La sentenza

Ardea e Pomezia, 18 condanne per il clan Fragalà: per i giudici è mafia

13 novembre 2021 | 16:13
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Ardea e Pomezia, 18 condanne per il clan Fragalà: per i giudici è mafia

Già nel giugno del 2020, in rito abbreviato, davanti al gup di Roma erano state inflitte condanne per oltre 50 anni di carcere

Roma – Diciotto condanne con il riconoscimento dell’associazione di stampo mafioso per altrettanti appartenenti al clan catanese Fragalà, attivo nel litorale sud della Capitale, tra Ardea, Pomezia e Torvaianica: a emettere la sentenza il Tribunale di Velletri nel processo nato dall’indagine del giugno 2019 dei carabinieri del Ros coordinati dalla Dda di Roma. La pena più pesante per il boss, condannato a 26 anni e 11 mesi. Già nel giugno del 2020, in rito abbreviato, davanti al gup di Roma erano state inflitte condanne per oltre 50 anni di carcere.

“La sentenza emessa dal Tribunale di Velletri con le condanne a tutti gli esponenti di vertice dei Fragalà colpisce al cuore l’operatività di un clan, diretta emanazione della cosca catanese dei Santapaola, che ha avuto l’egemonia criminale tra Torvaianica, Ardea e Pomezia”, il commento del Presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, Gianpiero Cioffredi.

“Il processo scaturito dall’inchiesta ‘Equilibri’ dei Ros dell’Arma dei Carabinieri e della Direzione Distrettuale Antimafia ai quali va la nostra gratitudine, ha fatto emergere uno scenario criminale che ha visto protagonista un’organizzazione mafiosa che ha agito nel tradizionale settore delle estorsioni, ma anche in altri campi di azione, quali il traffico di stupefacenti e di armi, dimostrando al contempo una grande capacità di infiltrare settori dell’economia e della politica generando, così, un potere robusto di intimidazione nella comunità e conseguente omertà in particolare nelle vittime”, prosegue.

“Sono delinquente nato, io faccio parte della prima famiglia catanese. Se non mi fai trovare i soldi ti sparo a te e alla tua famiglia”; “Io quando mi sento tradito da qualcuno, che potrebbe anche essere mio padre o mio figlio, io gli sparo. Se mio figlio cammina con me e facciamo il reato insieme e mi tradisce, io lo ammazzo“. “Queste intercettazioni rappresentano la feroce modalità con il quale riuscivano ad imporre il loro potere di assoggettamento forti anche della saldatura con altri sodalizi criminali tra cui il clan dei casalesi, dei Cappello, dei Loria e dei D’Agati. Tra l’altro, come conferma il rituale di affiliazione rinvenuto dai carabinieri del Ros durante l’operazione Equlibri, si capisce come i Fragalà non avessero perso le abitudini e i rituali della mafia tradizionale”, prosegue Cioffredi.

“La sentenza di condanna del clan Fragalà – conclude – deve aprire in quei territori un processo vero di riflessione sulle fragilità, sulle timidezze e sulle prudenze che hanno accompagnato il consolidamento di un’organizzazione mafiosa di questa natura nel pieno delle nostre comunità. Solo così potranno rafforzarsi nella società gli anticorpi di legalità e liberazione dalle organizzazioni criminali”.

(Il Faro online)