeriali.

Abbiamo avuto la possibilità d’intervistare Giampiero Acri, proprietario dello storico pub “Doppio Malto 96” e che ci racconta delle difficoltà della sua attività di ristorazione in questo momento storico.

Come si è trasformata l’attività lavorativa del locale con l’ingresso del nuovo Dpcm?

“Ci siamo trovati come se stessimo effettuando un lavoro completamente nuovo. Siamo una piccola realtà di quartiere, seppur molto conosciuti dalle persone. L’attività di asporto l’abbiamo sempre fatta, ma di rifinitura alla nostra attività: basti pensare come prima effettuavamo massimo tre/quattro consegne per casa, chiudendo a eventuali altre prenotazioni dopo le 20:15, Facevamo un altro lavoro, ossia quello di servire ai tavoli! L’asporto non è quindi il nostro business, con il Governo che ci sta costringendo a svolgere quello che non è un nostro mestiere. Basti pensare come serva un’organizzazione diversa, una preparazione diversa dei prodotti, ma soprattutto non hai dei parametri di uscita in questo tipo di frangente. Noi prima effettuavamo la spesa in base alle uscite del locale in presenza: non avendo mai fatto consegne su larga scala, oggi diventa più complesso calcolare tutto. Questa è un’attività che lavora tutto sul fresco, senza congelatori e abbattitori: in un simile scenario, come possiamo rispondere a eventuali 30/40 consegne? Significherebbe sacrificare una qualità che ha contraddistinto in più di due decenni il nostro locale. Quindi magari un giorno investo 200 euro sulla spesa, ma faccio 5 consegne… il giorno dopo investo meno sulla spesa, ma mi arrivano più richieste e sono costretto a dire alla clientela che non ho i prodotti per soddisfarli”.

A livello d’incassi come state risentendo la situazione dei Dpcm?

“Le consegne le effettuo io personalmente, anche se abbiamo attivo il servizio con Just Eat. Ci tengo a condurre tutto quello che riguarda il mio ristorante e se si sovrappongono più consegne alla stessa ora, invio i miei figli a consegnare presso un’abitazione. Il livello di fatturato è drammatico. Questa attività andava splendidamente, tanto che ci eravamo trasferiti qui dal vicino quartiere di Parchi della Colombo: pure con il locale più piccolo, nei primi 7 mesi abbiamo lavorato molto di più dell’altra parte. La mia clientela è selezionata, sono in primis i miei amici del quartiere che continuano a venire sempre. Con il lockdown gli amici hanno cominciato ad avere mille paure a frequentare un’attività di ristorazione, soprattutto sentendo alcune notizie passate sui telegiornali. Dopo il lockdown siamo arrivati a fatturare solo il 30%“.

A livello fiscale avete avuto qualche aiuto?

“Abbiamo dovuto mettere i nostri dipendenti in cassa integrazione, con loro che l’hanno iniziata a prendere tra giugno e agosto. Parliamo di dipendenti che sono padri di famiglia, cui la nostra attività ha dovuto anticipare i soldi per non metterli ulteriormente in difficoltà. Qui siamo una grande famiglia e nessuno abbiamo lasciato indietro: qui nessuno ha fatto la fame per merito dell’imprenditore che è intervenuto, non certo per Giuseppe Conte. Oggi qui non c’è fatturato, mentre una simile attività va avanti sulla media di 10/15 mila euro al mese. Anche se mi vuoi aiutare i primi due mesi, oggi mi condanni a fallire il terzo mese, mandare a casa i dipendenti e non far girare l’economia”.

In confronto alle graduali riaperture dei ristoranti di maggio, oggi ci sono nuovi problemi cui far fronte?

“La differenza sta nell’impreparazione sul primo lockdown, costringendoti ad accettare passivamente tutto quello che ti dicono. Oggi che se ne preannuncia probabilmente un secondo, l’imprenditore vorrebbe vedere un Governo preparato a ciò che sta accadendo. Mi costringi a organizzarmi per avere massimo 38 persone all’interno del locale, poi una settimana dopo mi fai chiudere al pubblico alle 18. Praticamente mi mandi in lockdown nei fatti, perché siamo un’attività che non ha mai aperto a pranzo: una scelta dettata dalla zona, poiché l’Infernetto e soprattutto via Antonio Lotti non vede la presenza di uffici. Il Governo non ha tenuto conto delle varie tipologie di locali adibiti alla ristorazione, non dialogando con le nostre categorie o interpellando dei professionisti del settore”.

Fai politica nel territorio del X Municipio e sei volontario con la realtà “Volontari X Roma”: ti stai sentendo con la categoria dei ristoratori per farti sentire dalle Istituzioni?

“Sono entrato in Fratelli d’Italia perchè si sta interessando alla drammatica situazione che sta interessando i ristoratori. I colleghi locali li sento tutti i giorni per capire come stiamo, quante consegne effettuiamo o addirittura ci scambiamo le merci per provare a superare un momento di difficoltà. Una rete sociale che in questo momento ho instaurato con tanti ristoratori che operano in maniera lecita sul territorio”.

 Gli altri ristoratori con cui ti sei confrontato oggi come stanno?

“L’avrai capito, oggi tutta la categoria soffre. Anche chi è specializzato nell’asporto, mi racconta di trovare grandi difficoltà in questo periodo. Dopotutto non potrebbe essere diversamente: le consegne in media sono 4/5 a giornata. Magari nel fine settimana riesci a fare 25 consegne, ma poi tra lunedì e venerdì si fa poco o nulla. Se va bene ti porti a casa 200 euro, ossia i soldi per tenere aperto il forno”.

Le consegne fino alle ore 24 aiutano la tua attività e quella degli altri ristoratori?

“Anche qui diciamolo francamente, assolutamente no. Il fatto di chiudere alla presenza non vuol dire che spegniamo il forno o la cucina, ma il problema sorge con l’orario della cena italiana. Le persone cenano d’abitudine tra le ore 20 e le 22, quindi già dalle 21:45 è difficile che effettuo consegne o che miei colleghi facciano lo stesso. Il Governo questo aspetto non l’ha proprio considerato: avesse dialogato con le categorie, avrebbe compreso questo problema e programmato insieme una strada da intraprendere in questo duro periodo”.

Perché allora non è stato giusto chiudere le attività di ristorazione la sera?

Ogni 4/5 mesi noi subiamo un controllo da parte dell’Asl o di qualche altro ente nazionale. Ti controllano se hai pagato il canone della televisione, se hai Sky ti chiedono il bicchierino sulla tv, la Guardia di Finanza ti controlla tutti gli scontrini e i contratti a posto, la Siae che vuole vedere il tuo contratto con lei, così vale per l’Ufficio del Personale e la Polizia Locale. Recentemente ho pure preso 6 mila euro di multa perché non avevo esposto il menù all’esterno del locale, l’orario di apertura e di chiusura e addirittura il carte di ‘vietato fumare’. Praticamente siamo sempre controllati di fatto, quindi già questo ci rende delle attività che sono sicure in chiave di norme anti Covid-19″.

Vi sono arrivati degli aiuti dallo Stato fino a oggi?

“L’aiuto sarebbe stato non pensare strategie fatta all’una ‘tantum’, perché questa mancanza di stabilità ci porta tutti alla chiusura. Qui si è rotta per l’ennesima volta la catena dell’economia, con danni fortissimi per noi e lo stesso Stato. Qui dovrebbero subito farci riaprire, cercando il virus dove realmente sta: scuole e mezzi pubblici. Non ci sono alternative. Durante il lockdown la Regione mi ha inviato 10 mila euro: con questi soldi ci ho sistemato i fornitori; pagato la corrente; pagato l’affitto del locale; rifatto la spesa e ho migliorato le norme anti Covid del mio locale. Fatto tutto questo per poi aspettare che il mio locale tornasse a macinare al 30% dopo ben due mesi. I primi 15 giorni dopo la riapertura è stato difficilissimo: contai di aver fatto solamente 7 coperti, ossia i miei parenti che passavano a trovarmi. Io in questo momento sono destinato a chiudere l’attività“.

Avessi la possibilità di parlare con il premier Conte, cosa gli consiglieresti?

“Ci fosse la possibilità, gli direi di stabilire delle regole comuni per ogni tipologia d’attività. Fatte queste regole, serve poi farle rispettare con dei veri controlli. Non serve il braccio armato all’italiana, ma bensì dei controlli che ti multano solo se sei recidivo nonostante le autorità ti hanno evidenziato delle criticità da risolvere in pochi giorni. Serve una sorta di ‘avvertimento’, così da fermare anche i furbetti. Regole comuni ma che soprattutto devono essere studiate con le singole categorie professionali”.
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