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Editoriale
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La sconfitta di Donald Trump, il Presidente che voleva farsi Re

17 gennaio 2021 | 16:40
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La sconfitta di Donald Trump, il Presidente che voleva farsi Re

La vittoria di Joseph R. Biden, un centrista costretto a fare politiche di sinistra

Il 3 novembre 2020 gli elettori americani hanno espresso il loro voto in massa (circa 160 milioni di votanti, oltre 20 milioni in più del 2016 e pari a più del 65,5% degli aventi diritto, la più alta percentuale dal 1908) in un clima teso, consapevoli di dover fare una scelta carica di conseguenze riguardo al futuro delle proprie vite, del Paese e del mondo.
Il candidato del partito Democratico, Joseph R. Biden, è stato dichiarato presidente eletto dai media mainstream solo nella tarda mattinata di sabato 7 novembre, dopo diversi giorni di conteggio dei voti, quando i principali organi di informazione hanno assegnato la Pennsylvania e i suoi 20 voti elettorali all’ex vicepresidente.

Il rifiuto di Trump di riconoscere la vittoria di Biden: “un’elezione rubata con la frode”

Il presidente in carica si è rifiutato di ammettere ufficialmente la sconfitta, dopo aver prematuramente proclamato vittoria (alle 2 del mattino del 4 novembre) e poi avviato delle azioni legali tese a fermare il conteggio dei voti postali e per e-mail.
Trump ha sostenuto che l’elezione gli veniva “rubata” in modo fraudolento e ha cercato di ottenere riconteggi e di aprire una battaglia legale per cercare di arrivare ad un giudizio della Corte Suprema.
Ancora il 2 gennaio Trump, con bugie, minacce e calunnie, ha cercato di convincere il segretario di Stato della Georgia a “trovare” gli 11.780 voti che gli avrebbero permesso di ribaltare l’esito delle presidenziali.
Nonostante le elezioni presidenziali siano state, secondo funzionari federali e statali, le “più sicure nella storia americana”, senza alcuna prova che i voti siano stati compromessi o alterati, il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell e altri politici repubblicani hanno dato il loro sostegno a questi tentativi di Trump di contestare l’esito delle elezioni, rifiutandosi di riconoscere Biden come presidente eletto per alcune settimane in modo da ostacolare anche il processo di transizione.

L’assalto al Campidoglio del 6 gennaio

Alla fine della sua rocambolesca corsa, Trump ha tentato di portare avanti in modo caotico (senza il sostegno dei militari che hanno raccolto l’appello a non intervenire firmato da 10 ex segretari alla Difesa pubblicato dal Washington Post a metà dicembre) un colpo di Stato.
Ha cercato di fomentare dei disordini in modo da poter arrivare a dichiarare lo stato di emergenza nazionale e rovesciare il risultato elettorale. Il 6 gennaio 2021 Trump ha convocato il “suo popolo” a Washington DC e lo ha arringato, esortandolo a marciare sul Campidoglio (il “tempio della democrazia” americana) – dove il Congresso era in seduta comune per ratificare i risultati delle votazioni per la presidenza del Collegio Elettorale Nazionale – per “salvare la nostra democrazia” e annullare la sua sconfitta elettorale.
Così, per diverse ore, l’America (e il mondo) è stata scossa e ha seguito in diretta Tv un’insurrezione nel corso della quale alcune migliaia di persone hanno preso d’assalto un Campidoglio maldestramente e tiepidamente difeso dalle forze di sicurezza, vandalizzandolo e scontrandosi con una parte della polizia armata.

Una donna (una veterana dell’US Air Force in Iraq e una seguace delle teorie complottiste di QAnon) è stata uccisa dalla polizia del Campidoglio mentre la folla cercava di sfondare una porta barricata. Altre cinque persone, tra cui due poliziotti rimasto ferito negli scontri, sono morte in “emergenze mediche”, decine sono stati i feriti, mentre oltre 50 persone sono state arrestate (ma oltre 200 sono state arrestate successivamente utilizzando foto e fimati).
Un assedio durato 4 ore che è stato tra le peggiori violazioni della sicurezza pubblica nella storia americana e che ha fermato temporaneamente la procedura costituzionale della certificazione dei voti del Collegio Elettorale da parte del Congresso.

La proclamazione e la reazione di Biden all’insurrezione del “popolo trumpiano”

Biden ha sostenuto che “la nostra democrazia è sotto un attacco senza precedenti” ed ha aggiunto “Chiedo al presidente Trump di andare ora in televisione nazionale per adempiere al suo giuramento di difendere la costituzione e chiedere la fine di questo assedio. Non è una protesta. È un’insurrezione.
La calma è stata ristabilita solo dopo che Trump ha fatto mandare in onda un suo ambiguo appello nel corso del quale ha ripetuto la bugia che le elezioni erano state truccate. “Conosco il tuo dolore, conosco il tuo dolore”, ha detto. “Abbiamo avuto un’elezione che ci è stata rubata. Ma ora dovete tornare a casa. Dobbiamo avere pace. Dobbiamo avere la legge e l’ordine, dobbiamo rispettare i nostri grandi tutori della legge e dell’ordine. Non vogliamo che qualcuno si faccia male. Vi vogliamo bene.”

Alle 3 del mattino del 7 gennaio il Congresso ha certificato Joe Biden come prossimo presidente degli Stati Uniti. In una successiva dichiarazione, Trump ha affermato che ci sarebbe stata una “transizione ordinata” a un’amministrazione Biden. Allo stesso tempo, diversi ministri e alti funzionari dell’amministrazione Trump hanno dato le loro dimissioni.

L’impeachment di Trump

I Democratici hanno chiesto le dimissioni o la destituzione di Trump attraverso l’applicazione del 25° emendamento della costituzione che consente alla maggioranza del gabinetto di rimuovere un presidente dal potere se non è in grado di svolgere i doveri dell’ufficio, ma il Vicepresidente Pence e i Repubblicani si sono rifiutati di attivare la procedura.

Alla Camera, i Democratici hanno fatto approvare (232 a 197, con 10 voti repubblicani) l’avvio della procedura per un secondo impeachment di Trump in base all’accusa di “istigazione alla violenza contro il governo degli Stati Uniti” e, quindi, per aver violato il giuramento di difendere la Costituzione.
La Camera era pronta a trasmettere immediatamente l’articolo di impeachment al Senato, ma il leader della maggioranza repubblicana del Senato, Mitch McConnell, ha affermato che “semplicemente non c’era alcuna possibilità” di concludere un processo prima che Trump lasciasse l’incarico (20 gennaio), assicurando che la procedura di messa in stato d’accusa inizierà durante i giorni inaugurali della presidenza di Biden (e quindi quando i Democratici avranno la maggioranza al Senato).
Sebbene le conseguenze per Trump non includeranno la rimozione prematura dall’incarico, il processo al Senato non sarà del tutto simbolico. In caso di condanna, sarebbe necessaria solo una maggioranza semplice per squalificare Trump dal ricoprire nuovamente cariche pubbliche.

La disastrosa eredità che Trump ha lasciato a Biden

Negli ultimi mesi e settimane della sua presidenza, Trump non ha solo provocato una “carneficina” (l’“American carnage” evocato nel suo discorso di insediamento nel gennaio del 2017) nel sistema politico ed istituzionale americano (dalla messa in discussione dei risultati elettorali alla risposta al CoVid-19, dai piani di salvataggio economico alla deregolamentazione in campo ambientale, fino all’assalto al Campidoglio), ma ha anche danneggiato in modo imbarazzante la reputazione internazionale della liberal-democrazia americana e ha cercato di applicare una sorta di “vandalismo diplomatico” teso a lasciare all’amministrazione Biden un mondo in pieno caos, con particolare riferimento alla gestione di punti internazionali caldi come Afghanistan, Cina, Iran, Yemen e Cuba.

Per questo, in un rapido e chiaro rifiuto della linea Trump di ritiro dalla cooperazione sulla scena mondiale, con il suo approccio nazionalista “America first”, Biden ha affermato che con lui gli Stati Uniti vogliono “sedersi a capotavola” negli affari internazionali e “affronteranno gli avversari” e “non rifiuteranno i nostri alleati”.
Biden ha vinto perché ha definito sé stesso come l’antitesi del trumpismo.
Il Faro online