La dichiarazione

Precariato, il Comitato europeo per i diritti sociali: “Dopo 36 mesi i docenti vanno immessi in ruolo”

29 gennaio 2021 | 09:00
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Precariato, il Comitato europeo per i diritti sociali: “Dopo 36 mesi i docenti vanno immessi in ruolo”

Marcello Pacifico: “La posizione dei giudici transnazionali, giunge nell’anno dei record di posti vacanti e disponibili”

Scuola – Esprimendosi sul ricorso n. 146/2017, presentato nel 2017 dal giovane sindacato della Scuola, il Comitato europeo per i diritti sociali di Strasburgo ha espresso il suo parere condannando senza attenuanti la politica perpetrata dai governi italiani sulla reiterazione dei contratti a termine sottoscritti nei confronti degli insegnanti precari, che non ha tenuto minimamente conto dei tre anni di supplenze massimi consentiti in tutti i Paesi membri. I giudici hanno accertato, infatti, la violazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della Carta sociale europea.

“La posizione dei giudici transnazionali, – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – che definiscono il comportamento dei governanti italiani ‘un’ingerenza sproporzionata nei loro diritti di guadagnarsi da vivere in un’occupazione liberamente intrapresa’, giunge nell’anno dei record di posti vacanti e disponibili, con 210 contratti di supplenza annuali sottoscritti e non pochi ancora da assegnare. Un numero impressionante, pari agli abitanti di una città come Venezia.

Abbiamo sempre creduto che di fronte alle nostre istanze in difesa dei diritti dei precari il Comitato europeo avrebbe esaminato la situazione nel contesto corretto. Adesso che è giunta questa importante interpretazione, siamo ancora più convinti di continuare a lottare perché il concetto dell’illegittimità dell’abuso di precariato trovi finalmente spazio anche nei tribunali italiani: riteniamo, infatti, che finché il legislatore non avrà messo mano alla riforma del sistema, adeguandola alle chiarissime indicazioni dei giudici di Strasburgo, toccherà alle aule di giustizia di tutto il Paese produrre sentenze che prevedano risarcimenti adeguati e assunzioni automatiche dopo i 36 mesi di servizio indicati da tempo ma mai considerati”.

Mentre la scuola italiana deve fare i conti con una supplentite crescente, con sempre più precari da nominare su cattedre vacanti e l’incapacità anche nell’attuare il semplice turn over, il Comitato europeo dei diritti sociali evidenzia come in Italia i docenti precari continuino ad essere vessati: nei nostri confini nazionali, il loro destino professionale viene infatti pregiudicato illegittimamente dalla mancata adozione della direttiva 1999/70/CE, introdotta dal Consiglio europeo proprio per evitare l’abuso sistematico di precariato. Una inosservanza che brucia ancora di più perché adottata pure nell’anno dell’emergenza epidemiologica,

La sentenza di Strasburgo non lascia adito a dubbi: vista la situazione del personale dell’istruzione pubblica, con insegnanti precari assunti con contratti successivi ed interruzioni per una durata complessiva superiore a 36 mesi, nonché i contenuti sulla stessa materia presenti nell’articolo D (paragrafo 2) della Carta sociale europea (« le Comité ») il Comitato europeo dei diritti sociali ritiene che “vi sia stata un’ingerenza sproporzionata nei loro diritti di guadagnarsi da vivere in un’occupazione liberamente intrapresa”.

Pertanto, secondo il Comitato europeo dei diritti sociali, il reclutamento italiano si caratterizza negativamente, sia per “l’assenza di efficaci tutele preventive e riparatrici contro gli abusi derivanti dall’indebito ricorso a contratti a tempo determinato”, sia per “l’incertezza giuridica, derivante dalle ripetute modifiche alla legislazione e alla giurisprudenza e alle limitate possibilità di ottenere contratti a tempo indeterminato indipendentemente dalle effettive competenze e dall’esperienza lavorativa”.

“Alla luce di questa pronuncia, – conclude Pacifico – diventa ancora più evidente come l’attuale legislazione italiana (legge 107/2015, legge 159/2019) non sia più in grado di proteggere il diritto dei lavoratori precari di guadagnarsi da vivere attraverso un’occupazione intrapresa liberamente: una circostanza sulla quale nemmeno la giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione e della Corte costituzionale italiana è riuscita a trovare un rimedio valido”.
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