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Fisso davanti agli occhi o di schiena: il traguardo sfida i campioni dello sport

23 giugno 2021 | 12:00
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Fisso davanti agli occhi o di schiena: il traguardo sfida i campioni dello sport

Sono differenti le modalità con cui raggiungere il traguardo nello sport. Nell’atletica, nei tuffi e nel canottaggio

C’è chi fissa il traguardo con i propri occhi. Chi appoggia la sua attenzione in un attrezzo della ginnastica, con posa verso il tetto di un palazzetto illuminato. Chi guarda gli occhi del proprio avversario e chi invece da le spalle all’arrivo.

Lo sport dona diverse prospettive. La partenza può essere diversa per le molteplici discipline differenti. Nell’atletica, nel nuoto, nella formula uno, nelle gare motoristiche gli atleti guardano davanti a sé. C’è quell’arrivo da cogliere, prima degli altri, nel modo più veloce possibile. Una pista piana, una corsia d’acqua, una pista con rettilinei e con curve impervie. Sembra la metafora della vita. E il coraggio prende strada, come lo fanno i corpi in movimento verso il traguardo. Ci vuole determinazione per fissare un traguardo che sfida se stessi? A volte sì. Dipende dal cuore dell’atleta. Ma se l’anima del campione è competitiva allora il traguardo non mette così timore. Misura, fa maturare, mette in esame il proprio carattere e mette in discussione le proprie paure. E’ il percorso che arriva fino ad esso a farlo. Fatica, sudore, determinazione, insicurezza e tenacia. L’atleta si aiuta con gli attrezzi della ginnastica, con le armi della scherma che vengono mosse e dirette con attenzione, tramite la maschera della divisa. Fa caldissimo là sotto, in tanti lo hanno detto, come fa caldo sotto il sole a picco su un campo verde di una partita di calcio o lungo la pista di atletica mentre i 400 metri dell’anello dello stadio attendono per capire se il campione e la campionessa sono pronti a vincere.

Un asticella, un’asta, un pallone tra i piedi. Sono tanti i modi per sfidare se stessi e guardare negli occhi i propri avversari. Ma spesso nello sport si guarda dritto in faccia l’altro campione, con eventualmente la stessa storia umana di chi vuole superarlo. Nella lotta olimpica, nel judo, nel karate. Guantini che vestono le mani, già sudate là sotto, per quest’ultimo nel kumite e nel kata ecco un avversario invisibile, ma presente nell’anima. Con il cronometro per entrambe le discipline che scorre fino ai tre minuti che finiscono. Quello è il traguardo per le arti marziali e gli occhi si concentrano sui movimenti e su quelli del proprio opponente. In guardia sul tatami pronti a combattere. Occhi fissi davanti a sé e sangue freddo. A volte quel sangue si mischia con l’acqua dei blocchi di partenza del nuoto. Della pallanuoto anche. Quando prima della squadra avversaria si deve prendere quel pallone al centro della piscina. Chi sarà più veloce comincerà il gioco, come chi maggiormente salterà per coglierlo, prenderla per primo al volo il pallone del basket. E’ l’arbitro ad alzare la sfera verso il cielo e ammira l’atleta che meglio sappia prenderlo, per cominciare prima il gioco e per avere chance maggiori di punteggio.

100 metri piani, 200 metri stile libero del nuoto, 1500 metri stile e 1500 metri piani per l’atletica. Le distanze non cambiano, ma sono le modalità diverse ad incuriosire e fare dello sport una molteplicità di diversi movimenti, come fosse un’orchestra sportiva che emana sentimenti ed emozioni. E voglia di vincere. Il traguardo è là. A volte invisibile, come accade per l’atletica, segnato in pista dai numeri delle corsie (negli anni moderni dello sport). Oppure riconosciuto da un nastro che riporta il nome della gara dello sponsor, sospeso sopra il percorso. E accolto spesso, dai fuochi d’artificio. A volte rappresenta un altro blocco di partenza, come accade per il nuoto, con tocco obbligatorio e veloce della piastra opposta alla propria posizione. Sono gli occhi a scoprire quanto può essere importante. E lo è anche per chi invece quel traguardo non lo vede per niente. Accade nello sport. Strano? Forse. Ma è così. E  allora il discorso della metafora della vita si amplia, perché bisogna partire velocemente e  senza paura, anche se quel traguardo e quella meta  non la vedi. L’atleta del canottaggio lo sa allora. Sta di schiena, contando  i metri che lo separano dalla fine, grazie alle boe messe lungo il percorso. Può destabilizzare questa logistica sportiva dell’arrivo? Forse sì o forse no. Ma i campioni e le campionesse lo sanno. Fanno l’abitudine a  questa stranezza, che rispetto agli altri sport accade. Una stranezza che in fondo non lo è, anzi. Contribuisce a rendere lo sport maestro di vita, ancora di più.

Nella danza sportiva, nell’abbraccio del proprio partner si parte lasciandosi portare dalle note della musica. Il traguardo è la fine dell’armonia musicale. Clavette, cerchi, palle. La ritmica ci arriva così al termine della performance. Come succede per il nuoto sincronizzato. Il termine della musica rappresenta il traguardo finale e i giudici determinano il punteggio del podio. Nei tuffi il traguardo sta nell’acqua. Si guarda quel blu sotto a sé e si vede già il futuro: “Cosa  sarò una volta arrivato/a al traguardo?”. Quello lo decide il campione. Lo sa la campionessa. E’ il destino che  si delinea in volo sull’acqua. Il corpo si muove tecnicamente parlando. Mezzo carpiato, carpiato. Tanti sono i nomi dati alle specialità dei tuffi, ma lo sguardo non cambia. Neanche quando si sale la scaletta direzione trampolino. Quel blu attende, per misurare se stessi. Come le fanno le asticelle dell’alto. Sono muri invisibili, traguardi messi in questo modo per capire quanto l’atleta salterà o avrà il coraggio di rompere il muro della vita e del record, conquistando podi inarrivabili.

C’è chi lo guarda fisso quel traguardo, chi lo studia con le armi della scherma o con gli attrezzi della ginnastica. C’è chi lo aspetta arrivare di schiena e su un barca di due senza o 4 di coppia nel canottaggio. Niente cambia. Dipende dal campione o dalla campionessa capire come ci si arriva. E se lì saranno migliori. Un traguardo esiste per questo. Nello sport, come nella vita.

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