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Papa Francesco: “Accogliere e dare speranza: ecco la cartina tornasole della Chiesa”

2 aprile 2022 | 19:09
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Papa Francesco: “Accogliere e dare speranza: ecco la cartina tornasole della Chiesa”

Dal Santuario di Ta’ Pinu, meta principale dei pellegrinaggi maltesi, Papa Bergoglio sprona giovani e famiglie cattoliche a “tornare alle origini” per riscoprire la vera missione della Chiesa: “Evangelizzare”

dall’inviato a Malta – Accogliere e accendere fuochi di speranza in tempi in cui la fede è messa a dura prova. E’ questa, secondo Papa Francesco, la cartina tornasole della Chiesa cattolica. Una Chiesa che oggi, coi i suoi 3mila fedeli, quasi tutti giovani, riempie il sagrato del Santuario di Ta’ Pinu, il luogo di pellegrinaggio più famoso di Malta, dedicato alla Madonna e che il Papa omaggia con la “Rosa d’Oro”.

Situato nell’isola di Gozo (la cui etimologia significa “gioia”), conserva numerosi ex voto a testimonianza della
devozione popolare. Qui esisteva una piccola cappella già nel ‘500, di cui fu però ordinata la demolizione ad opera del messo apostolico Pietro Duzina, inviato di Papa Gregorio XIII a Malta nel 1575, che la trovò in grave stato di abbandono.

Tuttavia, quando la demolizione iniziò, un operaio si ruppe un braccio: l’episodio fu interpretato come un segno e i lavori furono interrotti. Per lungo tempo di proprietà della famiglia Gentili, la chiesetta venne infine acquistata da un certo Pino Gauci (da cui il nome Ta’ Pinu con cui è conosciuta ancora oggi) che la ingrandì e la restaurò sistemandovi anche un quadro della Vergine Assunta, opera commissionata appositamente al pittore italiano Amedeo Perugino, che ancora oggi vi è conservata.

La chiesa è tornata alla ribalta a causa di un evento prodigioso narrato nella tradizione: il 22 giugno 1883 una contadina che passava di lì, di nome Carmela Grima, si sentì chiamare da una voce che la invitava a recitare “tre Ave Maria, una per ogni giorno in cui il mio corpo è rimasto nella tomba”. La donna si confidò con un amico, Francesco
Portelli, il quale rivelò di aver udito anche lui la stessa voce con la medesima richiesta nei pressi della chiesetta. La notizia dei due veggenti, che nel frattempo avevano ottenuto miracolose guarigioni, si sparse in breve tempo per tutta l’isola e Ta’ Pinu divenne, così, meta di pellegrinaggio, ottenendo anche l’autorizzazione del vescovo di praticare il culto mariano nel 1887, quando l’isola di Gozo restò miracolosamente immune a una drammatica epidemia di colera.

Oggi, al posto del colera, c’è il Covid. Un virus insidioso che ha segnato le vite di molti, qui a Gozo come nel resto del mondo. E’ il caso della famiglia Apap. Sandi e Domenico sono una coppia di sposi e da poco sono diventati nonni. Lei soffre di sclerosi multipla e nei mesi scorsi è stata infettata anche dal coronavirus. “E’ stato difficile accettare la malattia – racconta al Santo Padre – Spesso mi chiedevo perché il Signore permettesse tutto questo”. Eppure, Sandi e Domenico, grazie alla fede, sono rimasti uniti perché, affermano, “quando la la sofferenza si vive con amore non rimane tale ma diventa gioia”. Una fede messa però a dura prova “dalle sfide e dalle tempeste che non sfidano solo le nostre coste ma sfidano anche la cultura nella quale siamo immersi”, la testimonianza di Francesco Pio, che al Papa chiede “come custodire questo tesoro”.

Il Papa, che ha ascoltato con attenzione le testimonianze di vita degli isolani, risponde citando il brano evangelico della crocifissione, soffermandosi sulle parole di Gesù che gridia: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. “Questa – sottolinea Francesco – è anche la nostra preghiera nei momenti della vita segnati dalla sofferenza; è la preghiera che ogni giorno sale a Dio dal vostro cuore, Sandi e Domenico”, dice rivolgendosi alla coppia di sposi.  Eppure, spiega Bergoglio, l’ora della morte sulla croce “non rappresenta la conclusione della storia, ma segna l’inizio di una vita nuova”. In altre parole, “da quell’ora della morte inizia un’altra ora piena di vita: è il tempo della Chiesa che nasce. Da quella cellula originaria il Signore radunerà un popolo, che continuerà ad attraversare le strade impervie della storia, portando nel cuore la consolazione dello Spirito, con la quale asciugare le lacrime dell’umanità”. E la rigenera, come accaduto anche al Santuario di Ta’ Pinu: “Un posto che sembrava perduto, ora rigenera fede e speranza nel Popolo di Dio”.

Ma come possiamo rinnovare la fede? Per il Pontefice la risposta è solo una: “tornare alle origini”. Che “non significa guardare all’indietro per copiare il modello ecclesiale della prima comunità cristiana” ma “nemmeno essere troppo idealisti, immaginando che in quella comunità non ci fossero difficoltà”. Tornare alle origini significa “recuperare lo spirito della prima comunità cristiana, cioè ritornare al cuore e riscoprire il centro della fede: la relazione con Gesù e l’annuncio del suo Vangelo al mondo intero. Questo è l’essenziale!”.

Infatti, per gli apostoli, “la principale preoccupazione non era il prestigio della comunità e dei suoi ministri, l’influenza sociale, la ricercatezza del culto. No. L’inquietudine che li muoveva era l’annuncio e la testimonianza del Vangelo”. E ammonisce: “La vita della Chiesa – ricordiamocelo sempre – non è mai solo ‘una storia passata da ricordare’, ma un ‘grande futuro da costruire’, docile ai progetti di Dio”.

“Non può bastarci una fede fatta di usanze tramandate, di solenni celebrazioni, belle occasioni popolari, momenti forti ed emozionanti; abbiamo bisogno di una fede che si fonda e si rinnova nell’incontro personale con Cristo, nell’ascolto quotidiano della sua Parola, nella partecipazione attiva alla vita della Chiesa, nell’anima della pietà popolare”, sottolinea Bergoglio, precisando che “la crisi della fede, l’apatia della pratica credente soprattutto nel dopo-pandemia e l’indifferenza di tanti giovani rispetto alla presenza di Dio non sono questioni che dobbiamo ‘addolcire’, pensando che tutto sommato un certo spirito religioso resista ancora”.

Infatti, precisa Francesco mentre il vento sferza il sagrato del Santuario, “l’impalcatura può essere religiosa, ma
dietro a quel vestito la fede invecchia. L’elegante guardaroba degli abiti religiosi, infatti, non sempre corrisponde a una fede vivace animata dal dinamismo dell’evangelizzazione. Occorre vigilare perché le pratiche religiose non si riducano alla ripetizione di un repertorio del passato, ma esprimano una fede viva, aperta, che diffonda la gioia del Vangelo”.

La Chiesa, rimarca, “non può essere un circolo chiuso”. Ed è per questo  che ogni credente, sottolinea il Papa, deve “sviluppare l’arte dell’accoglienza” perché “il culto a Dio passa per la vicinanza al fratello”. L’accoglienza, infatti, “è anche la cartina di tornasole per verificare quanto effettivamente la Chiesa è permeata dallo spirito del Vangelo”.

Da qui l’invito a essere, come già detto in tante occasioni, una Chiesa in uscita: “Non possiamo accoglierci solo tra di noi, all’ombra delle nostre belle Chiese, mentre fuori tanti fratelli e sorelle soffrono e sono crocifissi dal dolore, dalla miseria, dalla povertà e dalla violenza”. E ai maltesi, al centro di tante vicende che riguardano i migranti che dalle coste africane cercano un futuro in Europa. dice: ” Vi trovate in una posizione geografica cruciale, che si affaccia sul Mediterraneo come polo di attrazione e approdo di salvezza per tante persone sballottate dalle tempeste della vita che, per motivi diversi, arrivano sulle vostre sponde. Nel volto di questi poveri è Cristo stesso che si presenta a voi”.

Ecco allora il Vangelo che ogni credente è chiamato a vivere: “accogliere, essere esperti di umanità, accendere fuochi
di tenerezza quando il freddo della vita incombe su coloro che soffrono”. Dunque, anche per rispondere alla domanda di Francesco Pio, “per custodire questo tesoro bisogna tornare all’essenza del cristianesimo: all’amore di Dio, motore della nostra gioia, che ci fa uscire e percorrere le strade del mondo; e all’accoglienza del prossimo, che è la nostra testimonianza più semplice e bella nel mondo”.

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