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La storia dietro casa: la strage di Palidoro

La storia di quattro giovani innocenti, D’Acquisto, Posata, Canu e Fumaroli, barbaramente uccisi dai nazisti sotto la Torre Perla di Palidoro

La giustizia

Il nome degli assassini delle stragi di Palidoro, quella di Salvo D’Acquisto e quella di Posata, Canu e Fumaroli, non è sui libri di storia perché sui due eccidi furono svolte solo sommarie indagini.

Leggendo il fascicolo di Salvo D’Acquisto non risulta che sia stata fatta nemmeno una breve  indagine per far luce sull’identità del suo carnefice. È un fascicolo di appena 14 pagine, nove delle quali sono testimonianze raccolte nel lontano 1945. Il resto è la richiesta di archiviazione di indagini che il 17 ottobre 1996 il Procuratore militare avanza al gip e il conseguente decreto di archiviazione del gip.

È, invece, proprio l’altra esecuzione alla Torre di Palidoro, quella di Posata, Fumaroli e Canu, che avrebbe potuto portare dritto anche al carnefice di Salvo D’Acquisto. Perché questa volta sul loro fascicolo giudiziario c’è il nome dell’ufficiale che li ha fatti fucilare: Hansel Feiten, tenente dei paracadutisti.

Si può, perciò, pensare in modo plausibile che Feiten fosse il responsabile anche della fucilazione di Salvo, avvenuta appena una settimana prima e nello stesso luogo di quella dei tre giovani.  Si può pensare, dedurre, supporre tutto ma purtroppo non possiamo avere la verità giudiziaria. Infatti, la denuncia presentata dalle famiglie Posata, Fumaroli e Canu alla Commissione alleata per la punizione dei crimini di guerra, non ebbe seguito perché non fu mai individuato il responsabile della rappresaglia, Hansel Feiten. Addirittura il cognome Wemgamen, o simili,  maresciallo che comandava le forze di stanza a Palidoro, neppure  figurava negli elenchi delle forze germaniche presenti in Italia.

Questi eventi condividono con molti altri del periodo ’43-’45 un terribile e lunghissimo silenzio che li ha avvolti per oltre 50 anni. Le carte giudiziarie della Seconda guerra mondiale, infatti,  hanno un passato oscuro: al termine della guerra su moltissime delle stragi compiute dai nazifascisti piomba una nube silenziosa che è una ferita non sanata, un’offesa alle tante vittime barbaramente uccise e alle loro famiglie rimaste senza risposte e giustizia.  Tutti gli episodi di violenza, che avrebbero dovuto, nell’immediato dopoguerra, essere indagati dall’autorità giudiziaria per giungere all’individuazione di presunti responsabili da sottoporre a processo, sono stati illecitamente tenuti nascosti, con i fascicoli d’indagine occultati nei locali della procura generale militare, a Roma. Questi fascicoli vennero archiviati “provvisoriamente” subito dopo la seconda guerra mondiale e lì rimasero sommersi dalla polvere fino a quando, nel 1994, vennero rinvenuti casualmente in un armadio  con le  ante rivolte verso il muro, seminascosto in uno sgabuzzino della cancelleria della procura militare nel Palazzo Cesi-Gaddi di Roma.

C’erano fascicoli e fascicoli dentro quell’armadio, che fu chiamato “l’armadio della vergogna”, e contenevano i crimini più nefasti perpetuati dai nazifascisti contro gli italiani. Crimini che allora erano rimasti impuniti. Solo allora, dopo oltre 50 anni,  finirono sui tavoli dei procuratori militari competenti di quelle stragi, di quei delitti, di quegli orrori. Quei fascicoli , quell’armadio rappresentano  uno dei più imponenti e gravi occultamenti avvenuti nella storia dell’Italia repubblicana. Le cause del loro nascondimento sono state oggetto di indagini da parte di una commissione interna alla magistratura militare e di una commissione parlamentare d’inchiesta, nonché di approfondite analisi da parte della storiografia.

Secondo le teorie più accreditate, le cause sarebbero da ricondurre sostanzialmente a ragioni politiche. Nel mondo diviso della guerra fredda, inchieste e processi a criminali nazisti avrebbero “disturbato” una Repubblica Federale Tedesca in fase di ricostruzione materiale e politica, nonché baluardo del mondo occidentale. Inoltre, richieste italiane relative a criminali tedeschi avrebbero rinnovato le istanze di altri  paesi  – Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia, Urss, Etiopia, Libia – relative a criminali italiani, mai sottoposti a giudizio, né all’estero né in Italia, per gli eccidi e le violenze commessi nei territori d’occupazione dal 1935-36 al 1943 (e oltre, per ciò che riguarda i militi della RSI).

Dopo il 1994, e soprattutto dall’inizio degli anni 2000, sono state finalmente portate avanti le indagini e celebrati i  processi – con gli imputati regolarmente contumaci – relativi ad alcuni degli eccidi più gravi avvenuti nell’Italia centro-settentrionale grazie all’opera di alcuni tenaci magistrati che nonostante il lungo tempo intercorso hanno istruito i  processi .

Molti altri casi, però, non sono mai stati indagati, finendo frettolosamente archiviati, di nuovo, tra la metà e la fine degli anni Novanta del secolo scorso. Si trovano lì  i fascicoli di Salvo D’Acquisto,di Renato Posata, Carlo Fumaroli, Giuseppe Canu, in mezzo a quel mare di carte  dove si raccontano gli orrori della seconda guerra mondiale , pagine drammatiche della nostra storia che ricordano il  sacrificio di tanti uomini e donne che hanno contribuito alla nascita della nostra democrazia.

La memoria ritrovata

Da molti anni a ricordare la strage dei tre giovani  vi è solo una lapide nel borgo di Palidoro, posta dal Comune di Roma, a cui il borgo apparteneva prima dell’autonomia di Fiumicino, e che versa  in pessime  condizioni. Il Sindaco di Fiumicino, Esterino Montino,  accogliendo la mia segnalazione e facendola sua, ne ha disposto la pulizia e il restauro che avverrà a breve, operando così un significativo gesto di recupero della Memoria, assolutamente coerente con l’ attenzione che da anni l’amministrazione di Fiumicino, in particolare attraverso l’Assessore alla scuola, Calicchio,  dedica a questo tema .

Si dice che contano i gesti più delle parole e questo , che rende onore a tre giovani vittime innocenti, vale più di mille discorsi nel testimoniare attenzione, sensibilità e impegno civile.

Manca solo un ultimo tassello: ottenere che venga posta sul luogo della strage, presso la Torre di Palidoro, ora sede del Museo Salvo D’acquisto, anche un segno della morte dei tre giovani Posata, Fumaroli e Canu.

Lo chiediamo al Comando Superiore dei Carabinieri che ora gestisce l’intera area: i quattro ragazzi, Salvo, Renato, Pietro e Giuseppe , lì barbaramente uccisi, potrebbero così essere lì finalmente  ricordati, insieme.

Questo articolo è stato reso possibile dalla collaborazione di  tanti appassionati e studiosi  che vi hanno generosamente contribuito con le loro conoscenze,  i loro scritti e apporti documentali . Si ringraziano : Riccardo Agresti, Enrico Ciancarini, Carlo De Paolis, Marco Di Marzio, Isabella Insolvibile, Franco Simula.

(Il Faro online)