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Shoah, quei 2800 ebrei aiutati direttamente dal Papa

27 gennaio 2021 | 15:40
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Shoah, quei 2800 ebrei aiutati direttamente dal Papa

Dalle polveri del tempo emergono le prove: Papa Pacelli aiutò gli ebrei a fuggire dalla follia nazista. Ne parliamo con Johan Ickx, storico e archivista, direttore dell’Archivio Storico della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato della Santa Sede

Città del Vaticano – A poco meno di un anno dall’apertura degli archivi vaticani su Pio XII (leggi qui), iniziano a dipanarsi le tenebre e i misteri che aleggiano su uno dei pontificati più discussi della storia. Grazie allo studio dei documenti custoditi Oltretevere si può dire con certezza che Papa Pacelli aiutò gli ebrei (di tutta Europa) a salvarsi dalla follia nazista e denunciò in maniera inequivocabile e decisa i crimini voluti dal Terzo Reich.

“In questi mesi di studio sono emerse diversi aspetti del pontificato di Pio XII”, racconta a ilfaroonline.itJohan Ickx, storico e archivista, direttore dell’Archivio Storico della Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato della Santa Sede, autore del libro “Pio XII e gli ebrei”. Dalle polveri del tempo è riemersa “una lista che per l’archivio vaticano è quasi anomala, che contiene le richieste d’aiuto di circa 2800 persone che negli anni della guerra rivolsero direttamente al Santo Padre. Venne subito attivato un ufficio permanente che si occupò esclusivamente di queste persone”.

Le richieste d’aiuto, “provenienti da tutta Europa – spiega Ickx -, ne abbiamo ritrovate alcune provenienti dalla Polonia, dalla Francia, dall’Ungheria e da altri paesi europei”, venivano smistate dalla Santa Sede e “attraverso le diocesi, i vescovi o le nunziature apostoliche sparse nei vari Paesi, grazie a diverse persone designate sul campo. L’obiettivo fu quello di creare dei corridoi di salvataggio che conducevano fuori dalle zone di pericolo, spesso oltre frontiera. Ma sono documentati anche viaggi molto più lunghi, fino alla Palestina passando per la Turchia, o l’America e il Sudamerica”. “Ad eccezione di singole lettere di qualche cattolico non ebreo e di un ortodosso – spiega l’archivista – sono tutti ebrei. Ma gli ebrei furono quelli che vennero maggiormente aiutati, soprattutto dopo la promulgazione delle leggi razziali in tutte le zone occupate dai nazisti”.

“Il bene non fa rumore”

Ci si è interrogati a lungo anche sui presunti “silenzi” di Pio XII. “Una menzogna, o meglio una farsa mediatica ben orchestrata dopo la guerra”, afferma l’archivista vaticano, che continua a citare i documenti storici: “Dovremmo distinguere bene il tipo di silenzio. Papa Pacelli non parlò di certe cose con i propri collaboratori per salvare le loro vite, per non mettere in pericolo chi faceva parte di quei corridoi perché potevano essere scoperti e ostacolati. Su questo dovremmo fermarci un attimo e riflettere su come si poteva vivere in quegli anni, con il male che dava la caccia ai collaboratori del bene. Per questo il Papa dell’epoca si chiuse in un prudente silenzio attivo. Credo che ciò si possa riassumere nella frase di Francesco da Sales ritrovata su un diario di Mons. Cassulo, Nunzio a Bucarest: ‘Il bene non fa rumore e il rumore non fa bene‘. Questo era il paradigma di tutti i collaboratori del Papa”.

Diverso fu invece l’atteggiamento del Pontefice sul piano pubblico: “Non è vero che il Papa è stato silenzioso, ha parlato e condannato apertamente quanto stava accadendo in Germania – sottolinea Ickx -. Nel mio libro racconto l’episodio in cui Pio XII, invece di dedicare tempo ai tradizionali saluti di Natale con i cardinali, preferisce spendere le parole che contano per il nel radiomessaggio che il 24 agosto del 1942 riecheggiò in tutto il mondo“.

“E non c’è bisogno di analizzare i documenti aperti agli studiosi da poco per capirlo – racconta l’archivista -: leggendo gli interventi di Pacelli (un esempio è l’enciclica Mit brennender Sorge, a firma di Pio XI ma con molti contributi di Pacelli, stampata e pubblicata nel 1937 direttamente in Germania e in lingua tedesca, invece che in latino, con la quale si condannavano la prassi e la filosofia del nazismo, ndr.) anche durante la guerra, sono tante le condanne del nazismo”. E ciò si evince anche “nell’azione diplomatica: da tutte le volte che nei dispacci e nelle note verbali inviate alle ambasciate la Santa Sede ha voluto denunciare le brutalità del Terzo Reich. Questo non si può definire silenzio, sono parole chiare, senza mezzi termini. Molti hanno detto e scritto che Pio XII ha taciuto perché non voleva salvare gli ebrei. Ma questo è un falso creato per fini propagandistici, in realtà è successo l’esatto contrario“.

“La salvezza di Roma”

Per il dottor Ickx, se c’è un momento davvero drammatico lungo tutto il pontificato di Pacelli è il marzo del 43′, quando Berlino rifiuta categoricamente di accettare una Nota Verbale diplomatica in cui la Santa Sede aveva elencato i soprusi e i crimini di guerra compiuti nella Polonia occupata: “Credo che quello sia stato il momento più difficile. Il Papa e i suoi collaboratori più stretti si resero conto di essere ‘circondati’ e che nei confronti della Chiesa cattolica ci fu da parte dei nazisti una vera e propria dichiarazione di guerra; non solo contro gli ebrei ma anche contro i cattolici. Questo però non è mai stato detto o comunicato esternamente o agli ambasciatori, è rimasto dentro le mura della Santa Sede”.

Pochi mesi più tardi da quella presa di coscienza le bombe caddero “come neve” su Roma e Pio XII “uscì tutto da solo” dal Vaticano per abbracciare il suo popolo “spalancando le ali”, come canta De Gregori. Anche su questo momento drammatico per la Capitale d’Italia emergono elementi curiosi dagli archivi vaticani: “Fin dall’inizio della guerra il Papa era continuamente informato e consapevole del pericolo di un bombardamento sull’Urbe. Nell’archivio – spiega Ickx – sono conservati otto volumi intitolati ‘La salvezza di Roma’: è una serie in cui vengono descritte tutte le operazioni che raccontano il tanto lavoro dell’ufficio di mons. Tardini (all’epoca Segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, una specie di Ministero degli affari esteri, ndr.) per evitare un bombardamento non solo su Roma ma anche su altre città come Costantinopoli o Atene. Su un alto piano diplomatico si lavorò per evitare che città come queste venissero distrutte. Nel libro racconto una delle azioni che in effetti riuscì, grazie ad un abile atto di diplomazia attraverso gli americani, e della quale si stupì lo stesso prelato”.

La trattativa coi soviet e il “gelo” con la Germania

Dal punto di vista diplomatico, “da sempre i rapporti furono tesi con la Germania nazista – fa notare l’archivista -. Si sapeva che la Nunziatura apostolica a Berlino non era più un posto sicuro, in quanto era sotto la lente d’ingrandimento dell’ntelligence dei nazisti. Rapporti che si incrinarono ancora di più con l’inasprimento delle persecuzioni nei confronti del clero tedesco e austriaco. Il campo di concentramento di Dachau nacque proprio per internare, accanto ai comunisti e ai sindacalisti, quello che i nazisti consideravano ‘clero sovversivo’, cioè gli oppositori del nazismo. I gesuiti erano convinti, e credo che non fossero lontano dalla verità, che dopo gli ebrei sarebbe toccato a loro perché considerati i militari del Papa”.

Ma proprio i gesuiti vennero poi impiegati da Pio XII per delle missioni segrete con i Soviet: “Insieme a dei colleghi ungheresi ho trovato fuori dagli archivi vaticani delle lettere datate 46′-47′, delle quali sono stati ora trovati anche riscontri negli archivi della Santa Sede, che testimoniano i viaggi segreti da parte di alcuni gesuiti tra Roma e Budapest, e all’epoca viaggiare non era certo facile – spiega Ickx -. L’obiettivo del Papa era aprire un dialogo con i soviet per trovare un eventuale modus vivendi, perché per il Pontefice la sorte dei singoli popoli era primaria rispetto a qualsiasi ideologia. Un dialogo non facile che spinse la stampa sovietica ad alimentare la menzogna dei suoi silenzi e della sua indifferenza sulla Shoah“.

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