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La dittatura di Facebook e le regole democratiche

30 novembre 2020 | 06:30
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La dittatura di Facebook e le regole democratiche

Censura Facebook, chiunque fosse protagonista di storie simili, può contattare l’Assotutela alla mail studio.maritato@gmail.com con oggetto #bastadittaturafb

Cosa è privato e cosa è pubblico? Chi decide cosa sia giusto scrivere e cosa no? E’ possibile decidere delle regole proprie quando si permea uno Stato con attività sociali? Sono le tre domande alla base della battaglia che Assotutela, con il suo presidente Michel Emi Maritato, ha iniziato partendo da un caso occorso proprio al sottoscritto, ma che in realtà coinvolge migliaia di utenti in Italia .

Già, perché Facebook ha bannato senza appello, senza un’accusa circostanziata e senza possibilità di replica il mio account personale, oltre a quello di due fidati collaboratori. Il caso è accaduto post lockdown e, cosa strana, alle mie rimostranze fatte attraverso canali diretti con i responsabili di Facebook, gli account furono riabilitati. Per pochi giorni, però; perché dopo una settimana, senza che gli stessi account avessero fatto alcunché (vista la situazione, non furono praticamente utilizzati), è arrivata nuovamente la censura definitiva. Senza una spiegazione specifica di ciò che avremmo violato, e – come detto – senza alcuna possibilità di replica.

Ecco. In Italia non siamo abituati così. Il nostro ordinamento prevede che l’accusa sia specifica, che sia dimostrata e che comunque ci sia possibilità di difendersi. Facebook, checché se ne dica, queste regole di buona democrazia non le utilizza. E – la stortura è qui – nessuno glielo impedisce legalmente.

Proseguendo questo ragionamento per assurdo , se Facebook iniziasse ad incitare all’odio razziale, nessuno potrebbe dire nulla, visto che la policy interna – in quel caso ipotetico – lo prevederebbe. Un esempio impossibile, perché per fortuna Fb l’odio razziale lo condanna al pari della pedofilia e di altre oscenità, ma “per assurdo” ipotizzabile, come metodo.

E qui si apre un altro capitolo, che riguarda l’onorabilità di una persona. Bannare un profilo di un direttore di giornale, significa impedirgli di parlare (sulla piattaforma Facebook, ovviamente). E per un qualsiasi utente di Facebook, ipotizzare qualunque motivazione per la decisione. E’ stato bannato perché razzista? Sessista? Pedofilo? Terrorista? Oppure è stato bannato perché segnalato: ma allora da chi? E perché? E su cosa? Chi può dirlo… Facebook non dà alcuna possibilità di rendere pubblico un contraddittorio, semplicemente perché… non lo fa. Alla faccia del principio giuridico vigente in Italia.

Si dirà: ma Facebook è un privato… Vero, ma quante sono le persone che dall’oggi al domani si sono viste cacciate da una piattaforma che, prima, gli aveva chiesto informazioni, soldi per campagne social, addirittura gli aveva proposto profili business, inglobando parte della vita, privata e pubblica, di quella persona, per poi decidere dall’oggi al domani di cancellarla?

Cancellare un profilo reale, di una persona reale, con documenti e riscontri, è una cosa gravissima, che deve avere motivazioni gravissime. E’ un po’ una condanna a morte, social, ed è devastante pensare che c’è chi può farlo senza rendere conto a nessuno.

“Privato” può essere l’asset aziendale, ma se l’incidenza del proprio operato entra nel quotidiano vissuto dei cittadini, allora siamo nella sfera “pubblica”.

Si dirà ancora: ma ci sono delle regole. Vero, ma non possono prescindere da una gradualità di pena, né tanto meno da un contraddittorio e da contestazioni specifiche. Altrimenti non siamo nella Silicon Valley della dorata California, ma nel Far West. E tanto meno siamo in Italia.

Assotutela si è fatta carico del problema, sta predisponendo una denuncia formale e preparando una class action per tutti coloro che sono stati bannati definitivamente senza spiegazione. Attenzione: qui si mette in discussione il metodo, non il merito delle cose. Puoi anche condannare a morte qualcuno (da noi no, in America ancora si fa in certi Stati) ma non puoi farlo senza avergli definito le accuse e avergli permesso di rispondere. Le dittature, ancorché digitali, non ci piacciono.

Un grazie di cuore va fatto a tutti quei colleghi che stanno prendendo a cuore la questione. A mano a mano diventeremo sempre di più, per una battaglia di principio che – si spera – coinvolga anche i parlamentari, primi difensori (o così dovrebbe essere) delle regole democratiche che incidono su chi opera nel nostro Stato.

Grazie quindi a Paese Roma (leggi qui), al Quotidiano d’Italia (leggi qui), a La Notizia.net (leggi qui), a Fiorenza Oggi (leggi qui) e a Radio Padania che per lunedì 7 dicembre 2020 alle ore 13 ha organizzato una diretta sul tema.

Ogni settimana vi aggiornerò sulle eventuali novità – qualora ce ne fossero – rispetto a questa battaglia di democrazia che, lo ribadisco, si concentra non sul merito dei singoli casi, ma sul metodo imposto da Facebook.

Non è una battaglia “contro” Facebook, che nel suo essere piattaforma condivisa è certamente un’opportunità per i cittadini del mondo, ma “per” definire regole democratiche condivise.

Chiunque fosse protagonista di storie simili, può contattare l’associazione di consumatori Assotutela alla mail studio.maritato@gmail.com e raccontare la propria vicenda (oggetto: #bastadittaturafb). Tutto andrà a far parte di un dossier che sarà la base per successive azioni.