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Covid-19, non gira più il mondo della giostra: la disperazione dei costruttori

Tommaso Zaghini: "E' un mondo che si è bloccato e, del resto, quello dello spettacolo è un settore che subisce danni enormi"

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Lavoro – “I giostrai che lavorano a Bergantino (Rovigo) e nei paesi limitrofi sono nella più completa disperazione. La loro abilità che nel costruire le giostre è conosciuta in tutto il mondo, ma ora non essendoci più prospettive al momento la crisi la fa da padrone“. Lo dice, all’Adnkronos/Labitalia, Tommaso Zaghini, direttore del ‘Museo documentario della giostra e dello spettacolo popolare’.

“Tutti i luna park e le fiere – spiega – sono chiusi e alcuni imprenditori-costruttori stanno ultimando le giostre sulla base di commesse fatte alcuni anni fa. Attualmente non c’è nessuno che fa nuovi ordini“.

“E’ un mondo – ammette – che si è bloccato e del resto quello dello spettacolo è un settore che subisce danni enormi. In quest’angolo del Polesine ci sono 70 imprese che producono giostre, per un fatturato che supera i 50 milioni di euro all’anno, dando occupazione, con tutto l’indotto, a oltre un migliaio di unità lavorative, per la maggior parte specializzate nei settori della carpenteria, dell’elettromeccanica e dell’elettronica”.

“Dieci di queste aziende – ricorda – fanno assemblaggio, cioè uniscono tutti i pezzi che producono le altre e ogni azienda di queste dieci produceva 2 giostre al mese, con una media di circa 20 giostre all’anno. Pensando che ogni giostra può arrivare a costare 3 milioni di euro, possiamo vedere la gravità delle perdite economiche del comparto”.

“Le prospettive – continua il direttore Zaghini – non sono certo meglio, considerando l’andamento della pandemia in Italia, e questo ci rende impossibile guardare con ottimismo al futuro. Un vero peccato per le maestranze interessate”.

“Queste competenze – fa notare Zaghini – specialistiche e tecnologicamente avanzate attraggono, infatti, la clientela da tutta Europa, da vari Stati dell’Asia, dall’America del Nord e del Sud e dai paesi arabi che prima del Covid organizzavano visite per vedere i capannoni dove si realizzano le giostre. Le produzioni venivano scelte da acquirenti provenienti da paesi non toccati dalla congiuntura economica negativa degli ultimi anni pre-Covid. Spesso, infatti, gli affari non venivano conclusi in euro ma con altri tipi di moneta”.

“Le cose – precisa – non vanno certo meglio per il ‘Museo documentario della giostra e dello spettacolo popolare’: durante l’estate avevamo circa 2mila visitatori, una grande affluenza per un museo che sta in una cittadina di 2.600 abitanti. Poi abbiamo dovuto chiudere con il lockdown e ora che abbiamo riaperto possiamo accogliere solo gruppi di 5 persone alla volta per una visita che dura circa un’ora e mezza con una perdita incalcolabile“.
(Fonte: Adnkronos – Foto: Adnkronos)
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