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Crocifisso a scuola, la Cassazione: l’affissione in aula non è un “atto discriminatorio”

9 settembre 2021 | 16:15
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Crocifisso a scuola, la Cassazione: l’affissione in aula non è un “atto discriminatorio”

Il docente contrario non ha potere di veto sulla decisione, ma sta alla scuola trovare una soluzione che tenga conto anche del suo punto di vista

Roma – L’affissione del crocifisso nell’aula scolastica non rappresenta un “atto discriminatorio”. Il docente contrario non ha potere di veto sulla decisione, ma sta alla scuola trovare una soluzione che tenga conto anche del suo punto di vista. E’ quanto deciso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con una sentenza depositata oggi sull’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Non è stata quindi accolta la richiesta di risarcimento danni formulata dal docente, in quanto non si è ritenuto che sia stata condizionata o compressa la sua libertà di espressione e di insegnamento.

“L’affissione del crocifisso, al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo, non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione“, spiega la Cassazione.

In particolare, la questione esaminata riguardava la compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso, impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti, e la libertà di coscienza in materia religiosa del docente che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete. La Corte di cassazione ha affermato che la disposizione del regolamento degli anni venti del secolo scorso, che tuttora disciplina la materia, mancando una legge del Parlamento, è suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla Costituzione.

L’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi. Il docente dissenziente non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso, ma deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua libertà negativa di religione.

Nel caso concreto le Sezioni Unite hanno rilevato che la circolare del dirigente scolastico, consistente nel puro e semplice ordine di affissione del simbolo religioso, non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità. Ciò comporta la decadenza della sanzione disciplinare inflitta al professore. (fonte Adnkronos)

Il segretario genera della Cei: “Quell’uomo sofferente sulla croce, simbolo di dialogo”

“I giudici della Suprema Corte confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni – commenta mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, pur riservandosi di leggere la sentenza nella sua integralità – ma è espressione di un sentire comune radicato nel nostro paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria”

Lo afferma mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, che commenta la sentenza con cui la Corte di Cassazione è intervenuta oggi sulla vicenda sollevata in una scuola di Terni ribadendo che “l’affissione del crocifisso – al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo – non costituisce un atto di discriminazione”.

Pur riservandosi di leggere la sentenza nella sua integralità. mons. Russo sostiene che “la decisione della Suprema Corte applica pienamente il principio di libertà religiosa sancito dalla Costituzione, rigettando una visione laicista della società che vuole sterilizzare lo spazio pubblico da ogni riferimento religioso. In questa sentenza la Corte riconosce la rilevanza della libertà religiosa, il valore dell’appartenenza, l’importanza del rispetto reciproco”.

“È innegabile che quell’uomo sofferente sulla croce non possa che essere simbolo di dialogo – conclude il segretario generale della Cei -, perché nessuna esperienza è più universale della compassione verso il prossimo e della speranza di salvezza. Il cristianesimo di cui è permeata la nostra cultura, anche laica, ha contribuito a costruire e ad accrescere nel corso dei secoli una serie di valori condivisi che si esplicitano nell’accoglienza, nella cura, nell’inclusione, nell’aspirazione alla fraternità”.