la testimonianza

Guerra in Ucraina. Da Fiumicino a Varsavia e ritorno: cronaca di un viaggio di solidarietà

21 marzo 2022 | 13:24
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Guerra in Ucraina. Da Fiumicino a Varsavia e ritorno: cronaca di un viaggio di solidarietà

Il racconto di don Giovanni, partito con la Misericordia per consegnare cibo e medicinali ai profughi ucraini: “Non è giusto vedere due nonni stanchi dormire sulle sedie della stazione al freddo e con gli occhi pieni di paura e rabbia”

Fiumicino – Missili che piovono sui civili, intere città rase al suolo dalle bombe, milioni di sfollati costretti a fuggire tra la neve e il gelo. Le immagini della “ripugnante guerra” tra Russia e Ucraina, come l’ha definita Papa Francesco (leggi qui), hanno scosso le coscienze di tutto l’Occidente, tanto da mettere subito in moto la macchina dei soccorsi e della solidarietà.

Una macchina che ha visto impegnata anche i volontari della Misericordia di Fiumicino, letteralmente travolta dalla generosità dei cittadini, subito accorsi per donare cibo, medicinali, ma anche giocattoli e vestiti. Una “valanga” di aiuti che un intero container, riempito con ben 28 pedane, non è bastato per contenerla (leggi qui). E mentre si allestisce un nuovo carico, don Giovanni Soccorsi, parroco dell’aeroporto di Fiumicino, racconta a ilfaroonline.it il suo viaggio verso il “fronte umanitario”, in Polonia, dove, ogni giorno, arrivano migliaia di profughi dall’Ucraina.

“La settimana scorsa ho ricevuto la chiamata di Elisabetta e Andrea della confraternita Misericordia di Fiumicino per invitarmi a partecipare alla missione umanitaria per i profughi ucraini a Varsavia. All’ inizio ero titubante ad allontanarmi dalla parrocchia dell’aeroporto – spiega il sacerdote – perché seguivo le accoglienze di ucraini, donne bambini e anziani, che atterravano a Fiumicino. Come sempre mi accade ho ripensato a quell’invito e ho detto ‘Sì, vengo e pure con la benedizione del Vescovo Ruzza’“.

“Siamo partiti con le confraternite della Misericordia di Fiumicino, Roccasecca, Firenze e Assisi con due navette e un Tir colmo di pacchi. È stato un lungo viaggio e nei cuori avevamo la volontà di aiutare, una grande attesa di incontrare questi fratelli e sorelle che più di qualcuno ha deciso di farli scappare dai loro affetti, dalle loro case, dalle loro terre, dalla loro quotidianità faticosa, bella”, racconta commosso don Giovanni, convinto che ad accoglierlo ci saranno occhi “pieni di speranza per il futuro”.

E così è stato: “Siamo arrivati a Varsavia giovedì pomeriggio e si sono uniti a noi i ragazzi, le ragazze e gli uomini del luogo per scaricare il tir. Una prima grande commozione è stata quella di vedere adulti polacchi che hanno lasciato il lavoro per darci una mano e ci siamo sentiti fratelli/amici, uniti dal buonsenso, dalla generosità e dalla volontà di aiutare chi scappa da questa inutile e vigliacca guerra. Noi eravamo luce che da speranza e calore“.

Calore: una parola più che azzeccata, viste le ancora rigide temperature del periodo che stringono nella morsa del freddo i Paesi dell’est. “Dopo aver svuotato il tir un volontario ucraino che lavora in Italia ci ha portato alla stazione centrale di Varsavia. Qui abbiamo visto la sofferenza, la disperazione che ben si mescolava con la dignità, la speranza e la forza di non mollare”.

E agli occhi dei volontari fiumicinesi si apre una scena davvero insolita: “La stazione è un campo di accoglienza per i profughi ucraini. Ci sono tanti volontari che aiutano a mangiare, a trovare un posto dove dormire o come raggiungere temporaneamente un familiare. Non per sempre, ma per un tempo che deve essere breve, che deve finire al più presto. Perché vogliono tornare a casa dai loro mariti, figli, nipoti e fidanzati che più di qualcuno ha deciso di dividerli e di fare dormire al freddo di Varsavia mamme, neonati, ragazzi e ragazze, nonne e nonni. Non è accettabile che un neonato stia al freddo tutta la notte. Non è giusto vedere due nonni stanchi dormire sulle sedie della stazione al freddo e con gli occhi pieni di paura e rabbia“.

Immagini che resteranno scolpite per sempre negli occhi e nella mente di don Giovanni, colpito anche dalla “forza delle donne, mamme e nonne, che hanno salvato una parte della loro famiglia e che pregano per quelli che sono rimasti sotto le bombe. Donne fragili, delicate, belle che non hanno mai smesso di pensare alle proprie famiglie e alla loro patria. Donne che difendono i propri cari con il pensiero, la preghiera; che cercavano cibo e da bere per i più piccoli. Donne che ricevano i doni con gratitudine e con tanta umiliazione perché loro avevano tutto ed erano loro ad aiutare i vicini di casa che erano in difficoltà”.

E poi? “Dopo aver consegnato alcuni doni siamo rientrati negli alloggi accompagnati da tanto silenzio e sofferenza per quelle ingiustizie che più di qualcuno ha deciso di imporre come fanno i vigliacchi che pensano ai loro poteri e non al valore più grande che ogni uomo e donna portano nel mondo. Come sacerdote è stata una missione che mi ha dato molto  spiritualmente e umanamente. La Parola di Dio in questi giorni parlava di servire e di carità: mi sono sentito guidato e amato da Dio. È stato bello condividere questa esperienza con i volontari della Misericordia. Ancora una volta mi sono sentito incoraggiato a non aver paura di aiutare e difendere chi soffre con la carità e l’affetto”.

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