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Tokyo 2020, Tamberi e l’oro olimpico dell’estasi pura: “Un’esplosione al cuore”

Un’emozione indimenticabile la vittoria alle Olimpiadi. La telefonata di Draghi: “Ti aspetto a Roma”

Tokyo – Esistono notti che non potrai mai dimenticare. Notti da favola. Attimi che danno un senso a una carriera. Che asciugano le lacrime. Che ti spediscono nella leggenda. Oro, oro, oro, Gianmarco Tamberi è campione olimpico nella serata più entusiasmante dell’atletica azzurra. “È pazzesco, ho sentito il cuore che mi esplodeva, un’emozione così forte non l’avevo mai provata – urla, grida, abbraccia chiunque gli capiti vicino – fino all’altro ieri non sapevo nemmeno se ne fosse valsa la pena. Se fosse stato giusto tutto quello che ho fatto, tutte le lacrime versate. Vincere un oro olimpico, dopo quell’infortunio tremendo a pochi giorni dalle Olimpiadi di Rio, vale più di qualsiasi altra cosa”.

Se lo sentiva. Lo voleva. Lo aspettava come si attende qualcosa di prezioso, di raro. “Non vedevo l’ora di fare questa finale, sapevo che qualcosa di magico sarebbe successo. È stato il punto fisso il giorno stesso che ho iniziato la riabilitazione. È stato il mio mantra. Ogni difficoltà, ogni momento in cui le cose non funzionavano mi dicevo… ‘Gimbo, dovrà funzionare quel giorno, solo quel giorno, il resto non importa’. Sapevo che c’era la possibilità di riuscirci. Così è stato”.

Un oro condiviso con un altro fenomeno. Un campione vero, come Gimbo. Un amico leale e presente, che non è mai mancato nei momenti di sconforto. Anche per Barshim un percorso senza errori a 2,37, poi tre tentativi senza successo a 2,39. A quel punto, in un altro mondo sarebbe stato spareggio. Non nel mondo di Gimbo e Mutaz: “Per me è un grande amico, non ho mai nascosto che sia il più forte saltatore di tutti i tempi, ed è l’unico che insieme a me è passato attraverso un infortunio tremendo. Vederlo saltare e vincere l’oro olimpico insieme a me è la cosa più bella che potesse capitare. Chissà quante volte ci siamo detti… ‘t’immagini cosa sarebbe salire sul podio olimpico insieme?’. È successo. Non c’è stato bisogno di parlarci, c’è bastato guardarci e darci un abbraccio. Nessuno dei due voleva togliere all’altro la gioia più immensa della propria vita. Perché entrambi siamo passati in un vortice che ti risucchia, infortuni tremendi. Ho passato anni terribili e non ho mai voluto accontentarmi di un piccolo traguardo. Ho sempre pensato all’oro olimpico. Mai, in questi anni, mi accontentavo di ciò che avevo raggiunto. In quello sguardo è esplosa la nostra emozione infinita”.

Gimbo, infinitamente Gimbo, nell’Olimpo a 29 anni. “Non vedevo l’ora di provarci – prosegue Tamberi, neo entrato in Fiamme Oro, un fiume in piena prima di correre ad abbracciare papà Marco, artefice, al suo pari, di questo trionfo senza precedenti – Era soltanto il momento di tirar fuori Gimbo. Non Halfshave, non mezza barba, non i capelli bianchi. Niente di tutto questo. Semplicemente Gimbo. Semplicemente me stesso. Insieme a tutte le persone che mi hanno sostenuto, la mia ragazza, i miei amici, il mio team sanitario, tutta l’Italia. Ho passato notti insonni. Oggi mi rendo conto che ne è valsa la pena, un sogno che è diventato realtà”.

Dentro questa medaglia, c’è fame di vittoria, orgoglio, riscatto. “In questi cinque anni ho deciso di mettere lo sport davanti alla mia vita. E anche Chiara, la mia ragazza, ha deciso di mettere lo sport davanti alla sua vita. Le difficoltà e le lacrime sono state veramente troppe. Prima della gara, Chiara mi ha scritto in un messaggio: era tesissima, aveva paura, sperava sarebbe andata come sognavo. Io le ho risposto ‘tu goditi la gara, al resto ci penso io’. Sapevo che c’era una fiamma, una magia che sarebbe venuta fuori. E si è vista”.

Qualcuno, tra i tanti giornalisti italiani in mixed zone per cogliere ogni istante di questa notte sensazionale, guarda già avanti: “Parigi 2024 per confermarmi? Un passo alla volta. È la prima volta, nella mia vita, che voglio godermi qualcosa. I Mondiali di Portland del 2016 erano stati un passaggio: dovevo vincere quei Mondiali per sentirmi all’altezza di conquistare l’oro alle Olimpiadi a Rio. Ma non ho mai goduto davvero di una mia vittoria. Adesso voglio viverla fino in fondo”.

Una notte così, l’atletica italiana non l’aveva mai vissuta. E probabilmente tutto lo sport azzurro, esploso di felicità in un primo-agosto-duemilaventuno immortale, davanti alla tv oppure in spiaggia. Due ori in un quarto d’ora o poco più: “Non ero nella pelle, non capivo cosa stesse succedendo, avevo vinto e stava per correre Jacobs. Piangevo, ridevo, ero in estasi pura. Quando si sono spente le luci per la presentazione dei 100 metri ho lanciato un urlo incredibile. Credo l’abbia sentito anche Marcell. È una giornata che l’Italia deve ricordare per sempre, soprattutto adesso che stiamo attraversando difficoltà enormi. Da questa serata dobbiamo trarre qualcosa di positivo: non bisogna mai demordere. Se ci credi, le cose si avverano”.

Tra i primi abbracci, quello con il presidente della Federazione Italiana Atletica Leggera Stefano Mei e con il presidente del Coni Giovanni Malagò. Da Palazzo Chigi arriva la chiamata del presidente del Consiglio Mario Draghi: “Mi ha fatto i complimenti e ha detto a me e a Marcell di andarlo a trovare appena torniamo in Italia. Abbiamo fatto la storia. Due ori in pochi minuti. Pazzesco. Pazzesco. Spero – anzi sono convinto – sia di stimolo per i prossimi italiani in pedana. Saranno gasatissimi. E io farò il tifo per loro”.

Nel mare di emozioni, c’è spazio anche per qualche – pur rapida – valutazione tecnica: “Il mio salto più bello è stato il 2,35. Saltare tutto alla prima prova fino a 2,37 è qualcosa di unico. Ho dimostrato in questi anni che nelle gare importanti posso tirare fuori qualcosa di più. Ero sul pezzo. La gara era la mia. L’Olimpiade era la mia. Volevo viverla ogni secondo, dal punto di vista mentale. E poco importa se da quello tecnico c’erano comunque delle imperfezioni. C’è margine. Ma non mi interessa adesso. Sono il campione olimpico. È tutto quello che volevo”. (fidal.it)

(foto@Colombo/Fidal)

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