Il Fatto

La storia dietro casa: la strage di Palidoro

29 luglio 2021 | 10:03
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La storia dietro casa: la strage di Palidoro

La storia di quattro giovani innocenti, D’Acquisto, Posata, Canu e Fumaroli, barbaramente uccisi dai nazisti sotto la Torre Perla di Palidoro

Tra Storia e Memoria – Dall’estate del 1943, l’Italia si trasformò in uno dei fronti principali della guerra tra l’esercito del Reich e quello anglo-americano con le  popolazioni dei territori invasi che vennero a trovarsi tra due fuochi finendo coinvolte, quali vittime “collaterali”, in questa nuova modalità ed espressione della guerra totale. Nei  20 mesi successivi , fino alla definitiva liberazione del nostro Paese, avvenuta nel 1945 grazie al fondamentale contributo della Resistenza , gli occupanti tedeschi, spesso assistiti attivamente dai collaborazionisti fascisti , infierirono nei confronti della popolazione inerme , dei partigiani, dei soldati disarmati. Nell’arco cronologico che va dal luglio 1943 al maggio 1945 le stragi perpetrate nel nostro Paese dai nazifascisti sono state circa 5550 e le vittime furono oltre 23000: quello delle stragi naziste e fasciste è, dunque, un fenomeno diffuso e capillare sul territorio nazionale. In questi numeri vengono considerate le uccisioni dovute ai rastrellamenti, alle esecuzioni “esemplari”, alle rappresaglie sui civili e agli omicidi per motivazioni razziali avvenuti sul suolo italiano.

Più della metà delle vittime furono civili uccisi nelle rappresaglie, la parte restante fu composta soprattutto da partigiani attivi nella Resistenza, da esponenti antifascisti, religiosi e militari. Oltre 1.500 bambini e adolescenti vennero trucidati. I reparti responsabili di questi atti appartengono sia alle forze armate regolari del Reich (la Wehrmacht), sia alle SS, sia alle formazioni della RSI.

Due di queste stragi accaddero proprio nel nostro territorio, alla Torre Perla di Palidoro: la prima riguardò il giovane carabiniere, Salvo D’Acquisto, che con il suo eroico gesto salvò 22 uomini, l’altra  coinvolse tre giovani innocenti: Renato Posata, Pietro Fumaroli,Giuseppe Canu. Della prima molto si è scritto e Salvo con la sua statura morale, il suo gesto di altissimo valore etico e civile rappresenta ancora oggi un modello di eroismo, vivo nella memoria di tutto il Paese; della seconda rimane solo il nome dei tre ragazzi innocenti che pure si trovarono coinvolti nello stesso drammatico contesto di Salvo D’Acquisto e che devono essere ricordati quanto le altre vittime delle rappresaglie naziste.

Su questi tre giovani oggi accendiamo i riflettori.

La storia

Già dal maggio del 1943 , era iniziata l’operazione Achse che aveva provocato l’afflusso  nel nostro paese di numerose divisioni di truppe tedesche, inviate dapprima per organizzare e rafforzare la difesa dell’alleato in previsione di un probabile attacco anglo-americano direttamente sul suolo italiano, e che poi erano state  mantenute e rafforzate per  un possibile crollo del fascismo  che avvenne il 25 luglio, ed in vista di una probabile  defezione italiana che effettivamente si verificò con l’armistizio di Cassibile, reso noto l’8 settembre. Sull’altro fronte  lo sbarco anglo americano a luglio  in Sicilia e a settembre a Salerno aveva determinato un’ingente presenza sul suolo italiano dei nuovi alleati che aveva condotto alla liberazione del Sud della penisola.

All’indomani dell’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani, avvenuto nella più assoluta ambiguità da parte di Badoglio, mentre si verificava la fuga verso il Sud della Casa regnante e del Governo e il dissolvimento degli  Stati  Maggiori militari italiani, Hitler fece diramare a tutti i comandi subordinati la parola in codice (“Achse”) che automaticamente dava il via alle misure aggressive tedesche contro le forze armate italiane in tutti i teatri bellici del Mediterraneo. I Comandi italiani , senza ordini precisi, non sapevano  come comportarsi e le  truppe, dal momento che la guerra era finita,  si ritennero  legittimate a tornare a casa generando una reazione nazista immediata e, in molti casi, spietata. Approfittando  del disorientamento dei reparti di truppa e della disgregazione delle strutture dirigenti italiane , in pochi giorni l’esercito tedesco sopraffece gran parte delle forze armate dell’ex-alleato, catturando centinaia di migliaia di soldati che furono in gran parte internati in Germania come lavoratori coatti, e si impadronì di un cospicuo bottino di armi ed equipaggiamenti.

L’Italia si trovò così di fatto divisa in due con due eserciti che vi  si fronteggiavano e con la popolazione civile , inerme, stretta in questa morsa.

Roma e dintorni

Le preoccupazioni  tedesche si concentrarono in particolare su Roma, che rappresentava il nodo di tutte le  comunicazioni tra il Sud e il Nord, e sulla costa altolaziale dove si pensava potesse avvenire uno sbarco anglo-americano. Tutta l’area romana venne perciò  circondata dalle truppe hitleriane e in particolare, per quanto riguarda la nostra area, Ladispoli era presidiata dal comando di paracadutisti  contraddistinto dalla sigla “Dienstelle NL.52261”, posto agli  ordini del tenente Hans Feiten.

Ladispoli  era a quel tempo una frazione della città di Civitavecchia e contava circa  1500  abitanti oltre a un gran numero di sfollati provenienti da Civitavecchia. Qui , il 14 maggio del 1943, vi era stato un drammatico bombardamento angloamericano che aveva colpito duramente il porto e l’abitato e al termine del quale la città  semidistrutta venne abbandonata dagli abitanti . Molti trovarono riparo nella vicina frazione di Santa Marinella e da qui successivamente proprio a Ladispoli. Il tenente Feiten  mostrò  di nutrire molta animosità nei confronti degli  ex alleati italiani- in questo simile a molti tedeschi che consideravano l’armistizio un tradimento-  ed applicava con il massimo zelo le direttive  provenienti  dall’alto per reprimere e punire ogni dissenso , dando vita a crudeli  rappresaglie. Di queste la più nota è certamente quella eseguita il 23 settembre, con  fredda determinazione, ai piedi  della  Torre Perla, sulla strada che collega la borgata di Palidoro con la spiaggia  di Passoscuro,  dove venne fucilato l’innocente Salvo D’Acquisto, vice brigadiere dei carabinieri della stazione di Torre in Pietra, che si immolò per salvare la vita di 22 ostaggi civili, rastrellati a Palidoro e dintorni, dopo l’esplosione accidentale di un ordigno in cui erano rimasti uccisi due soldati tedeschi.

Ma l’altra strage di cui ora stiamo raccontando non è meno feroce né ingiustificata. I tedeschi, come si è scritto, erano  convinti che fosse imminente uno  sbarco  nemico nelle vicinanze di Roma, ma non sapevano  in quale punto del  litorale sarebbe avvenuto e per questa ragione si dislocarono lungo tutto il tratto  da  Maccarese  a Santa Severa,  utilizzando la popolazione locale per preparare  la difesa. Spesso procedevano a rastrellare uomini di qualsiasi età e professione per  adibirli   allo scavo di trincee e cammina­menti nella  spiaggia  e alla  costruzione di  altre  strutture (reticolati, cavalli  di  frisia, bunker).

Proprio nella mattinata del 23 settembre a Ladispoli un rastrellamento coinvolse molti uomini di tutte le età ma i tedeschi, dopo alcune ore, lasciarono liberi gli uomini  di età superiore  a 40 anni ed inferiore a 15: quelli che rimasero furono  reclutati d’autorità nelle forze germaniche. Di questo gruppo facevano parte Renato Posata, Giuseppe Canu  e Pietro Fumaroli.

Tre ragazzi come tanti e con uno stesso destino

Renato Posata aveva 17 anni ( il 20 ottobre successivo ne avrebbe compiuto 18 ) ed era uno studente del Liceo Classico Padre Alberto Guglielmotti di Civitavecchia: un ragazzo intelligente, studioso ed esuberante che non faceva fatica a conciliare le esigenze dello studio e del divertimento. Socievole e amante dello sport,  era molto affezionato alla famiglia formata oltre che da lui e dai genitori , da un fratello e due sorelle. Una famiglia semplice e unita che si sforzava nella tempesta della guerra di mantenere la serenità e che si trovò sfollata , dopo il bombardamento del ’43, prima a Santa Marinella e poi a Ladispoli. Qui di ritorno da un viaggio a Civitavecchia per cercare di recuperare generi alimentari al mercato nero, Renato venne intrappolato nel rastrellamento del 23 settembre.

Giuseppe Canu aveva 24 anni ed era nato ad Ittiri in provincia di Sassari da una famiglia di contadini, composta dai genitori e da un fratello più grande, che conduceva una vita modesta ma dignitosa. Negli anni ’30 la famiglia si era trasferita nelle campagne di Sassari dove aveva preso a coltivare terreni di diversi proprietari trovando così una maggiore agiatezza economica. Nel 193 , a 20 anni, Giuseppe ricevette la cartolina precetto e dopo circa un anno venne richiamato alle armi e assegnato come aviere prima ad Orvieto e da qui a Furbara, un aeroporto vicino Ladispoli. All’annuncio dell’armistizio , come tanti suoi commilitoni si ritrovò sbandato e , raggiunta Ladispoli, venne  coinvolto  nel rastrellamento tedesco del 23 settembre.

Pietro Fumaroli aveva 24 anni, nativo di Roma apparteneva a  una delle più antiche famiglie di Ladispoli dove era residente. Laureando  in giurisprudenza, sergente  allo  sbando, fu colto dall’armistizio mentre  era  in  procinto di essere  nominato  ufficiale. La mattina del 23 settembre  si trovò anche lui trascinato nel rastrellamento.

La strage

Il 24 settembre , gli uomini rastrellati vennero divisi in due gruppi: l’uno rimase a Ladispoli, l’altro di 36 persone invece fu condotto a piedi a Palidoro e qui , il 25 settembre , ulteriormente suddiviso in due squadre di cui una rimase  accantonata nell’abitato di Palidoro e l’altra  , formata da13 uomini, fu trasportata con un camion vicino al mare,  proprio presso  la torre  dove qualche giorno  prima era stato fucilato Salvo  D’Acquisto.  Di questo gruppo facevano parte i nostri tre ragazzi.

Alla Torre Perla i tredici uomini furono presi in consegna dal distaccamento tedesco che alloggiava nella torre alcomando di un maresciallo che i testimoni riferiscono si chiamasse Wemgamen ( o simili). Gli italiani furono sistemati alla meglio nell’attigua casa colonica, all’interno di una stanza dove disponevano soltanto di un giaciglio di paglia. Per 5 giorni la squadra fu adibita allo scavo di trincee e camminamenti e a servizi vari per i soldati ( pulizia di stalle, mattazione del bestiame razziato dai tedeschi ), con la promessa della liberazione a lavori ultimati.

Nella notte tra il 30 settembre e il 1 ottobre, però,  tre componenti della  squadra stanziata alla Torre ,mentre i compagni  erano  immersi  nel sonno, col favore delle tenebre  si dileguarono dalla casa coloni­ca. Il mattino dopo, alla scoperta della fuga dei tre , la reazione tedesca fu  spaventosa ed il macabro finale fu quello di sempre: il maresciallo fece schierare gli italiani ed ordinò a un  sergente di sorteggiarne tre col siste­ma dei fiammiferi. L’estrazione fu sfavorevole per Fumaroli, Canu e Posata che ebbero in sorte il fiammifero dal gambo più corto.

I  tre giovani destinati alla fucilazione vennero condotti sul ciglio della fossa scavata,  tra la torre e la casa colonica, una settimana prima, dagli ostaggi salvati grazie al sacrificio di D’Acquisto: una buca profonda un metro e mezzo, lunga circa 50 metri.  Il corpo  dell’eroico vice brigadiere dei carabinieri era ancora sotterrato in quella stessa terra che sarà anche la loro tomba. Uno dei componenti del plotone d’esecuzione chiese di essere esonera­to dall’incarico e fu sostituito senza difficoltà con un altro  soldato. I sette italiani  destinati  a  sopravvivere vennero fatti sdraiare dietro un rialzo del terreno per  evitare che assistessero all’eccidio.

E poi raffiche di colpi a spezzare le tre vite , senza nessuna ragione che non fosse la barbarie e la ferocia degli occupanti. I sette scampati alla rappresaglia, dopo l’eccidio, furono fatti  alzare  e condotti sul posto dello  scempio. E lì videro i corpi del sergente Pietro Fumaroli, del soldato Giuseppe Canu e dello studente Renato  Posata riversi  in un lago  di sangue. I compagni,  con  i badili, furono  costretti sotto  la minaccia delle armi a ricoprire di terra i  loro corpi che,  insieme a quello di Salvo, restarono sepolti ai piedi della torre fino al 12 ottobre 1943 quando, terminati i lavori sulla spiaggia, i tedeschi ridussero la sorveglianza e così le famiglie Posata e Fumaroli, che avevano saputo dell’assassinio dei loro figli,  con l’arciprete di Palidoro don Luigi Brancaccio, il ferroviere Domenico Castigliano, il falegname Guido Baglioni ed alcune donne impegnate nella parrocchia,  finalmente riuscirono ad esumare i quattro cadaveri, a lavarli e a riconoscerli. La direzione della bonifica di Torre in Pietra fornì le tavole per  costruire le casse, un carretto per il trasporto, alcune lenzuola, pale e badili.  Mentre il corteo lasciava la zona della torre,come ultimo sfregio,  alcuni  soldati tedeschi si divertirono a sparare con  il  mitra mirando al carretto e bucando alcune bare. Le quattro salme furono sepolte in terra consacrata, una accanto all’altra,  nel piccolo cimitero di Palidoro (Fosso Statua),  dove rimasero per tutta la durata della guerra.

La giustizia

Il nome degli assassini delle stragi di Palidoro, quella di Salvo D’Acquisto e quella di Posata, Canu e Fumaroli, non è sui libri di storia perché sui due eccidi furono svolte solo sommarie indagini.

Leggendo il fascicolo di Salvo D’Acquisto non risulta che sia stata fatta nemmeno una breve  indagine per far luce sull’identità del suo carnefice. È un fascicolo di appena 14 pagine, nove delle quali sono testimonianze raccolte nel lontano 1945. Il resto è la richiesta di archiviazione di indagini che il 17 ottobre 1996 il Procuratore militare avanza al gip e il conseguente decreto di archiviazione del gip.

È, invece, proprio l’altra esecuzione alla Torre di Palidoro, quella di Posata, Fumaroli e Canu, che avrebbe potuto portare dritto anche al carnefice di Salvo D’Acquisto. Perché questa volta sul loro fascicolo giudiziario c’è il nome dell’ufficiale che li ha fatti fucilare: Hansel Feiten, tenente dei paracadutisti.

Si può, perciò, pensare in modo plausibile che Feiten fosse il responsabile anche della fucilazione di Salvo, avvenuta appena una settimana prima e nello stesso luogo di quella dei tre giovani.  Si può pensare, dedurre, supporre tutto ma purtroppo non possiamo avere la verità giudiziaria. Infatti, la denuncia presentata dalle famiglie Posata, Fumaroli e Canu alla Commissione alleata per la punizione dei crimini di guerra, non ebbe seguito perché non fu mai individuato il responsabile della rappresaglia, Hansel Feiten. Addirittura il cognome Wemgamen, o simili,  maresciallo che comandava le forze di stanza a Palidoro, neppure  figurava negli elenchi delle forze germaniche presenti in Italia.

Questi eventi condividono con molti altri del periodo ’43-’45 un terribile e lunghissimo silenzio che li ha avvolti per oltre 50 anni. Le carte giudiziarie della Seconda guerra mondiale, infatti,  hanno un passato oscuro: al termine della guerra su moltissime delle stragi compiute dai nazifascisti piomba una nube silenziosa che è una ferita non sanata, un’offesa alle tante vittime barbaramente uccise e alle loro famiglie rimaste senza risposte e giustizia.  Tutti gli episodi di violenza, che avrebbero dovuto, nell’immediato dopoguerra, essere indagati dall’autorità giudiziaria per giungere all’individuazione di presunti responsabili da sottoporre a processo, sono stati illecitamente tenuti nascosti, con i fascicoli d’indagine occultati nei locali della procura generale militare, a Roma. Questi fascicoli vennero archiviati “provvisoriamente” subito dopo la seconda guerra mondiale e lì rimasero sommersi dalla polvere fino a quando, nel 1994, vennero rinvenuti casualmente in un armadio  con le  ante rivolte verso il muro, seminascosto in uno sgabuzzino della cancelleria della procura militare nel Palazzo Cesi-Gaddi di Roma.

C’erano fascicoli e fascicoli dentro quell’armadio, che fu chiamato “l’armadio della vergogna”, e contenevano i crimini più nefasti perpetuati dai nazifascisti contro gli italiani. Crimini che allora erano rimasti impuniti. Solo allora, dopo oltre 50 anni,  finirono sui tavoli dei procuratori militari competenti di quelle stragi, di quei delitti, di quegli orrori. Quei fascicoli , quell’armadio rappresentano  uno dei più imponenti e gravi occultamenti avvenuti nella storia dell’Italia repubblicana. Le cause del loro nascondimento sono state oggetto di indagini da parte di una commissione interna alla magistratura militare e di una commissione parlamentare d’inchiesta, nonché di approfondite analisi da parte della storiografia.

Secondo le teorie più accreditate, le cause sarebbero da ricondurre sostanzialmente a ragioni politiche. Nel mondo diviso della guerra fredda, inchieste e processi a criminali nazisti avrebbero “disturbato” una Repubblica Federale Tedesca in fase di ricostruzione materiale e politica, nonché baluardo del mondo occidentale. Inoltre, richieste italiane relative a criminali tedeschi avrebbero rinnovato le istanze di altri  paesi  – Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia, Urss, Etiopia, Libia – relative a criminali italiani, mai sottoposti a giudizio, né all’estero né in Italia, per gli eccidi e le violenze commessi nei territori d’occupazione dal 1935-36 al 1943 (e oltre, per ciò che riguarda i militi della RSI).

Dopo il 1994, e soprattutto dall’inizio degli anni 2000, sono state finalmente portate avanti le indagini e celebrati i  processi – con gli imputati regolarmente contumaci – relativi ad alcuni degli eccidi più gravi avvenuti nell’Italia centro-settentrionale grazie all’opera di alcuni tenaci magistrati che nonostante il lungo tempo intercorso hanno istruito i  processi .

Molti altri casi, però, non sono mai stati indagati, finendo frettolosamente archiviati, di nuovo, tra la metà e la fine degli anni Novanta del secolo scorso. Si trovano lì  i fascicoli di Salvo D’Acquisto,di Renato Posata, Carlo Fumaroli, Giuseppe Canu, in mezzo a quel mare di carte  dove si raccontano gli orrori della seconda guerra mondiale , pagine drammatiche della nostra storia che ricordano il  sacrificio di tanti uomini e donne che hanno contribuito alla nascita della nostra democrazia.

La memoria ritrovata

Da molti anni a ricordare la strage dei tre giovani  vi è solo una lapide nel borgo di Palidoro, posta dal Comune di Roma, a cui il borgo apparteneva prima dell’autonomia di Fiumicino, e che versa  in pessime  condizioni. Il Sindaco di Fiumicino, Esterino Montino,  accogliendo la mia segnalazione e facendola sua, ne ha disposto la pulizia e il restauro che avverrà a breve, operando così un significativo gesto di recupero della Memoria, assolutamente coerente con l’ attenzione che da anni l’amministrazione di Fiumicino, in particolare attraverso l’Assessore alla scuola, Calicchio,  dedica a questo tema .

Si dice che contano i gesti più delle parole e questo , che rende onore a tre giovani vittime innocenti, vale più di mille discorsi nel testimoniare attenzione, sensibilità e impegno civile.

Manca solo un ultimo tassello: ottenere che venga posta sul luogo della strage, presso la Torre di Palidoro, ora sede del Museo Salvo D’acquisto, anche un segno della morte dei tre giovani Posata, Fumaroli e Canu.

Lo chiediamo al Comando Superiore dei Carabinieri che ora gestisce l’intera area: i quattro ragazzi, Salvo, Renato, Pietro e Giuseppe , lì barbaramente uccisi, potrebbero così essere lì finalmente  ricordati, insieme.

Questo articolo è stato reso possibile dalla collaborazione di  tanti appassionati e studiosi  che vi hanno generosamente contribuito con le loro conoscenze,  i loro scritti e apporti documentali . Si ringraziano : Riccardo Agresti, Enrico Ciancarini, Carlo De Paolis, Marco Di Marzio, Isabella Insolvibile, Franco Simula.

(Il Faro online)